L’Appunto mensile di Alberto Toscano – gennaio 2021

Comincio da dove ho concluso l’appunto di dicembre, ossia dagli auguri.

Non ricordo d’averne mai fatti-ricevuti così tanti nello spazio di qualche mese. Prima gli Chana Tovà per il Capodanno ebraico, seguiti dai messaggi per Hannukkah, la festa ebraica dei lumi. Poi una valanga di Buon Natale e naturalmente di Buon Capodanno (quello «capodannoso» del Primo gennaio). Il 6 gennaio ci siamo augurati una buona festa dell’Epifania, con l’ovvio auspicio di ricevere stavolta – sui cammelli di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre – casse e casse di vaccini (all’oro, senza bisogno di cammelli, pensano Merkel, Lagarde e Von der Leyen). Digerito il panettone e trovata la sorpresina nell’ultima galette des rois, siamo pronti agli auguri per il Capodanno cinese. In altri tempi questa ricorrenza provocava pittoresche sfilate nelle metropoli del mondo intero. Oggi solo a Wuhan, dove tutto è cominciato, la gente passeggia tranquilla per le strade. Magari col pangolino al guinzaglio. In un pianeta globalizzato, il calendario cinese ha la sua importanza. Siamo agli sgoccioli dell’anno del topo, con l’augurio che nelle nostre città (alludo per esempio e per esperienza personale a Parigi) finisca la massiccia presenza di questi roditori, così simpatici quando se ne stanno nel loro habitat ideale: i cartoni animati. Il 12 febbraio festeggeremo dunque il passaggio dall’anno del topo all’anno del bufalo, cosa che a noi italiani fa sognare un avvenire di mozzarelle. Poi (in attesa della Pasqua e della festività islamica dell’Aïd el Kebir) toccherà al Carnevale, con la buona notizia che quest’anno risparmieremo sulle maschere.

Immagino che la bulimia augurale non dipenda solo da religioni e tradizioni. Quelle ci sono sempre state e sempre ci saranno. Forse quest’anno abbiamo bisogno di dirci un implicito « ce l’abbiamo fatta ! ». Percepiamo uno speciale desiderio di stringerci insieme, tra amici e parenti, anche se la distanza geografica e il rigore delle norme sanitarie ci separano da chi ci sta a cuore. Ci guardiamo al computer e al telefonino: « Com’è diventato grande Jacopo ! E come va a scuola Niki ? Come dici ? Non va a scuola da tempo perché la maestra è a casa col Covid e quella di un’altra classe è all’ospedale. Accidenti ! Buon anno ! ». Comunque riusciamo a sentirci gli uni accanto agli altri nello stappare Champagne e Prosecco. Abbiamo voglia di dire – agli altri e a noi stessi – che siamo ancora qui, malgrado tutto. Come se, pensando al domani, incrociassimo le dita o facessimo i proverbiali scongiuri italici che è meglio non descrivere. Tutto ci fa pensare a questa sorta di peste che abbiamo intorno a noi e magari dentro di noi. Anche le canzoni del passato rimbalzano in questa attualità. Io amo i Beatles ♥ e mi piace sentirli cantare Let it be, con la frase: « quando la notte è nuvolosa c’è ancora una luce che splende su di me ». Nelle librerie – quelle che per fortuna non hanno ancora gettato la spugna – troviamo opere recentissime, che ci descrivono con molta abilità le pandemie e le resilienze dei tempi andati. Tra quelle uscite in Italia meritano, secondo me, una menzione particolare Racconti contagiosi di Siegmund Ginzberg (Feltrinelli) e I cantieri della storia di Federico Rampini (Mondadori).

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Intanto viviamo l’unica ricorrenza che non abbiamo alcuna voglia di festeggiare: un anno esatto da quel febbraio 2020, in cui la pandemia di Covid ha cominciato a manifestarsi in Italia e in Europa. Passavano le settimane e avevamo la sensazione di vivere un momento terribile. Passavano i mesi e ci siamo convinti che quel momento sarebbe stato una stagione. Passavano le stagioni e pensavamo che un anno intero della nostra vita sarebbe stato scandito dal ritmo della malattia. Adesso non sappiamo più cosa pensare, mentre dai teleschermi italiani (trasmissione Di Martedì il 12 gennaio sulla 7) una scienziata ci dice che solo nel 2023 la nostra vita tornerà quella di prima. Peccato che nel 2023 noi non saremo più quelli di prima. In primavera credevamo di essere tutti comparse sul set di un film dell’orrore e in autunno ci siamo chiesti perché mai un regista pazzo abbia voluto girarne il remake. Adesso nuotiamo dentro una telenovela di cui non conosciamo il numero delle puntate.

