Intervista allo scrittore e musicista Pablo Lentini Riva, autore del romanzo « Notturno per violoncello solo ».

In occasione della pubblicazione sul nostro sito del racconto « GLI STAGNI DI COROT » abbiamo incontrato Pablo in un bistrot parigino e gli abbiamo fatto qualche domanda.

Ecco l’intervista.

Negli « Stagni di Corot » sei stato capace di far condividere al lettore l’angoscia del giovane musicista-narratore, di far crescere la tensione fino all’epilogo. La descrizione stessa della campagna fredda, macabra, priva d’umanità, durante il viaggio del maestro e del suo allievo è opprimente, contribuisce ad aumentare l’inquietudine del lettore ; l’arrivo dei protagonisti agli stagni rinforza il senso di solitudine, di abbandono, di desolazione, l’incapacità a vivere senza l’amore. Ti senti figlio di une letteratura novecentesca come quella di Maupassant?

La volontà di ridurre il paesaggio a una proiezione di quello che accade nell’animo del protagonista, è una caratteristica comune a tutti i miei lavori. La natura e in altri casi le città non hanno nulla di oggettivo, esistono solo nel momento in cui il narratore dedica loro attenzione, leva lo sguardo, esistono dunque a suo uso e consumo. Posso descrivere Vienna, Venezia, Roma, Parigi o gli stagni di Ville d’Avray, ma è uguale, perché parlo sempre di quello che accade nella testa dell’io narrante, di ciò che lui è capace o incapace di proiettare sul mondo. Il rischio è che il decoro diventi surreale, ma in genere riesco a fermarmi un istante prima. In effetti, questo modo di utilizzare la scena è riconducile a modelli del secolo passato o addirittura anteriori, modelli dei quali subisco il fascino.

fotografia di Veronica Mecchia
Pablo Lentini Riva – fotografia di Veronica Mecchia

L’arte, si dice, interpreta la realtà. Il fatto che i protagonisti siano musicisti accentua secondo te questa impressione d’interpretazione della realtà ?

Direi di no, ma il fatto che i protagonisti del racconto appartengano all’universo dei grandi creativi, non fa altro che accentuare la noia e il disagio che provano quando per un motivo o per l’altro vengono allontanati dal loro elemento naturale, che in questo caso è la musica. Senza un pianoforte, senza nemmeno una tastiera muta e senza le muse dalla pelle dolce, sono perduti e la campagna diventa ancora più opprimente. Senza l’arte, quindi, che è il loro sedativo, sono indifesi e indirizzano i loro acutissimi strumenti d’analisi (interpretazione) verso una realtà che si rivela subito insopportabile. Da quest’analisi spietata nasce il grido silenzioso che monta durante la lettura, un grido che resta nel petto e che non è catartico, come non lo è quello del famoso quadro di Munch o come non lo sono mai fino in fondo le esplosioni di dolore nelle sinfonie di Mahler.

Il ricordo della madre, la ricetta di una torta di mele (ognuno di noi ha le proprie ricette, la memoria dei sapori, delle fragranze dell’infanzia nel cuore, no ?) conferisce calore, umanità al racconto, così come nella città la presenza delle muse dalle ossa di pollo, pero diffonde anche un senso di nostalgia del passato, della purezza e della innocenza di quegli anni, di quello che è definitivamente perduto. Volevi esprimere il disagio di vivere il presente, la realtà ?

Davanti a ciò che uno strumento d’analisi sempre più perfetto ci restituisce come insopportabile, l’unica soluzione è quella di ricordare un tempo in cui l’acutezza di pensiero non era ancora la nostra arma preferita, un’arma a doppio taglio. Cerchiamo scampo in un mondo in cui eravamo felici perché non capivamo niente, un luogo in cui tutto era gigantesco e possedevamo l’entusiasmo degli ingenui. Ti ricordi? Il tempo in cui una fetta di torta di mele bastava per farci fare i salti di gioia, perché quella torta l’aveva preparata nostra madre ed eravamo impegnati anima e corpo nel gesto di divorarla.

Io non volevo esprimere il disagio di vivere il presente, quello odierno intendo (seppur disgustoso), ma il disagio di vivere un presente universale, tutti i presenti del mondo e in tutte le epoche quando veniamo folgorati dalla consapevolezza della caducità. La musica e le muse, l’arte e il suo diporto dunque, rappresentano le distrazioni dei personaggi in questione, non la salvezza.

Perché il protagonista può perdonare il suo maestro? Questo presuppone un incontro con il dolore, secondo te? Il figlio diventato consapevole e adulto puo’ perdonare il padre che l’ha iniziato alla vita, così come il musicista il maestro che l’ha iniziato all’arte?

Un’altra caratteristica dell’infanzia è l’incapacità di cogliere le sfumature. La vita è in bianco e nero ed è solo dopo che questi colori si mischiano come sulla tavolozza di un pittore per generare un mondo grigio nel quale possiamo comprendere e perdonare le debolezze degli altri, perfino quelle dei nostri padri e dei nostri maestri, perché se non sono già state le nostre, sappiamo che un giorno forse lo saranno. Questo passa ovviamente la condivisione di un dolore collettivo, quello di tutti gli uomini e di tutte le donne. I bambini e gli adolescenti sono puri, radicali, sono Adamo prima di addentare la mela, poi cominciano a peccare e assieme forse ad aprire gli occhi.

Bene. Grazie Pablo di questa intervista!

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Evolena
Michèle Gesbert est née à Genève. Après des études de langues et secrétariat de direction elle s'installe à Paris dans les années '70 et travaille à l'Ambassade de Suisse (culture, presse et communication). Suit une expérience associative auprès d'enfants en difficulté de langage et parole. Plus tard elle attrape le virus de l'Italie, sa langue et sa/ses culture(s). Contrairement au covid c'est un virus bienfaisant qu'elle souhaite partager et transmettre. Membre-fondatrice et présidente d'Altritaliani depuis 2009. Coordinatrice et animatrice du site.