Boccaccio in Europa – Non solo il Decameron

MENSILE BOCCACCIO 700. La fortuna europea delle opere di Giovanni Boccaccio attraverso i secoli è stata oggetto di moltissimi studi, alcuni volti a comprenderne gli influssi sulle letterature nazionali, altri dedicati alla semplice diffusione, altri ancora, più mirati, intesi a ricercare i particolari riflessi di temi o stilemi.

La vastità dello scenario renderà utile estrarre degli oggetti di indagine, necessariamente parziale, per poter arrivare ad una ricognizione che renda giustizia della complessità di questa ricezione, che si snoda nel corso di sei secoli, permeando realtà culturali profondamente dissimili. L’avvio naturale è la storia della fortuna nei decenni immediatamente successivi alla composizione delle opere, quella che Vittore Branca definisce la straordinaria avventura, lungo l’Europa tre-quattrocentesca, dei manoscritti boccacciani: la loro prorompente, vittoriosa diffusione che ha decisamente contribuito a promuovere la nuova e unitaria cultura del nostro continente, l’umanesimo europeo.

Il primo dato da mettere in luce è che la primissima fortuna europea risulta essere per Boccaccio, come d’altronde per Petrarca, legata essenzialmente alla produzione latina, inscindibile dalla tutela intellettuale esercitata da quest’ultimo sul più giovane scrittore.
Da un manoscritto del De casibus virorum illustrium - Recto di un'edizione parigina del 1467

Il De casibus virorum illustrium, diffusosi nel circuito delle confraternite francescane, è l’opera storico-letteraria che, tradotta in diverse lingue, ebbe il massimo successo nell’Europa di inizio Quattrocento, grazie anche alla vivacità del registro linguistico. Lanciato da Tedaldo della Casa, discepolo di Petrarca, e poi dall’agostiniano Battista de Narni, fu accolto nelle biblioteche papali di Avignone, in quelle dell’Università di Orléans e nei più grandi centri benedettini austriaci e tedeschi. Ma il successo dello scritto non è legato soltanto agli ambienti accademici ed ecclesiastici: grazie alle precoci traduzioni (la prima traduzione francese è quella, del 1400, di Laurent de Premierfait, seguita da una seconda edizione e parafrasi del 1409) e alle splendide miniature, divenne opera immancabile presso le corti francesi e anglosassoni. Analogo successo europeo, sia negli ambienti religiosi che in quelli aristocratici, va riconosciuto alle Genealogiae deorum gentilium: perfettamente in linea con i precetti dell’Umanesimo, l’opera ebbe una fortuna immediata e durevole, attestata dalla presenza di molteplici copie nelle biblioteche papali e ducali, da Avignone a Canterbury.

Al ruolo centrale della curia avignonese nella diffusione degli scritti boccacciani in terra di Francia è dedicato il saggio di Franco Simone, significativamente intitolato “Giovanni Boccaccio ‘fabbro’ della sua prima fortuna francese”: facendo risalire al 1354, anno del primo viaggio di Boccaccio ad Avignone, l’assimilazione di atmosfere e costumi di un paese – già tanto amato letterariamente negli anni giovanili ma mai conosciuto in modo diretto – Simone costruisce la tesi di una fortuna del certaldese basata per l’appunto sulla capacità di cogliere e rielaborare lo spirito curiale e mercantile della realtà francese.

Rispetto a Dante, tanto ostile alla politica francese e al Petrarca, fustigatore dei costumi avignonesi, soltanto il Boccaccio, già al suo primo soggiorno in terra di Francia, si presenta aperto e pronto a quelle simpatie che sono all’origine del suo incomparabile successo.

Il dato veramente interessante, evidenziato sia da Branca che da Simone, è la valorizzazione, in generale nel panorama europeo ma in modo particolare in quello francese, di un Boccaccio erudito, storico e moralista – di ascendenza ciceroniana e senechiana – molto più che narratore di storie. Sulla stessa linea si colloca lo studio di Henri Hauvette che, evidenziando l’esistenza di un forte diaframma tra l’ottica umanistica e quella rinascimentale, ribadisce come i lettori francesi quattrocenteschi non apprezzarono tanto, in Boccaccio, l’originalità narrativa, quanto la levatura dell’erudito.

La triade delle opere della giovinezza napoletana – Filocolo, Filostrato e Teseida – concorse, con la sua esportazione d’oltralpe, ad introdurre nella cultura europea quella che Vittore Branca definisce “la feconda simbiosi delle armi e degli amori, un secolo e mezzo avanti il Boiardo e l’Ariosto e tutti i poemi orlandiani e cavallereschi del Rinascimento”.

Filocolo, Biblioteca medicea laurenziana, Firenze

In modo particolare il Filocolo, con la sua opposizione programmatica ad una narrativa epica che viene esplicitata nella conclusione (“il picciolo libretto volgarmente parlando” che tiene la “mezzana via”), ebbe un successo grandioso: la varietà di temi e di spazi narrativi, certo derivante dalla ricchezza culturale posta alla base dell’operazione poetica, lo resero, come era nelle intenzioni dell’autore, opera gradita non soltanto ai letterati ma anche al pubblico medio. A tale proposito, non sarà superfluo fare un riferimento alla circolazione autonoma dell’episodio delle Questioni d’amore (Libro IV), massimamente apprezzate per il loro carattere precettistico ed elegante e per questo tradotte prima in Francia (tre volte, anonimamente, tra il 1531 e il 1541 con il titolo Treize élégantes demandes d’amour) e poi, nel 1546, in Spagna. In quest’ ultimo caso, il fatto che l’opera venga ridotta ad un repertorio di carattere amoroso sarà indizio, non unico ma sufficientemente indicativo, del carattere della cultura spagnola quattro-cinquecentesca, aperta alla letteratura in volgare ma non ancora ricettiva alla fioritura umanistica proveniente dall’Italia.

Questo elemento si allinea con la mancata assunzione di Giovanni Boccaccio a vera e propria influenza letteraria, quantomeno a questa altezza cronologica, nella cultura castigliana: mentre si può parlare del “dantismo” e del “petrarchismo” spagnoli, per quello che riguarda il certaldese non è possibile riconoscere influssi strutturali o formali derivati da una definita coscienza di “scuola”. In effetti, come accuratamente rilevato da Joaquín Arce, per tutto il Quattrocento e fino quasi alla metà del Cinquecento, la ricezione castigliana rimase fortemente legata al prestigio e all’esaltazione della figura dell’autore. Credo sia possibile semplificare dicendo che il nome di Boccaccio assunse un vero ruolo di emblema poetico grazie al Corbaccio (tradotto però, nel corso del Quattrocento, in catalano ma non in castigliano) , che lo inserì nel proficuo filone spagnolo della letteratura medievale misogina. Per il resto, pur estremamente letto, tradotto e “adoperato” quale repertorio tematico e di casistica amorosa, non si può dire che ebbe un valore paragonabile a quello delle altre due Corone nella formazione e progressione di una lingua poetica tipicamente spagnola. Arce analizza questo fenomeno, caratteristico e perdurante fino al Settecento, spingendosi a dire che alcuni temi, tipicamente boccacciani, penetrarono sì nella sensibilità culturale della Spagna ma, ripresi e rielaborati nella novellistica, rimasero quasi “beni senza padrone”. Una autentica e precoce forma di “personalizzazione” è invece da rinvenirsi nel gusto, tipicamente castigliano, dei “poeti-personaggi”: Boccaccio, inserito come interlocutore, già nella Comedieta di Ponza, divenne, al pari di alcune sue creature letterarie, personaggio parlante in molti poemi dell’epoca.

Tornando alla fortuna particolare di Filocolo, Filostrato e Teseida, un ultimo riferimento spetta al Marqués de Santillana, grande scrittore castigliano del Quattrocento e bibliofilo appassionato, che collezionò ed importò codici boccacciani anche delle opere minori, tra cui appunto le tre del periodo napoletano, oltre a traduzioni castigliane delle opere italiane e latine. Il tratto più forte ed apprezzato del Filocolo, nella Spagna del romanzo picaresco, fu senz’altro l’eccezionale vivacità narrativa e la dislocazione geografica mossa ed avventurosa, effetti dell’elaborazione creativa in un ambiente, quello della Napoli angioina, illuminato e culturalmente stimolante, oltre che punto di contatto e mediazione tra Occidente ed Oriente.