Conosciamo invece il numero dei morti. «Quest’anno supereremo il tetto dei 700 mila decessi complessivi ; l’ultima volta che siamo andati oltre questo livello è stato nel 1944, durante la guerra», ha detto a metà dicembre 2020 Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istituto nazionale di statistica, Istat. Nell’anno 2019 la cifra totale dei morti in Italia era stata 647 000. La differenza tra il 2020 e il 2019 dipende evidentemente dal Covid (le cui vittime italiane hanno superato il 14 gennaio 2021 il livello di 80 mila). Il 31 dicembre 2019 c’erano in Italia 59 641 488 residenti (circa 175 000 in meno rispetto al 2018). Questo dato lascia l’amaro in bocca, anche se nell’insieme dello scorso decennio la popolazione italiana non è variata di molto : il censimento del 2011 indicava il numero dei residenti in 59.433.744. Si invecchia di più e si nasce di meno. L’età media degli italiani nel 2019 è stata di due anni superiore a quella del 2011 (45 anni contro 43 anni). Nell’Italia del 1951 il numero delle persone anziane era inferiore a quello dei bambini ; nel 2011 c’erano 3,8 anziani per ogni bambino ; nel 2019 ce n’erano 5. Il rapporto tra la popolazione di almeno 65 anni e quella con meno di 15 anni, era del 33,5 per cento nel 1951, del 148,7 per cento nel 2001 ed è arrivato al 180 per cento nel 2019.

In questi mesi di pandemia abbiamo ascoltato affermazioni d’ogni genere, compresi discorsi di pessimo gusto a proposito della strage degli anziani (che non sarebbe poi così grave, dato che « i vecchi sono spesso malati »). Nell’Europa intera, e in particolare proprio in Italia, il numero degli ultrasettantenni è molto aumentato dalla fine della Seconda Guerra mondiale in poi. C’è del resto chi vede una correlazione diretta tra il numero elevato degli italiani anziani e l’alto numero di vittime del Covid nella Penisola. Può darsi. Questi discorsi rischiano tuttavia di farci dimenticare una cosa elementare : il problema italiano non sta nell’abbondanza di vecchi ma nella scarsità di giovani. Nei nostri paesi la vita media è molto aumentata e di questo possiamo rallegrarci tutti quanti, a cominciare proprio dai giovani. Con un misto tra rassegnazione e soddisfazione, mia mamma amava ripetere l’aforisma secondo cui « invecchiare è il solo modo per vivere a lungo ». Se non fosse partita cinque anni fa, in questi giorni avrebbe spento 107 candeline. Roba da pompieri.

Mia madre ha avuto la fortuna di non essere sola negli ultimi anni della sua vita, ma questa epidemia di Covid dimostra quanto la propria solitudine e l’altrui indifferenza siano per gli anziani una realtà terribile. Una località italiana di cinquemila abitanti – si chiama Villa del Conte ed è in provincia di Padova – ha preso a questo proposito un’iniziativa carica di buon senso : creare il posto di assessore (adjoint au maire), responsabile per la lotta alla solitudine. Ci vorrebbe anche un ministero di questa natura. Vengono in mente le parole e le note musicali della più celebre italiana di Francia, che qualche anno prima d’entrare all’Eliseo ha annunciato il suo programma politico cantando questi versi : « Il faudrait que tout l’monde réclame / auprès des autorités / Une loi contre toute notre solitude / Que personne ne soit oublié ». E ancora « Il faudrait que tout l’monde réclame / auprès des autorités / Une loi contre toute notre indifférence / Que personne ne soit oublié ». Sarebbe stato bello se, negli anni in cui ha vissuto nel cuore del potere, Carla Bruni avesse avuto l’opportunità per compiere il miracolo da lei stessa auspicato con la sua canzone Tout le monde (che vi consiglio di riascoltare).
Nel testo di quel brano c’è anche la frase « Tout le monde a des restes de rêves / Et des coins de vie dévastés », che mi fa pensare a ben altro genere di solitudine : quella dei bambini e degli adolescenti, oggetto di abusi sessuali, che sono non di rado incestuosi. Quell’idea di coins de vie dévastés richiama inevitabilmente alla memoria il libro (a mio avviso molto bello) di Camille Kouchner La familia grande (edizioni Seuil), di cui la Francia intera parla in questo inizio di 2021. Ne parla con comprensibile tristezza, quasi che le vicende del Covid e le polemiche sui vaccini non bastassero a preoccuparla.

