In un libro di Gualtiero De Santi: “Ritratto di Zavattini scrittore”, un intellettuale contro.

Nel Trentennale della scomparsa di Cesare Zavattini ed anche nell’approssimarsi di un convegno che a Reggio Emilia ne riporterà in luce la figura, vogliamo ricordarlo attraverso un libro di Gualtiero De Santi che ha in stampa una nuova opera dedicata all’indimenticabile scrittore, sceneggiatore ma soprattutto intellettuale che con i suoi interventi, sempre originali e fuori tendenza, segnò un’epoca.

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Zavattini recensione AltritalianiCesare Zavattini è stato un personaggio poliedrico, sceneggiatore e scrittore tra i più importanti del ‘900, ma anche giornalista, commediografo, poeta, pittore, e come esponente del neorealismo, del quale fu anche teorico, fu grandemente apprezzato anche all’estero. Il libro di Gualtiero De Santi rende giustamente onore al merito del “nostro” Za nella sua totalità ma soprattutto come scrittore.

A Pesaro, molti ricorderanno che il libro ebbe nel 2015 una presentazione, nella sala del Consiglio Comunale, arricchita dalla brillante lettura di alcuni brani letterari da parte dell’attore urbinate Roberto Rossini. Durante la stessa, De Santi aveva ricordato un fatto  accaduto più di trent’anni prima sempre a Pesaro. Zavattini era stato invitato alla Mostra del Nuovo Cinema nel 1974 per parlare del Neorealismo. Erano presenti molti giovani intellettuali, alcuni appartenenti politicamente alla Nuova Sinistra che lo sottoposero a un vero e proprio processo. Lo si accusava di essere stato troppo sentimentale e dunque politicamente socialdemocratico, per niente rivoluzionario e non davvero legato alla gente umile nella sua produzione cinematografica.

La circostanza fu davvero incresciosa per lo sceneggiatore che dovette abbassare la testa davanti a tanta arroganza. L’accadimento venne ricordato dal critico Pietro Bianchi che era con lui già alla “Gazzetta” di Parma nei primi anni ’30. In quell’occasione, venne però taciuto il ruolo svolto da Zavattini su scala internazionale, anticipatore e maestro del cinema underground e dei documentari (e cinegiornali) politici fioriti dal ’68 in poi, nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti.

Il carattere non banalmente sentimentale dell’autore ma invece intensamente umano,  emerge nella scrittura poetica neo-volgare cui Za è arrivato relativamente tardi ma con un  libro «Stricarm’ in d’na parola» che è forse in assoluto la sua opera migliore. Il trauma che Zavattini teneva dentro sé, fin da bambino, viene fatto emergere attraverso la lingua dialettale: “invecchiando vorrei / buttare fuori in dialetto / certe cose tenute dentro in italiano”. Così nei versi d’avvio di Invcend, scritto in un luzzarese in cui entrano intarsi anche di una gergalità basso-mantovana.

Zavattini è sceneggiatore e scrittore tra i più importanti del ‘900. Le sue qualità di grande scrittore per il cinema emergono anche nel film La veritàaa (1982), in cui i temi delle libertà personali e del corpo, come del pensiero collettivo, vengono resi vivi dalla tecnica del monologo, che è sì teatrale ma, come voleva Za, di un “non teatro”. Gli interrogativi posti sulla libertà di Antonio, il personaggio principale di quel film, sono di carattere autobiografico; lo scrittore cerca di aprire, attraverso la scrittura e il cinema, un dialogo con il suo alter ego.

Il primo progetto del film risale al ’62, e allora Zavattini proponeva un miscuglio tra l’inchiesta e i ritmi narrativi dello slaptick che caratterizzarono la sua immaginazione fino dagli anni ’30. Quando Za lo riprese, pensò di affidare il ruolo principale all’attore toscano Roberto Benigni, erede – se così vogliamo definirlo – di quella tradizione cinematografica per qualità oratorie e di divertimento che suscitava nel pubblico. Il soggetto, però, mutò negli anni ’80: il film si era ridotto a un’opera con una trama più semplificata di circa un’oretta e non troppo costosa, da produrre per la RAI.

