Lo scongelamento del Pd

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Quando Bersani, il segretario a mezze maniche del Partito democratico (Pd), ha detto che in futuro non tollererà più mancanza di rispetto nei confronti del partito – il riferimento era al sindaco di Firenze, Renzi, che vorrebbe rottamare i leader storici del Pd – perché il Pd è l’unico partito “vero” e va rispettato, nessuno ha potuto dargli torto. Il Pd è l’unico partito italiano per il quale c’è ancora chi è disposto a votare qualsiasi cosa accada, qualsiasi segretario lo guidi. Non è il partito di Bersani, così come invece c’è il partito di Berlusconi, di Fini, di Bossi, di Casini, di Di Pietro, di Vendola. Sarà per il principio del centralismo democratico nel suo DNA, sarà per il persistere del voto identitario di appartenenza, sarà per il cosiddetto effetto di congelamento del voto, è comunque innegabile che il Pd sia più o meno rimasto un partito come quelli di una volta, com’erano in genere i partiti di massa prima della dirompente mediatizzazione dell’arena politica e della nascita dei partiti-persona.

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Tuttavia proprio per questo Bersani dovrebbe capire che la recente sconfitta del candidato del Pd alle primarie di Milano, per decidere chi sarà il candidato a sindaco del centro-sinistra nel capoluogo della Padania, è un segnale di allarme rosso. Sia ben chiaro che a Milano non ha vinto la “sinistra che vince”, quella che sfida la natura stessa del centro-sinistra italiano. Pisapia, cioè il candidato vincitore, non è un Vendola, ossia colui che vinse le importanti primarie in Puglia (si veda l’intervento del 4 febbraio del 2010 su queste pagine). Nel senso che non è un politico che fa leva su straordinarie capacità oratorie. A Milano non ha vinto la sinistra che vince dicendo cose di sinistra, quelle incarnate magistralmente da Vendola. Pisapia è più semplicemente un ottimo candidato, il quale vince perché è bravo e, soprattutto, perché non è un candidato del Pd.

Cerco di spiegarmi meglio. Ciò che oggi mi pare evidente è che l’effetto di scongelamento del voto, cioè quel fenomeno per cui gli elettori spostano le loro preferenze dando fiducia a chi in quel momento è più convincente, riguarda anche il Pd, ma al suo interno. Ciò che non accade ai militanti del Pd quando si vota alle elezioni (ossia tradire la propria appartenenza) accade alle primarie. È quella l’occasione per votare in modo “scongelato”, in un certo senso più libero perché indipendente dal partito. Non c’è nesso ideologico tra la vittoria di Vendola e Pisapia, c’è semmai un filo rosso tra le primarie di Vendola in Puglia, Renzi a Firenze e Pisapia a Milano. Altro che sinistra che vince. L’ex rutelliano Renzi, sindaco di Firenze, espressione di quel centro-moderato che oggi guarda verso due ex alleati di Berlusconi, Casini e Fini (si pensi a Rutelli, appunto), ha vinto le sue primarie contro il candidato locale del Pd. Se c’è qualcosa che unisce Renzi a Vendola e Pisapia è il superamento dell’idea del partito “vero”. Il Pd di Renzi, se ci fosse, non sarebbe di certo il Pd di Vendola, o no?

Probabilmente Bersani dovrà presto rimboccarsi anche i pantaloni, perché lo scongelamento del Pd – sotto l’effetto-serra della realtà mediatizzata – appare inarrestabile. Quando si voteranno le primarie per la guida del governo non si assisterà all’effetto di mobilitazione dei militanti come fu per Prodi nel 2005. Già questo dovrebbe far riflettere. Ma ciò che più conta è che non sarà neppure la “sinistra che vince” a vincere, oppure il centro-moderato che guarda più a destra, o qualcos’altro ancora. Vincerà chi sarà il più convincente a interpretare il Pd, nel senso che vincerà il Pd di qualcuno.

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Non si tratta, si badi bene, di un esito berlusconiano della competizione politica, vale a dire la vittoria del partito-persona quale prodotto del marketing e della comunicazione televisiva. Al contrario si tratta del manifestarsi concreto di un processo più profondo di trasformazione della realtà politica, che investe oramai anche l’area del centro-sinistra italiano. È il crollo delle vecchie appartenenze e l’avvento di una stagione nella quale ogni formazione politica si aggrega intorno a un leader capace di costruire una narrazione convincente, nella misura in cui riesce a comporre il consenso unendo frammenti apparentemente contraddittori di valori e interessi. Proprio per questo, per la portata della trasformazione politica in atto, non è immaginabile che la questione sia sfuggita ai due leader storici del centro-sinistra italiano, D’Alema e Veltroni. Il Pd assisterà inerme all’ascesa di Vendola, l’unico per ora capace di interpretare il Pd con una narrazione convincente? I vecchi leader si faranno intimidire dai giovani rottamatori senza mettere in campo una propria risorsa ?

L’unica speranza, per la democrazia italiana, è che almeno a sinistra non sarà la strategia del fango a prevalere.

Emidio Diodato

Docente di Scienza politica

Università per Stranieri di Perugia

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia