Al voto mentre lo Stato a Roma affonda. Elezioni 2018.

All’inizio della prima serie televisiva italiana prodotta da Netflix, Suburra, si vede ad Ostia il figlio di un malavitoso che colpisce con una testata il rivale. Un mese dopo, sempre nel litorale romano di Ostia, un giornalista è colpito da una testata reale. Le immagini fanno il giro dei media. Impressionando. L’autore è identificato come appartenente ad una famiglia di malavitosi. Anzi, negli arresti che seguiranno e che coinvolgeranno numerosi membri della famiglia Spada si parlerà di associazione mafiosa. Non si tratta di Mafia capitale, l’infelice espressione utilizzata per un’inchiesta su appalti e corruzione. Si tratta di mafia vera, quella che avrebbe messo radici nel porto di Roma.

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I romani hanno sempre dato le spalle al mare. Eppure, quando gli etruschi scorrazzavano a sud della capitale, i cartaginesi già riconoscevano ai romani una sfera d’influenza nel Mediterraneo. Roma è una città particolare quanto a geopolitica e, alla fine, ad Ostia si tornerà solo a prendere un po’ di sole.

Il problema della capitale è in centro, in un sistema di disfacimento che Carlo Bonini ha ben documentato in Le tre vite di Massimo Carminati. Il modo di mezzo di Carminati non è però mafia propriamente detta. È piuttosto il luogo dove tutti, vale a dire le persone di un certo tipo, si incontrano. È il luogo dove lo Stato diventa un simulacro. “O patria mia, vedo le mura e gli archi. E le colonne e i simulacri e l’erme. Torri degli avi nostri, Ma la gloria non vedo” (Leopardi).

Beninteso, Roma è piena di energia. Ogni volta che vado nella capitale vedo le idee correre da una parte all’altra. In un bel caffè in Piazza del Popolo, l’altro giorno, un caro amico mi ha detto: “Sai, il prossimo colpo di Stato lo tenterà la Protezione civile”. Scherzava.

Le elezioni politiche del 4 marzo sembrano un fotomontaggio di quelle del 1994, ma venuto molto male. Il centro-destra prepara fischietti e palloncini per la vittoria. Ma Berlusconi è ineleggibile, la Lega non è più Lega Nord ma non per questo meno eversiva, la destra non è più un soggetto politico che sta diventando post-fascista ma post-post-fascista. A sinistra non c’è più l’Alleanza dei Progressisti, ma forse non c’è mai stata. Come terzo incomodo non c’è più il rottamatore della Prima Repubblica, Mariotto Segni, ma i rottamatori della Seconda Repubblica, i 5 Stelle. Al Patto di Segni andò malissimo, a loro andrà forse meglio.

I ben pensanti criticano il fatto che questa campagna elettorale sia insulsa, o che i partiti politici farebbero solo promesse. È addirittura nato il sito www.unapromessa.it, quello degli hacker civili, che invitano i cittadini a segnalare e monitorare.

L’ossessione per le promesse è tale che hanno segnalato anche Carlo Calenda quando ha affermato, nel corso della Conferenza sulla cooperazione internazionale del 25 gennaio scorso, che l’Italia dovrebbe porsi l’obiettivo di stanziare il 0,5% del Pil in politiche di cooperazione internazionale. È comprensibile il disagio di fronte a promesse logore, come quella della tassa piatta proposta da Antonio Martino nel 1994. Ma oramai pare che l’unico modo per non promettere sia quello di affermare: “Italiani, preparatevi al peggio”.

La verità è che per il momento non ci sono temi capaci di entusiasmare. Perfino i 5 Stelle sembrano muoversi nel pantano di una politica senza energie. Tuttavia il 4 marzo è più lontano di quanto si pensi e, possiamo starne certi, il vento si alzerà negli ultimi giorni, salvo incidenti di percorso.

Siccome a promesse in qualche modo tutti hanno già dato, c’è da immaginare che il grande tema sarà qualcos’altro. A differenza del 1994, la campagna è meno personalizzata.

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Ci sono i nomi dei leader nei simboli del centro-destra, Berlusconi, Salvini, Meloni, c’è il nome di Grasso per tenere uniti i disparati scissionisti della sinistra, e c’è la candidatura a premier di Di Maio. Renzi ha pensato bene di evitare.

Ma gli italiani non andranno a votare per eleggere un presidente del consiglio. Neppure per votare un partito, ovviamente. Sono rimasti davvero in pochi a fare quella scelta. Gli italiani voteranno contro qualcuno o a favore di qualcosa, ma comunque rispetto ad un tema, anzi, ad un’idea.

Da ciò conseguono però due osservazioni conclusive.

Difficile sarà trovare un tema che automaticamente orienti il voto verso un simbolo. Ancor più difficile è che un’idea possa nascere nascondendo il problema di fondo, ossia che lo Stato a Roma affonda. Verrebbe da dire che uno slogan efficace parrebbe essere quello di Emma Bonino, più Europa! invitando gli italiani ad usare la testa. Ma temo molto che il messaggio sia frainteso con un invito a dare una capocciata al primo che passa.

Emidio Diodato

Professore associato di scienza politica

Università per Stranieri di Perugia

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia

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