L’Egitto in letteratura con d’Annunzio e Salgari fino a piazza Tahrir

Tra l’ottobre e il novembre del 2010 Giovanni Capecchi, docente di Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia, aveva insegnato alla Facoltà “Al Alsun” dell’Università di Ain Shams, al Cairo, e da là aveva inviato ad Atritaliani quattro “Letture dall’Egitto”. Ora è tornato al Cairo per alcuni giorni, in occasione del convegno internazionale per i “Cinquant’anni di Italianistica ad Ain Shams”. Con sé ha portato i libri egiziani di Gabriele d’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Enrico Pea, Emilio Salgari. Ma lo ha anche accompagnato il romanzo “Vertigo” di Ahmed Mourad. E il desiderio di provare a capire l’Egitto di oggi, dopo la rivoluzione, tra le periferie e Piazza Tahrir, come ci racconta in questa nuova “Lettura”.


Gabriele D'Annunzio

Il 24 dicembre 1898 Gabriele d’Annunzio salpa da Napoli con destinazione Alessandria d’Egitto. Lo attende, sull’altra sponda del Mediterraneo, l’amata Eleonora Duse (che ha deciso, seguendo i consigli del medico, di trascorrere l’inverno al caldo, allestendo una tournée nel paese dei Faraoni), ma anche il mondo esotico che da tempo vorrebbe conoscere e un paese che – per la sua storia millenaria – ha già incontrato sui libri, subendone il fascino. Quando, il 27, dopo tre giorni di navigazione, si avvicina alla costa africana, è stremato dal viaggio (ha sofferto il mal di mare, è stato costretto al digiuno), ma con i sensi protesi verso la nuova avventura: «Arrivo ad Alessandria – annota nel diario di quel giorno – . Sono esausto dai tre giorni di navigazione e di digiuno – sono leggero e vibrante. Mi vesto nella cabina, sempre tenuto dalla nausea. Salgo sul ponte. Il sole, l’odore del sale marino, la freschezza del vento, il porto ampio, circondato di terre basse che risplendono al sole violentemente di terra gialla e di robbia, il faro. Il mare è azzurro come i miei occhi. Sento nel mio viso pallido il colore dei miei occhi simile a quello delle acque che guardo. Il mio spirito – per questa sensazione singolare – entra nello stato di “grazia”, ossia di “sogno”».

Il soggiorno egiziano (durato poco più di un mese, fino al 30 gennaio 1899) è destinato a lasciare un segno profondo in d’Annunzio. L’Egitto resterà, per lui, la terra dalla storia antichissima e, soprattutto, il paese del deserto: un deserto dal quale lasciarsi rapire («Ma, dopo, il Deserto di sabbia / inospite fu la mia gioia / sublime, fu il mio rapimento», come scriverà in Laus vitae, del 1903); un deserto nel quale realizzare – sempre secondo i versi di Laus vitae – la tante volte cantata fusione panica tra uomo e natura:

E la luce m’entrò per pori
della pelle, m’impregnò d’oro
le vene le ossa le midolle,
mi fece il cuore lucente
come il quarzo e lo schisto.

Piramidi di Giza

D’Annunzio percorre il deserto a cavallo, sulla groppa di El-Nar, compagno di avventure celebrato nel Notturno (1921), nel libro frammentario scritto per lo più durante la Grande Guerra, dopo essere stato ferito a un occhio in seguito ad un avventuroso volo aereo. Costretto a rimanere senza bere, il poeta-aviatore si sente disseccato, prosciugato: e quando, finalmente, è autorizzato a prendere un sorso d’acqua, ripensa a quelle piccole piante viste nel deserto, che succhiano la rugiada della notte, fioriscono per pochi istanti all’alba e vengono immediatamente bruciate dal sole. Nella mente di d’Annunzio, costretto all’oscurità e alla degenza nel letto, affiorano allora i ricordi del viaggio in Egitto, le fughe dal Cairo per cavalcare nel deserto: un deserto legato alla tradizione mistica, che richiama le tentazioni del Diavolo e la mortificazione di S. Francesco, pellegrino che ha percorso, secoli prima, gli stessi luoghi, e che si è rotolato nelle spine dei roseti che anche l’Imaginifico racconta di aver visto, non lontano dalle Piramidi di Giza.

Alessandria

Quando d’Annunzio sbarca ad Alessandria, non sa – e non può sapere – che in quella città vivono due giovani che, di lì a non molti anni, avrebbero fatto parlare di sé: Giuseppe Ungaretti e Enrico Pea.

Ungaretti è nato in quella città nel 1888 e resterà in Egitto fino al 1912; Pea, invece, si è trasferito in Egitto nel 1896, a quindici anni: la sua vita avventurosa lo ha fatto approdare proprio nella città sul Mediterraneo, dove abiterà fino al 1914. L’Egitto è profondamente ancorato alla loro storia umana e letteraria. Emergerà costantemente nelle pagine scritte nel corso del tempo, divenendo anche un serbatoio di immagini e di metafore: basterebbe pensare a ciò che sarà il deserto per Ungaretti, sempre meno reale e sempre più correlativo oggettivo di una condizione esistenziale («E sono già deserto», secondo un verso che apre Sentimento del tempo).