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Tra le conseguenze del Covid, almeno una è promettente : il diffondersi dell’uso delle carte di credito anche negli Stati che – come l’Italia – sembravano più refrattari a questo riguardo. Il punto non sono certo le carte di credito in sé, ma le ragioni della tradizionale simpatia italica per il denaro liquido, che desta qualche sospetto in tempi di lotta all’evasione fiscale. Oggi un’amministrazione pubblica efficace ha bisogno come il pane della tracciabilità dei pagamenti. Il 13 gennaio il Corriere della Sera ha pubblicato la lettera di un lettore a proposito dell’eventuale « contributo di solidarietà » da chiedere agli italiani per migliorare le finanze pubbliche. Ma un contributo generalizzato sarebbe un’assurdità : bisogna far pagare i furbi senza tartassare ulteriormente gli onesti. La gran parte degli italiani (a cominciare dai lavoratori dipendenti e dai pensionati) pagano fin troppe tasse e fanno già oggi parte del popolo dei « tartassati » (parola che peraltro coincide col titolo di un delizioso film del 1959, realizzato da Steno con la straordinaria troika Totò-Louis de Funès-Aldo Fabrizi). I pagamenti in nero fanno immediatamente pensare all’evasione fiscale (e magari anche a cose peggiori). Come diceva Confucio, « tracciabilità fa rima con legalità » (se non lo diceva, non verrà certo a smentirmi). In tempi di Covid, la voglia di ridurre i contatti fisici ci spinge a limitare anche il ricorso a monete e banconote, servendoci invece di carte di credito. Speriamo che questa sana abitudine (sana in tutti i sensi) duri più del virus.

Uno dei sistemi usati in Italia per incentivare il ricorso ai pagamenti tracciabili è la « lotteria degli scontrini fiscali ». In pratica si incentiva l’uso degli scontrini trasformandoli in biglietti della lotteria. È bizzarro come l’idea delle lotterie si stia affermando come strumento per la riforma politico-amministrativa delle nostre società. In Italia si ricorre al sorteggio tra gli scontrini fiscali per limitare le transazioni « in nero » e combattere l’evasione. Ecco la tv affermare con voce suadente: « Con la lotteria degli scontrini puoi vincere fino a cinque milioni di euro. Guadagni, vinci e cambi il Paese ! ». Meno male che possiamo cambiarlo, anche se non è sempre opportuno demandare questo compito alla Dea bendata.

Intanto in Francia il governo ha pensato di creare un comitato di 35 cittadini, estratti a sorte per intervenire nella campagna di vaccinazioni anti-Covid. « Votre nom sera-t-il pioché ? », chiede France-Info. « Le tirage au sort des 35 membres du futur collectif de citoyens chargé de se prononcer sur la stratégie vaccinale française contre le coronavirus débutera lundi 4 janvier », annuncia solennemente il Conseil économique, social et environnemental, che partecipa all’iniziativa. Già durante la campagna presidenziale francese del 2017, qualche candidato si era mostrato sensibile all’ipotesi, di cui si è riparlato all’epoca dei gilets jaunes, dell’estrazione a sorte di semplici cittadini a cui affidare funzioni rappresentative o consultive nel contesto di una possibile riforma istituzionale. Che si tratti di lotta all’evasione fiscale o di impegno per la salute pubblica, abbiamo tutti bisogno delle lotterie. Sperando che la fortuna sia dalla nostra parte.

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Le nostre tragedie passate non sono state la conseguenza di sfortuna, ma di errori da noi stessi commessi. Purtroppo la nostra società rischia di avere la memoria corta e questo è un grosso pericolo. Giocare col passato è come scherzare col fuoco : si rischia di ripetere gli errori. Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, istituito in coincidenza con la liberazione, nel 1945, del campo di sterminio di Auschwitz. Credo abbiamo tutti bisogno di serietà e di giustizia, di passione e di coraggio, nel ricostruire la memoria a beneficio di noi stessi e delle future generazioni. Questo è il senso della memoria. Questo è in fin dei conti il senso stesso della storia : capire il passato pensando anche al futuro. In occasione della giornata del 27 gennaio, a me preme ricordare un episodio che ci regala un po’ d’ottimismo : il « miracolo » che accadde nell’Italia del 1943-44, quando nacque – tra Liguria, Toscana e Umbria – una rete clandestina di aiuto ai perseguitati, composta dalla Chiesa cattolica, dalla Comunità  ebraica e dalle varie componenti della Resistenza. Tutti insieme per salvare le vittime dell’odio nazifascista. In particolare gli ebrei, che a centinaia furono nascosti nei monasteri e che in molti casi si salvarono grazie a falsi documenti di identità, procurati loro da quell’attivissima rete clandestina. Tanti uomini e donne facevano parte di questo grande e complesso meccanismo : vescovi, rabbini, suore, tipografi e impiegati delle prefetture (pronti a sottrarre timbri veri per i documenti falsi). Un ingranaggio – un semplice e prezioso ingranaggio – di quel meccanismo era un « postino » molto particolare di nome Gino Bartali, che trasportava i falsi documenti d’identità nascondendoli nella propria bicicletta. Bartali non ha mai parlato dei propri atti d’eroismo, ma nel 2005 il presidente Carlo Azeglio Ciampi gli ha attribuito, a titolo postumo (era morto da cinque anni), la medaglia d’oro al merito civile della Repubblica italiana. In quello stesso anno, l’Assemblea generale dell’ONU ha scelto la data del 27 gennaio per ricordare le vittime della Shoah. Visto che si parla di auguri, auguro a tutti noi di considerare sempre la memoria come una risorsa e mai come un’ossessione.