Come rileva Branca, e già prima di lui Trissino nel Cinquecento, la nota più forte e programmatica di questo intento di Boccaccio di inserirsi in un circuito culturale non solo italiano ma europeo è da rinvenirsi non nel Filocolo e neppure nel Filostrato (tradotto e apprezzato anche nel Cinquecento inglese) ma nel Teseida. La solenne conclusione, con la convenzionale apostrofe al libro, non lascia dubbi: […] tu primo col tuo legno / seghi quest’onde non solcate mai / davanti a te da nessuno altro ingegno.

A vision of Fiammetta, di Dante Gabriel Rossetti (1878)

Sorvolando su molti altri fenomeni di ricezione minore – e prima di passare al Decameron – credo sia necessario accennare brevemente al fenomeno del successo, precipuamente tedesco ed ottocentesco, dell’Elegia di Madonna Fiammetta. Già Madame de Staël, nel suo Corinne ou l’Italie (1807), scrisse: “Non vi è che un romanzo, la ‘Fiammetta’, dove si possa conoscere veramente l’amore come passione”. Primo – ed applauditissimo – esempio di romanzo psicologico e borghese moderno, in una Germania ricettiva soprattutto della novellistica decameroniana, la Fiammetta fu tradotta per la prima volta per intero nel 1806, un anno prima del commento di Madame de Staël, da Sophie Mereau-Brentano, sensibile interprete di ambiente romantico. Nel cinquantennio successivo, abbiamo notizia anche di operette e drammi teatrali tedeschi dedicati all’amore tra Boccaccio e Fiammetta: questo fenomeno, operando una de-contestualizzazione (come già rilevato in ambiente castigliano a proposito del costume dei “poeti-personaggi”) attesta non tanto una precisa comprensione letteraria ma perlomeno una profonda permeazione emotiva. Una sorta di circoscritto cedimento dello “spartiacque letterario” che lo scrittore svizzero Federer vide tra Italia e Germania, spartiacque che sembra, infatti, crollare di fronte a Boccaccio, o almeno a due dei suoi più intensi personaggi femminili: Fiammetta e Griselda.

Nella sua Notizia delle opere poetiche, Friedrich Schlegel, dopo aver ricostruito una pseudo cronologia dell’amore tra Giovanni e la figlia del Re di Napoli, li pose in relazione alla Fiammetta, definito “splendido monumento […] tutto impregnato di malinconia, lamento e ardimento profondo”. Per il grande critico romantico Boccaccio fu dunque, insieme a Cervantes, “il solo artista moderno della prosa”.

E proprio la grandezza di questa modernità, intesa come cifra stilistica ma soprattutto tematica, è focalizzata da Francesco de Sanctis nelle pagine dedicate al Decameron. Trattando il passaggio epocale segnato dal trionfo dei guelfi a Firenze e studiandone i riflessi su quello che definisce sempre come «decadente» sistema di valori (in coesistenza però con una crescita culturale e commerciale) scrive, con riferimento all’universo della Commedia:

Quel mondo, divenuto letterario ed artistico, anche un po’ rettorico e convenzionale, non rispondeva più alle condizioni reali della vita italiana. Quel misticismo, quell’estasi dello spirito, che si rivela un’ultima volta, con tanta malinconia e tenerezza nel Petrarca, era in aperta rottura con le tendenze e le abitudini di una società colta, erudita, artistica dedita a’ godimenti e alle cure materiali, ancora nell’intelletto cristiana, non scettica e non materialistica ma nella vita già indifferente e incuriosa degli alti problemi dell’umanità. Il linguaggio era lo stesso, ma dietro alla parola non c’era più la cosa. Questo era il segreto di tutti, quel qualche cosa non avvertito e non definito ma che pur si manifestava con tanta chiarezza nella vita pratica. E colui che dovea svelare il segreto e dargli una voce letteraria, non usciva già dalle scuole: usciva dal seno stesso di una società che dovea così bene rappresentare.

A tale from the Decameron, di John William Waterhouse (1916)

Il Decameron, portatore di quello che Sklovskij ha definito “il modello europeo dell’incorniciamento, con la motivazione nuova del raccontare per amore del raccontare”, produsse, in effetti, un rinnovamento talmente potente delle tradizioni extra italiane da poter dire che, esportando questa modernità – di matrice tanto fortemente toscana –, fissò il nuovo tipo della narrativa europea.

