Leggendo il libro di Antonio Scurati: M, il figlio del secolo

Questa non è una recensione è una confessione. Sto leggendo il libro del napoletano, ormai di adozione milanese, Antonio Scurati: “M, il figlio del secolo” (Bompiani Edizioni 2018). Il caso letterario dell’anno che, prima che sarà uno storico romanzo, è un romanzo storico, sugli anni che, dopo la grande guerra, porteranno Mussolini al potere e il fascismo in Italia.

Confesso, il libro, più che voluminoso con le sue ottocento e passa pagine, più mi ci addentro, più mi appassiona e mi inquieta per le tante similitudini proprio con i nostri giorni. Al netto di qualche errorino storico, segnalato opportunamente dal magnifico Galli della Loggia, il romanzo è frutto di una consistente ricerca, documentata, spesso e volentieri, anche nelle stesse pagine dello Scurati.

Intervengo ora, magari a libro letto, passero’ dalla confessione alla recensione, perché un po’ ovunque, e anche nel nostro sito, c’è un fiorire di esorcismi contro il fascismo che avanzerebbe anche nell’Italia del terzo millennio. C’è un correre a rassicurare amici e compagni che il fascismo non c’è più, sconfitto dalla storia, uscito dalle mode italiche, vieppiù, un continuo sforzarsi a dire che interi settori politici, specie la sinistra, usano lo spauracchio fascista per nascondere le proprie manchevolezze e il vuoto dei propri progetti.

Leggetelo M, vi accorgerete che, se anche il contesto è diverso, le motivazioni popolari, tutte proprie di quel tempo, sono simili alle odierne, con quel cupo risentimento che se ne infischia della responsabilità democratica e del rispetto delle regole e cosi sembrerebbe che proprio il popolo vorrebbe lenire, oggi come ieri, il proprio dolore affidandosi all’uomo forte, quello con i ‘coglioni’, che viene a liberarci dalle nostre frustrazioni ataviche.

Ieri come oggi c’è una Europa dilaniata, allora dalla fine della guerra, dalla vendicativa “pace di Versailles”, con gli italiani poco considerati, pur vincitori, dopo 600.000 soldati sacrificati al fronte, con Orlando, allora capo del governo e il ministro degli esteri Sidney Sonnino, che abbandonano le trattative, ma che alla fine pur lo firmeranno il trattato, senza ottenere quelle promesse che avevano spinto loro e l’intero paese alla “bella guerra”. “La vittoria mutilata” dirà il vate D’Annunzio, altro protagonista del nostro romanzo storico.

C’èra una sinistra ad un passo dal successo, la rivoluzione, già sperimentata con successo nella Russia che sarà Unione Sovietica, ma come sempre la sinistra temporeggia, si divide (ieri come oggi) e la rivoluzione non arriverà mai, mentre nelle campagne e nelle officine la lotta tra lavoratori e padroni assume toni tragici, con scioperi perenni, otto mesi consecutivi, dopo che già anni prima, con la Settimana rossa, la penisola aveva sussultato al limite della rivoluzione, ma allora Mussolini era dall’altra parte della trincea, tra i socialisti.

Mussolini nel 1920 commenta: “ I socialisti la rivoluzione non la faranno mai”. Del resto lo diceva anche quel meraviglioso ed ironico intellettuale che fu Longanesi: “In Italia non è possibile fare la rivoluzione, ci conosciamo tutti”. E di fatto la rivoluzione non avverrà mai, malgrado che i fascisti alle elezioni del ’19 fossero usciti con le ossa rotte, ridicolizzati, tanto (lo ricorda Scurati) che per un momento a Mussolini viene voglia di lasciar perdere il giornale e addirittura di cambiare mestiere.

La rivoluzione non arriva, malgrado i socialisti abbiano stravinto quelle elezioni, saranno il primo partito in Parlamento, con una maggioranza schiacciante, come lo furono quelli del PD, appena qualche anno fa dopo le europee, ma allora come oggi, la sinistra invece di fare la rivoluzione, o più pacificamente di trasformare compatto il paese per migliorarlo, modernizzarlo, renderlo più equo e libero, provvide e provvede a dividersi e lacerarsi, mentre tra scioperi, scontri e violenze, la paura cresce e veniva fuori, allora come oggi, il solito bisogno italiano di affidarsi ad un castigamatti, che venga ad imporre il pugno forte. E’ proprio vero che la democrazia se non matura con la partecipazione e il coinvolgimento non serve a niente.