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Di ossessioni ce ne sono già fin troppe nella politica ai due lati delle Alpi. Per fortuna ci sono anche le utopie, una delle quali ci viene riproposta da un recente film italiano : L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, realizzato dal trentanovenne regista salernitano Sydney Sibilia (lo trovate su Netflix; il titolo in francese è L’Incroyable Histoire de l’Île de la Rose). Ve lo consiglio caldamente, anche per il piacere di guardare l’Adriatico mentre siamo immersi nel grigiore di questo inverno. Sempre nel tentativo di pensare ad altro, ho pescato dalla mia libreria un volume uscito da Rizzoli nel 1975. Si intitola Berlinguer e il Professore ed è una storia immaginaria, scritta da un autore ufficialmente anonimo (in realtà si tratta del giornalista Gianfranco Piazzesi) in un periodo di sconvolgimenti della politica italiana. Piazzesi è morto esattamente vent’anni fa, ma se fosse tra noi oggi avrebbe probabilmente voglia di ripetere le parole con cui ha cominciato quel suo best-seller fantapolitico : « Anch’io, assieme a tutti gli italiani, mi sono spesso domandato come andrà a finire. Pensando e ripensando, mi sono accorto che con l’analisi politica non riuscivo a trovare nessuna logica soluzione alla crisi in cui siamo sprofondati, e che il metodo meno irrazionale per soddisfare la mia curiosità consisteva nel fantasticare».

E allora fantasticate, gente, fantasticate! Lo stanno facendo anche a Roma, in Parlamento, e speriamo finisca bene : c’è da gestire un’immensa galette des rois di 222 miliardi di euro, che può essere la base della nostra salvezza o del nostro naufragio. Io posso solo farvi (per l’ultima volta perché siamo già nella seconda metà di gennaio) gli auguri di buon 2021.

Alberto Toscano

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Alberto Toscano
Alberto Toscano est docteur en Sciences politiques à l’Université de Milan, journaliste depuis 1975 et correspondant de la presse italienne à Paris depuis 1986. Ex-président de la Presse étrangère, il est l’un des journalistes étrangers les plus présents sur les chaînes radio-télé françaises. A partir de 1999, il anime à Paris le Club de la presse européenne. Parmi ses livres, ‘Sacrés Italiens’ (Armand Colin, 2014), ‘Gino Bartali, un vélo contre la barbarie nazie', 2018), 'Ti amo Francia : De Léonard de Vinci à Pierre Cardin, ces Italiens qui ont fait la France' (Paris, Armand Colin, 2019), Gli italiani che hanno fatto la Francia (Baldini-Castoldi, Milan, 2020), Mussolini, "Un homme à nous" : La France et la marche sur Rome, Paris (Armand Colin, 2022)

2 Commentaires

  1. « Augurarsi equivale ad illudersi », diceva anche forse Confucio (e se non lo diceva, di certo non verrà a smentire neppure me !!), per cui vorrei, io, smentire quanto appena detto e, senza bisogno di tornare su tutti gli auguri/scongiuri egregiamente elencati dall’amico Alberto Toscano, aggiungerci invece quello di riuscire finalmente a vederci per scambiare sulla nostra amata Italia vista e vissuta tramite il prisma della « parigianità » che ci accomuna ! A bientò, cher ami !

  2. Caro Alberto,
    anch’io mi unisco agli auguri – tardivi, ma molto sentiti – di buon 2021!
    Da parecchio tempo che non ci sentivamo (da molti mesi mia moglie e io vorremmo ritornare a Parigi, ma ancora adesso il COVID non ce lo permette) e mi fa ha fatto molto piacere leggere i tuoi commenti, sempre originali e acuti. Grazie.
    Spero di rivederti presto. Abbracci
    Mario

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