Per costruire una storia, pure essenziale, di queste influenze basti osservare la cronologia delle traduzioni: precoci in Francia (la prima, di Laurent de Premierfait risale al 1414, seguita da quella, in edizione a stampa, di Vérard del 1485 e da quella di Le Maçon del 1545) e anche in Germania (la prima versione integrale e a stampa è del 1472, solo di un anno successiva alla seconda edizione veneziana dell’originale italiano), tardive invece in Inghilterra (la prima versione inglese completa, forse ad opera di John Florio, è del 1620).

Casi particolari sono quelli dei Paesi Bassi e della Spagna. Nel primo caso infatti, come sottolineato da Frans Denissen, l’opera boccacciana (come la maggior parte dei classici del Medioevo italiano) passò attraverso il filtro della lingua e cultura francesi, producendo una prima traduzione parziale del Decameron, costituita da una versione della Griselda – mutuata però dalla versione latina del Petrarca – trasformata in exemplum edificante destinato alla lettura in un monastero femminile. Bisognerà aspettare il 1564 per avere una versione, seppure dimezzata e priva di cornice, del Decameron, curata da Coornhert e basata anch’essa sulla traduzione francese. Nei decenni successivi il successo fu crescente e così le ristampe, anche per influsso della dottrina calvinista che, mettendo al centro della questione la capacità di discernimento del fedele, fece dell’Olanda una sorta di zona franca per scritti altrove proibiti dalla censura.

In Spagna, il clima dell’Inquisizione, impedì tra Quattrocento ed inizio Cinquecento, una vera diffusione del Decameron, pur già noto, in ambito castigliano, riducendone anche gli influssi a sporadiche contaminazioni. Nel Seicento, al contrario, non solo la ricezione ma anche il livello di ispirazione da parte dei novellatori divenne, per utilizzare un termine di Joaquin Arce, “strabocchevole”, a partire dall’uso della cornice come inquadramento e pretesto narrativo. Fiorì così un panorama di novellistica – da Cervantes a Graciàn, da Tirso de Molina a Lope de Vega – in cui le ascendenze boccacciane, seppure non sempre ammesse (Cervantes non lo nominò mai) sono sempre state considerate sin troppo evidenti e, dunque, mai seriamente discusse. L’estro del maestro italiano arrivò ad allargarsi ad altre forme della prosa, fino all’epica, per poi rientrare tra Settecento ed Ottocento, insieme al successo di genere della prosa narrativa. Famoso, ma formalmente occultato anche in ambito catalano, il Decameron divenne un repertorio stilistico e tematico, anche nell’ambiente di Barcellona, senza che però questo portasse alla luce il nome del suo autore.

Qualcosa di molto simile avvenne oltremanica: è stato scritto molto sull’influenza del Boccaccio – anche quello minore – sulla produzione letteraria di Geoffrey Chaucer, tra i suoi contemporanei uno dei più sensibili alla letteratura italiana. Pare che Chaucer abbia anche assistito, nel corso di un viaggio fiorentino del 1373, ad una lectura Dantis tenuta da Boccaccio. Ciononostante, il poeta inglese, non soltanto tacque sempre il nome del certaldese, occultandone così le ascendenze sui racconti di Canterbury ma, per mascherare alcuni riferimenti particolarmente vistosi provenienti da Teseida, Filocolo e Filostrato, arrivò ad inventarsi l’esistenza di una fonte remota, uno scrittore latino che nominò Lollius. Questi dati, insieme alla circolazione cinquecentesca delle sole opere latine e, al già menzionato, ritardo nella traduzione del Decameron, concorrono a far sì che, nella letteratura inglese, Boccaccio sia apprezzato nelle vesti esclusive di grande moralista, accostabile a Boezio e Seneca, ma, per quello che riguarda la novellistica, ancora una volta, venga inteso come creatore di un grande repertorio a cui attingere per rielaborazioni, senza riuscire a conquistare, almeno nei primi secoli di questa ricezione, una voce autorevole e riconosciuta nel panorama letterario.

Gli scenari più ricchi e complessi sono quelli di Francia e Germania, dove al fiorire di traduzioni ed edizioni precoci, si associò un forte intreccio di richiami ed ispirazioni da parte degli autori locali che, pur declinando in modo originale aspetti della narrativa e della sensibilità boccacciane, non mancarono di riconoscerne in modo aperto l’ascendenza.