D’altronde la sceneggiatura di Zavattini non richiedeva degli sviluppi propri, ma si doveva adattare alle esigenze di un percorso libero; infatti era un cinema sperimentale che andava in tutt’altre direzioni rispetto alla produzione corrente. “Il cinema è per Zavattini il medium che accogliendo in sé la parola, poi in fatto tende a superarla. D’altronde – scrive Gualtiero De Santi – … anche in Pirandello [che ebbe un ben segnabile influsso su Za] il meccanismo delle evocazioni presenta qualcosa di cinematografico, o almeno qualcosa che risulta debitore nei riguardi della riflessione cinematografica, avviata dallo scrittore siciliano già dentro i Quaderni di Serafino Gubbio operatore”.

Non è facile definire la figura di Zavattini perché egli è un personaggio molto ricco: è umorista, giornalista, fumettista, critico letterario, direttore di collane letterarie, direttore di giornali e persino di una rivista femminile in cui ha anche inventato una rubrica intitolata “I bambini ci guardano”, lettere di bambini alle loro madri (e/o sorelle).  Dagli anni ’30 sino  agli anni ‘70 Zavattini ha diretto e partecipato a numerose trasmissioni alla radio, che ha usato come mezzo moderno. Nella sua idea che tutto si potesse fare aveva scelto di parlare alla radio come strumento di diffusione e promozione culturale.

Le sue doti di creativo e di promotore di iniziative non terminano qui.  Fu sorprendente la sua attività di pubblicitario: per lanciare delle calze da donna organizzò il noleggio di un autobus che partiva da Milano, raggiungeva Venezia e arrivava a Rimini. Chiese a Giovanni D’Anzi di scrivere una canzone  Ma le gambe che divenne molto famosa. Fece parte anche di una commissione selezionatrice dei brani da presentare al Festival di San Remo. Su di lui si riversò l’inimicizia di Giuseppe Marotta perché non era stata ammessa la sua canzone.

Il suo talento è evidente anche in pittura, nonostante che il suo stile sia associato talvolta alla pittura naïve. Questa è una considerazione che tende troppo alla semplificazione più che alla comprensione dei suoi modi espressivi. Za era un attento osservatore e studioso degli artisti del Novecento. Nei quadri del suo appartamento in Via Sant’Angela Merici a Roma, appesi nello studio e in diverse altre stanze, si notano le influenze delle opere di Klee e di Kandinskij oppure c’è una tonalità informale che rimanda a Matta e a Dubuffet o a certi aspetti del gruppo Kobra.

Come si sa, Cesare Zavattini è una figura del cinema internazionale: è conosciuto sia in molti paesi d’Europa, sia negli U.S.A. perché ha scritto dei testi fondamentali per i film di De Sica (dei quali si ricordano Sciuscià, Ladri di bicilette, Miracolo a Milano, Umberto D., L’Oro di Napoli) e importante è stata anche la collaborazione con il regista Alessandro  Blasetti. Ha lavorato per quasi tutto il cinema italiano. Si è anche distinto come regista, infatti la pellicola La veritàaa è stata diretta da Za: il ruolo del “matto” che appunto dice e cerca la verità, doveva essere di Benigni, come abbiamo poco sopra detto e come è comprovato dalla documentazione pubblicata in “Paese Sera”.

Il fatto è che la scrittura letteraria di Zavattini evolve nella scrittura cinematografica tanto che è stata definita eventica: ciò avviene e si sviluppa per descrivere qualcosa. Le situazioni che esistono intorno a lui e che catturano la sua attenzione diventano motivo di una scrittura che trova la massima  applicazione nel cinema perché nelle sue immagini c’è  movimento. La scrittura è un filo narrativo logico che segue propri impulsi interiori. Ma segue anche parametri culturali, quelli ad es. di un ontologismo cinematografico che è nella scena della servetta di Umberto D. dove il cinema sembra maggiormente avvicinarsi alla realtà; e la realtà doveva essere per Zavattini il soggetto principale del cinema. Insomma  abbiamo in lui diverse evoluzioni.

Lo stile di Za non è poetico per definizione. Non lo vorrebbe essere, però in Miracolo a Milano lo è al massimo grado. Del resto Zavattini è poetico anche quando fa dell’umorismo.

In genere si pensa che gli umoristi non avessero avuto spazio durante il fascismo: invece ci furono allora molti umoristi, soprattutto in Padania. La linea umoristica di Za non è però banale: segue la linea che partendo da Leopardi arriva sino a Pirandello. L’umorismo di Za  presenta elementi epistemologici seri. Basti pensare a Miracolo a Milano.

libro di Gualtiero De Santi: “Ritratto di Zavattini scrittoreNella lezione di Matematica che vi viene raccontata e inscenata, l’autore di «Ritratto di Zavattini scrittore», il saggista e critico letterario Gualtiero De Santi, rileva come quel sembra un semplice gioco in realtà è concetto matematico che ha in sé l’episteme dell’infinito numerico. Nel  concetto di “+ 1”  è contenuto infatti il concetto di Infinito. Forse Zavattini lo sapeva, forse no. Forse le sue capacità inventive toccavano una serie di cose che andavano al di là delle sue conoscenze immediate.

Za pensa che la realtà possa essere modificabile come nel film Miracolo a Milano: emblematica è la scena di Totò il buono con la colomba. Ma questo viene dalla letteratura di Za: nel suo secondo libro, I poveri sono matti, c’è in una delle storie un bambino che torna da scuola, ma  precipita in un buco che si apre nella strada. Invano si tenta di liberarlo e la madre disperata viene consolata con un piatto di pastasciutta. Ma c’è un uomo che non si rassegna: e che rimane a guardare il buco perché per incanto il bambino potrebbe uscirne fuori, magari per forza di magnetismo e intensità mentale.

Qui siamo in un disegno surrealista: quando la realtà è bloccata va destrutturata nei suoi meccanismi costruttivi. La costante surrealista in Zavattini emerge anche da I poveri sono matti. Sembra quasi che Za applichi un dettame di André Breton che consigliava ai suoi compagni surrealisti di sondare e disciogliere i misteri della realtà. Uno dei questi stratagemmi o percorsi di ricerca era arrivare sino alle zone periferiche di Parigi, bussare a un uscio e chiedere se lì fosse in quella casa qualcuno che recasse lo stesso nome dell’improvvido e inatteso visitatore e magari le stesse fattezze.

Zavattini ha comunque sentito come limite il libro. Pensando che la scrittura sia troppo convenzionale, inserisce nella pagina disegnini. Le lettere si sciolgono dalla bocca e si sfaldano, la loro materialità viene meno.

Za non aveva rapporti di ufficialità con la società letteraria. Va a Firenze negli anni ‘30 dove incontra i nomi più importanti della nuova letteratura italiana. Però a Firenze vigeva l’Ermetismo, il culto della parola precisa, assoluta. A Zavattini non importava questo. Ma insorse allora anche il problema della sua collocazione. Da dove veniva ? da quale  scuola? Si cercò da parte della critica di inserirlo in alcune linee di ricerca. Si fecero nomi e ipotesi: per alcuni il suo umorismo assomigliava a quello inglese o tedesco, per altri ricordava gli umoristi francesi e americani. Ma in Za c’è anche una linea esistenziale. E il suo umorismo si intride di sensi intimi e gravi.

L’ultimo libro, La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini, che cosa racconta? La storia italiana, ma recuperandola dall’interno. Così la notte prima che Mussolini venisse fucilato lui, Za, si infila nella sua camera per tentare di dissuaderlo e così modificare il corso della storia.

Questi estri corrispondono però a stati di necessità. Scrive Zavattini: “una delle voglie luzzaresi che ho coltivato parecchio è un film in piazza che avrei interpretato io. Non per vanità o per presunzione istrionica. E anche se siamo decisi a giudicarci sul serio, non si può farsi imprestare da nessun altro neanche un gesto, ogni mediazione diventa rinvio o spettacolo. Ho detto film, però la macchina da presa e la mia intelligenza non sono assolutamente obbligati a fare un film. A meno che non sia l’ultimo. Né un libro né un film ormai possono essere i penultimi che si fanno ma solo gli ultimi”.

Zavattini era un grande affabulatore, così ipnotizzava le persone: accadeva che le persone un po’ alla volta potessero addormentarsi ascoltandone la voce anche da stanze contigue alla sua. Questo si vede con prudenza in Miracolo a Milano, ma tale inclinazione al paranormale si nota anche nella santona di Ladri di biciclette. La materia passa, resta il sogno. Era insomma necessario contraddire la realtà così come essa si dava. Al di fuori dello stretto controllo della ragione si potevano immaginare tante altre cose.

Il rapporto che Za ebbe con Antonio Ligabue è legato a un senso di colpa. Ligabue non riusciva a comunicare con nessuno. Viveva forse meglio con gli animali. Si strofinava sul corpo strani unguenti, mangiava escrementi. Un uomo di grande sofferenza come era lui veniva da tutti evitato. Suscitava ribrezzo e se era accettato in qualche trattoria dove gli si dava un piatto di minestra, era perché pagava con i suoi quadri.

Zavattini comunque lo conosce e in un qualche modo lo lancia come artista ma anche lui ha esitazioni nel frequentarlo. Però su di lui scrive un bellissimo poema dal titolo Ligabue. È un vero racconto in versi in cui Za confessa il suo arretrare allorquando Ligabue gli tende la mano, suscitando in lui un rimorso che non si sarebbe mai placato. In ogni caso, almeno tematicamente il pittore naïf di Gualtieri gli era vicino: perché anche Za dipingeva soventi volte funerali e cimiteri. Dunque Ligabue gli era fraterno più di quanto si sarebbe potuto immaginare.

Andrea Carnevali

Ritratto di Zavattini scrittore
di Gualtiero De Santi 
Editore: Imprimatur
Collana: Fuoco
Anno edizione: 2015
Pagine: 592 p.

L’autore : Gualtiero De Santi
libro Zavattini scrittore recensione AltritalianiGualtiero De Santi, saggista, critico letterario e cinematografico, si è occupato anche di teatro, filosofia e arti figurative. Ha insegnato Letterature comparate presso l’Università degli Studi di Urbino e nell’ambito dell’attività di ricerca si richiama all’orizzonte critico e metodologico della comparatistica. Tra i suoi libri: Sandro Penna (La Nuova Italia, 1982), L’Angelo della Storia (Cappelli, 1988), Lo spazio della dispersione (Acropolis, 1988), I sentieri della notte (Crocetti, 1996), Teresa de Jesùs ed altri mistici (Pazzini, 2002), Le stagioni francesi di Marino Piazzolla (Fermenti, 2002); sul versante cinematografico: Louis Malle (La Nuova Italia, 1987), Sidney Lumet (La Nuova Italia, 1987), Carlo Lizzani (Gremese, 2001), Vittorio De Sica (Il Castoro, 2003), Maria Mercader (Liguori, 2007). Recentemente ha pubblicato Zavattini e la radio (Bulzoni, 2012). Per Editoriale Pantheon ha curato nel 1999 i volumi Miracolo a MilanoI bambini ci guardano; nel 2001 Il tetto. Successivamente, Il giudizio universale (Associazione Amici di Vittorio De Sica, 2007) e Ladri di biciclette (Quaderni di Cinema Sud, 2009). Per Pazzini dirige la rivista «Il parlar franco», dedicata alla letteratura dialettale italiana, e i «Nuovi Quaderni Reboriani» per Marsilio. Nel 2001 ha ottenuto il Premio “Dario Bellezza” per la saggistica, nel 2004 il Premio “Vittorio De Sica” per la storiografia cinematografica. Per Imprimatur ha firmato nel 2015 ‘Ritratto di Zavattini scrittore‘.

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Andrea Carnevali
Andrea Carnevali è nato a Ancona (Marche). Si è laureato in Lettere moderne e in Filosofia indirizzo etico-politico all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. È giornalista pubblicità iscritto all’OdG Marche. Tra i suoi studi figurano: “Le sillabe del mare di Montale” (Prospecktiva); “L’Italia di Pier Paolo Pasolini” (Cuadernos de Filología Italiana) dell’Università di Santiago de Compostela; “Precipitare nel buio. Dai versi di Dario Bellezza” (Gradiva), “Le parole della malattia in Alda Merini” (Italian Poetry Review), "Dialogo intorno alle immagini di Bruno Mangiaterra" (Linguae &...).

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