Rimontava, allora come oggi, tutto il rancore per una guerra combattuta con onore, ma che alla fine si era rivelata inutile, con una sinistra che al più sapeva solo sbeffeggiare i reduci e commiserare le vittime. Paura e rancore ieri come oggi, ci hanno portato ad un sfiducia in noi stessi italiani, che alla fine avvertiamo il ricadere sulle nostre teste delle nostre colpe, ma allo stesso tempo con frustrazione avvertiamo di essere dei “peccatori” che hanno nel loro DNA molte responsabilità sulle storture del paese. Come sempre l’Italia si divideva e lacerava.

Antonio Scurati

Allora, a mettere fine ad anni di scioperi, scontri, e a violenze ora dimenticate ma che Scurati ci riporta in luce in tutta la loro tragicità, ci penso prima Giolitti, il mediatore, richiamato dal re alla politica mentre consumava i suoi giorni nel suo “eremo” in Piemonte. Lui miglioro’ la situazione imponendo ai padroni un accordo salariale molto più consistente per i lavoratori e finanche la promessa di far partecipare questi ai processi di produzione, una promessa che resterà lettera morta. Loro, i lavoratori, cessano gli scioperi, accettano e, come ricorda Scurati, piegheranno la promessa rivoluzione ad un più semplice adeguamento salariale. Non si puo’ fare. Ci conosciamo tutti ed abbiamo famiglia.

Anche con Renzi e Gentiloni, la situazione economica del paese era più che migliorata, ma il rancore e la frustrazione per la mancata, in questo caso, pacifica rivoluzione, oggi come ieri, è rimasta. Le solite divisioni della sinistra hanno poi fatto il resto.

Salvini non è Mussolini, verrebbe da chiedersi chi dei due si sentirebbe più offeso dall’accostamento, ma è cosi passato da percentuali irrisorie di voti, come il Mussolini del ’19, Salvini è oggi il vero leader del paese, molto più dei grillini ridotti ad un ruolo secondario, venendo acclamato dalle masse e non capito dalla sinistra, che ancora incredula, vanamente si chiede in cosa ha sbagliato. E cosi che Salvini (il comandante, Mussolini fu il duce) oggi piace a più del 50% degli italiani. Se ora si votasse potrebbe forse governare da solo. Possiamo davvero essere certi che non imporrebbe una dittatura nel Paese?

Cosi si è passati dal “Me ne frego” degli arditi, che Mussolini fece suo, al “me ne frego” di Salvini che non dà risposte a quelle masse se non accanendosi contro nemici occulti e prefabbricati come gli immigrati, e, ad ogni colpo di ruspa, il suo consenso cresce, ma non la condizione sociale, economica e culturale degli italiani, alle masse inascoltate residua solo la sete di vendetta che alla fine diventa voglia di sangue, “Sangue Morlacco” , per ricordare il vino caro a D’Annunzio.

Gli italiani non sono un popolo ideologico, sono familisti, magari individualisti, non vogliono caricarsi di troppe responsabilità, sono solidali solo in casi estremi, ambiscono a soluzioni semplici, quando non semplicistiche. Cantano l’inno di Mameli allo stadio se giocano gli azzurri, forse oggi neanche quello…pensano alla sistemazione dei figli e se la democrazia è troppo complicata, se la burocrazia è troppo contorta, se non riescono in qualcosa, temono il complotto giudaico plutocratico ed invocano il tiranno, il condottiero, il comandante.

A sinistra fare il tiranno è cosa complicata, ma nella destra “se po fa”, come dicono a Roma, l’eterna città.

Veleno

***

È un romanzo, sì, ma un romanzo in cui d’inventato non c’è nulla. Al contrario, ogni singolo accadimento, personaggio, dialogo o discorso è storicamente documentato o autorevolmente testimoniato da più di una fonte. È la storia dell’Italia tra il 1919 e il 1925, dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento al delitto Matteotti, la storia di un Paese che si consegna alla dittatura, la storia di un uomo (M, il figlio del secolo) che rinasce molte volte dalle proprie ceneri. La storia della Storia che ci ha resi quello che siamo.

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