La complessità del rapporto tra il Decameron e l’Heptaméron di Margherita di Navarra (1558) è già stata studiata molto a fondo: l’ispirazione diretta, la costruzione analoga della cornice, l’utilizzo del cliché dell’occasione e il medesimo concetto di pubblico come gruppo sociale esclusivo sono stati oggetto di contributi critici che non possono essere in alcun modo integrati. Per questo si rimanda semplicemente al lavoro di Lionello Sozzi, Boccaccio in Francia nel Cinquecento, che ha evidenziato i vistosi punti di contatto e le più complesse distanze tra l’opera italiana e quella francese.

Boccaccio - Monumento di Augusto Passaglia a Certaldo

La distanza tra l’orizzonte culturale francese, principesco ed aristocratico, e quello, mercantile italiano è, come già evidenziato in più punti, alla base di una percezione più moralistico – precettistica, oppure decisamente galante: alle porte del Seicento, Boccaccio giunse quindi universalmente conosciuto ma non altrettanto compreso. Giorgio Mirandola, che ha dedicato uno studio alla fortuna di Boccaccio nel Seicento, parla di una sorta di “processo di cristallizzazione” attraverso cui gli aspetti approvati vennero filtrati e imitati dalla letteratura francese, quelli rigettati invece furono omessi. Questa operazione, fortemente de-storicizzante, fu rinforzata dal conflitto tra giansenisti e libertini: i primi, naturalmente, tacciarono Boccaccio di immoralità, i secondi lo difesero e promossero nei loro circuiti culturali.

L’autore francese del XVII secolo che sentì con maggiore intensità l’influsso boccacciano fu Jean de la Fontaine che, nei suoi Contes, pur non celando mai il peso di questa influenza, rielaborò scenari, motivi ed intrecci e produsse una sistematica rimodulazione del dato drammatico di ogni storia. Il tessuto narrativo di la Fontaine è sempre meno ardito, gli accenti polemici smorzati, ogni accenno critico alla religione omesso, la descrizione della passione reimpostata su un tono quasi aneddotico: l’effetto finale, interessantissimo ed unitario, è quello di una stessa materia rivoluzionata dall’interno e animata dei motivi e dell’etica di un’altra epoca.

Nella cultura tedesca, il Decameron ebbe un ingresso precoce e lento – per tutto il XV secolo ci fu una sola riedizione – ma raggiunse una popolarità grandiosa nel secolo successivo, anche grazie al ruolo propulsore del centro culturale di Norimberga. La figura di spicco è quella di Häns Sachs, il “poeta-calzolaio” che, attingendo a piene mani agli intrecci e alle situazioni del Decameron, li mise però al servizio della morale luterana, pur non trascurando mai le componenti facete e carnevalesche: il reimpasto finale dà vita ad una struttura formalmente decameroniana, animata da uno spirito che sembra piuttosto vicino a quello delle opere latine, consegnata da Sachs al grande pubblico tedesco. Il Decameron fu fonte di ispirazione anche per Goethe, che però oscurò le dirette ascendenze boccacciane nelle sue Conversazioni di emigrati tedeschi (1795), e per Lessing che, invece, si avvicinò al testo senza preconcetti morali, osservando e rielaborando in modo divertito quella sorta di “folklore” letterario italiano e facendo della parabola degli anelli (III novella della I giornata) la base del suo Nathan.

Questo breve articolo, senza la pretesa di aver offerto un quadro neppure minimamente esaustivo, ha tentato di fornire delle linee tematiche, alcune già molto studiate, altre – come, ad esempio, il rapporto tra Goethe e Boccaccio – che meritano di essere indagate più a fondo. La rivoluzione delle forme operata da Boccaccio, testimone ed interprete di un mondo in mutamento, venne esportata per canali diversi, dai più vari messaggeri e non lasciò insensibili i grandi uomini delle letterature europee. Non sempre la novità trecentesca è sopravvissuta, con il suo colore unico, alle distanze storiche e culturali e spesso alcuni aspetti di complessità morale alla base dell’azione umana dei personaggi di Boccaccio sono andati perduti o sono riemersi sbiaditi attraverso i secoli.

