Qui si dice che fu per amore, di Pablo Lentini Riva

Una recensione di Ada Tosatti del libro di Pablo Lentini Riva “Qui si dice che fu per amore. La musica e il silenzio in cinque racconti ispirati a Orfeo” (edito da Ellin Selae). A Parigi, il libro è in vendita nella libreria italiana La Tour de Babel e si puo’ ordinare a La Libreria.

Che farò senza Euridice?

Dopo i suoi due precedenti libri, la raccolta di racconti Prima di un concerto tedesco (2003) e il romanzo Notturno per violoncello solo (2009) – vedi QUI -, Pablo Lentini Riva torna ad affrontare con quest’ultima raccolta, Qui si dice che fu per amore, una tematica a lui cara: la ricerca della bellezza come unico appiglio all’interno di esistenze che sono costantemente minacciate dalla malattia, dal tempo, dalla volgarità, dalla precarietà, dalla lotta per la sopravvivenza, dai fantasmi della depressione e della morte.

Lo fa con una maestria di volta in volta superiore, come un musicista – quale egli è d’altronde nella vita reale – che diventasse sempre più virtuoso nell’interpretazione di alcune variazioni su tema… e non a caso la lettura dei suoi racconti è spesso accompagnata dall’esecuzione di pezzi musicali a lui cari.
Foto della copertina di Veronica Mecchia

In quest’ultima raccolta, il cui titolo è ispirato a un bellissimo brano dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, “L’inconsolabile”, i cinque racconti propongono una serie di variazioni sul mito di Orfeo, mito inesauribile che l’autore sviscera nelle sue molteplici diramazioni.

Il mito, la parola che conta. La parola che vale ma anche che racconta, che crea.

Orfeo. Colui il cui canto ha il potere di commuovere ed ammansire piante, bestie e mostri, ma anche di infondere il ritmo, il battito, a ciò che è, di farlo esistere attraverso la musica, attraverso la poesia.

Orfeo, inventore della lira a nove corde, e capiamo l’importanza di un tale simbolo per Pablo Lentini Riva, per il quale musica e scrittura sono le due facce di una stessa ricerca: la costruzione di equilibri precisi e complessi come i meccanismi dei tanti orologi che compaiono nelle sue storie.

Musica e scrittura visti dunque come approfondimento e conoscenza del tempo, come possibilità di dare un ordine, un’armonia, fossero anche provvisori e fugaci, al caos ed al caso.

Penso alla figura del mendicante-marinaio Kronos ne “L’isola della luce”, all’orologio come simbolo di vita e dignità nel “Lamento per la morte di Theodor”, all’orologio infine come emblema della fortuna sfumata ne “Gli ultimi giorni di Orfeo”; ma anche soprattutto all’attenta organizzazione dei tempi e dei ritmi narrativi, alla ciclicità dei suoi racconti, alla loro struttura circolare (“Hausmusik”, “Gli stagni di Corot”).

Orfeo, infine, ed è senza dubbio la parte del mito che più è conosciuta, come poeta dell’amore inconsolabile, il cui canto talmente potente è stato in grado di calmare gli spiriti dell’Ade alfine di recuperare la sua Euridice, prima di perderla definitivamente. Poesia e scrittura dunque come segno del desiderio e della perdita, eros e thanatos, l’attraversamento dell’uno e dell’altro, dell’uno attraverso l’altro.

A questo punto vorrei tornare al titolo della raccolta preso in prestito da Pavese.

Ne “L’inconsolabile” Pavese tenta di dare una spiegazione al celebre gesto di Orfeo, il quale voltandosi scioccamente, verrebbe da dire, dopo tanti ostacoli e prove, fa svanire Euridice per sempre. In realtà, suggerisce Pavese, Orfeo avrebbe compiuto tale gesto rendendosi conto che la bellezza del suo amore per Euridice era tutta contenuta nel suo stesso canto, nella potenza stessa della parola che evoca, nel valore di un’eternità che solo la scrittura, complice la morte, può assolutizzare.

Ed è questo uno degli argomenti principali dei vari racconti di Pablo, a cominciare da “L’isola della luce” in cui il protagonista, omonimo dell’autore, sceglie consapevolmente per sé e per la sua amata Veronica l’amore eterno contro il logorio inevitabile del tempo. O ancora nel “Lamento sulla morte di Theodor” in cui il vecchio Gutman passa la vita a rimpiangere la moglie morta sotto il fuoco dei nazisti. O infine ne “Gli ultimi giorni di Orfeo” in cui la povera Prunelle avrebbe potuta essere strappata dall’inferno del quotidiano se non fosse che la sua morte è necessaria, non solo come esigenza interna alla narrazione, ma soprattutto come espressione della stimmung della stessa scrittura di Pablo, in cui dominano la malinconia, la tentazione della rinuncia e la sconfitta esistenziale.

Una recensione di Ada Tosatti

Per saperne di più sull’autore e la sua opera, Altritaliani vi propone la lettura di due altri articoli pubblicati sul nostro giornale

INTERVISTA A PABLO LENTINI RIVA in occasione della pubblicazione del racconto «GLI STAGNI DI COROT» (2009)

— –

Dans les librairies italiennes de Paris:

La Tour de Babel
10, rue du Roi de Sicile, 75004 Paris
tel 01 42 77 32 40
http://www.librairieitalienne.com/

La Libreria
89, rue du Fbg Poissonnière, 75009 Paris
tel 01 40 22 06 94
http://www.libreria.fr/store/

 

Article précédent« Inaudite risonanze ». Parte 1: Pirandello e il realismo occidentale.
Article suivantArt brut italien: Banditi dell’Arte

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.