Questa lunghissima ricezione ci consegna però una lezione futura e un prisma sfaccettato attraverso il quale osservare la ricchezza delle letterature d’Europa, non sempre viste e indagate senza quel velo “enfatico”, per non dire riduttivo e fuorviante, che rischia di allontanarcele invece di avvicinarcele o al contrario quella smania di attualizzazione che “impone” quella vicinanza. Leggiamo, ad esempio:

Come l’accorto giardiniere traccia precisi sentieri
attorno ad aiuole recintate con grazia, senza soffocare,
ma soltanto curando ciò che vi fiorisce,
perché la forza delle piante si sviluppi rigogliosa:
così è Boccaccio che si adopra ad ordinare
l’insieme di storie come un tappeto di fiori;
tutto intorno adornato di allegri discorsi,
di gioia campagnola, di giochi, di canti,
che brillano come una cornice dorata.
Il profumo del giardino stordisce la dolce gioventù,
scaccia il pudore laddove esso ama arrossire,
e perfino i furbi imparano nuovi trucchi:
e si mette il poeta a difendere le nobili dame,
fiducioso nella loro virtù e costumatezza
che nemmeno un soffio può colpire.

August Wilhelm Schlegel
(“Poetische Werke”)

Ilaria Rossini
Università per Stranieri di Perugia

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SOMMARIO BOCCACCIO 700

 L’EDITORIALE

Né come Dante né come Petrarca: su Boccaccio rimatore, di Roberto Fedi

Boccaccio, il Decameron e la questione della lingua italiana, di Anna Mori

La voce a Boccaccio: Madonna Oretta, Giornata VI, Novella 1, di Floriana Calitti

Intervista a Giancarlo Alfano. L’intrigante Decameron, tra passato, presente e futuro, di Giovanni Capecchi

Il Decameron al cinema. Un’opera all’origine di tanti film, di Gianfranco Bogliari

Boccaccio in Europa. Non solo il Decameron, di Ilaria Rossini

L’affascinante storia editoriale del nuovo testo del “Decameron”. Intervista a Maurizio Fiorilla. Di Stefania Modano

Boccaccio e lo straordinario successo del tema del “cuore mangiato”, di Floriana Calitti.

Intervista di Floriana Calitti ad Amedeo Quondam. Le cose e le parole del mondo nel “Decameron” di Boccaccio.

Nastagio degli Onesti e l’exemplum della caccia infernale, di Floriana Calitti

Il dono della sposa. Boccaccio, Botticelli e la pittura del Quattrocento di Anna Maria Panzera

Boccaccio narratore in versi: Il “Ninfale fiesolano” di Daniele Piccini

Boccaccio e le “conclusioni del Decameron” di Luigi Surdich

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

JOAQUIN ARCE, Boccaccio nella letteratura castigliana, in Il Boccaccio nelle culture e letterature nazionali, a cura di Francesco Mazzoni, Firenze, Olschki, 1978.

VITTORE BRANCA, Boccaccio protagonista nell’Europa letteraria tra tardo Medioevo e Rinascimento, Cuadernos de Filologia Italiana, 2001.

FRANS DENISSEN, Boccaccio nei Paesi Bassi, in Fortuna e traduzioni del ‘Decameron’ in Europa, in Atti del trentacinquesimo convegno sui problemi della traduzione letteraria e scientifica.

FRANCESCO DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, a cura di Giorgio Luti e Giuliano Innamorati, Firenze, Sansoni, 1960.

HEINRIN FEDERER, Literarische Studien, Luzern, 1966.

HENRI HAUVETTE, Les plus anciennes traductions françaises de Boccace (XIVe-XVIIe siècle), in Bulletin italien 1907-1909.

FRANCO SIMONE, Giovanni Boccaccio ‘fabbro’ della sua prima fortuna francese, in Atti del convegno ‘L’opera del Boccaccio nella cultura francese’, Certaldo 2-6 settembre 1968, a cura di Carlo Pellegrini, Firenze, Olschki, 1971.

VIKTOR B. SKLOVSKJI, La struttura della novella e del romanzo, in I formalisti russi. Teoria e metodo critico, a cura di T. Todorov, Torino, Einaudi, 1968.

LIONELLO SOZZI, Boccaccio in Francia nel Cinquecento, Firenze, Olschki, 1971.

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