Pea sarà il memorialista di una Alessandria internazionale, città accogliente per i fuggiaschi da tutti le parti del mondo (nel 1949 pubblicherà Vita in Egitto), ma porterà sul delta del Nilo anche il personaggio, per molti aspetti autobiografico, di Moscardino (nel terzo romanzo della serie, Il servitore del Diavolo, del 1931) e nel Delta del Nilo ambienterà le avventure di Rosalia (1943).

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E non sa, d’Annunzio, che fino a pochi anni prima è vissuto ad Alessandria Filippo Tommaso Marinetti, nato in quella città nel 1876 e portato, negli anni a venire, a raccontare il paese delle sue origini attraverso le parole in libertà di Dune (1914), a utilizzarlo come sfondo per i romanzi Mafarka il futurista (1910) e Gli indomabili (1922), addirittura a farlo affiorare nel Manifesto del Futurismo pubblicato su «Le Figaro» il 20 febbraio 1909. Nel testo capitale della sua opera demolitoria della tradizione culturale, prima di dettare le leggi fondanti del nuovo movimento, descrive infatti l’appartamento milanese di Via del Senato nel quale il Futurismo è nato: ed è un appartamento che sa di Egitto, con i suoi «opulenti tappeti orientali» e le «lampade di moschea». Ma sarà soprattutto il Marinetti maturo a dedicare alla terra natale pagine bellissime, scritte sul filo della memoria, in una prosa ricercata e lirica che mette alle spalle i furori incendiari del distruttore della sintassi: quando, all’inizio degli anni Trenta, tornerà a rivedere il paese del Nilo, scriverà le pagine che – una volta raccolte – comporranno Il fascino dell’Egitto (1933), aperto con il verbo ritornare, che accompagna i viaggi a ritroso: «Ritornavo dopo molti anni dinamici e creativi verso un punto fermo di contemplazione: il mio Egitto natale. Da tempo mi chiamavano i suoi cieli imbottiti di placida polvere d’oro, l’immobile andare delle dune gialle, gli alti triangoli imperativi delle Piramidi e le palme serene che benedicono il grasso padre Nilo allungato nel suo letto di terra nera e di erba verde».

Ma quando d’Annunzio sbarca ad Alessandria, niente di tutto questo è ancora avvenuto. Pea è probabilmente occupato a sbarcare il lunario, cambiando più di un mestiere, dedicandosi infine al commercio e sorvegliando la “Baracca rossa”, tana dell’anarchismo (politico, ma anche esistenziale); Ungaretti è un ragazzino, che sta assorbendo immagini destinate a diventare poesia e che inizierà poco dopo – per usare le parole di Pea – ad «accoccare le delicate corde sul suo strumento d’oro»; Marinetti, che pure ha lasciato il paese, è ancora lontano dalla fama che lo circonderà a partire dai primi anni del Novecento.

***

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Tornando al Cairo a distanza di due anni e mezzo dal primo – assai più lungo – soggiorno, mi hanno accompagnato queste letture o riletture. E mi ha accompagnato anche Le figlie dei Faraoni di Emilio Salgari, pubblicato nel 1906, altro tassello che testimonia lo straordinario intreccio tra letteratura italiana e Egitto tra fine dell’Ottocento e inizi del Novecento. I viaggi e i soggiorni degli scrittori italiani nel paese del Nilo possono essere reali, ma anche immaginari. Il viaggio di Salgari si colloca, con ogni probabilità, in questa seconda categoria. Quello che è stato uno scrittore sedentario ma capace di compiere meravigliosi itinerari con la fantasia (supportata sempre da un attento studio riguardante i paesi nei quali ambientare le storie), che ha spaziato dalla Malesia alle Antille, non poteva restare estraneo al fascino dell’antico Egitto, tanto da ambientarci un romanzo, fitto di avventure e colpi di scena, di incontri e di scontri, di amori e di tradimenti, di buoni amici e di perfidi avversari, con mummie, piramidi, indovini, riti funebri, culto di animali, navigazioni sul Nilo. È, quello di Salgari, un Egitto al tempo stesso mitico e plausibile, ricostruito attraverso l’uso di molteplici fonti (da quelle antiche a quelle ottocentesche) e, fin dalle righe di apertura, presentato attraverso il suo fiume: «Tutto era calmo sulle rive del maestoso Nilo. Il sole stava per scomparire dietro le altissime cime delle immense palme piumate, fra un mare di fuoco che arrossava le acque del fiume, facendole sembrare bronzo appena fuso, mentre a levante un vapore violaceo, che diventava di momento in momento più fosco, annunciava le prime tenebre».

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Ma alle pagine portate dall’Italia si aggiungono, anche questa volta, le letture suggerite dall’Egitto. Innanzi tutto quella di “Vertigo”, romanzo scritto da Ahmed Mourad, pubblicato in Egitto nel 2007 e uscito in Italia lo scorso anno, edito da Marsilio. Sono i lettori di italiano che lavorano alla Facoltà di Lingue dell’Università di Ain Shams (Rita Andreanelli e Ivano Chignola) che mi segnalano questo thriller politico, scritto da un autore della giovane generazione (nato nel 1978), vero e proprio caso letterario in Egitto (con le sue 35.000 copie vendute: molte, mi dicono, per il paese), capace di raccontare la corruzione, i legami illeciti tra potere politico e potere economico e la mancanza di democrazia sotto Mubarak, sfuggendo alle maglie della censura (che, secondo Mourad, non aveva letto il libro) e approdando all’edizione in arabo prima della recente ‘primavera’ che non sembra essere ancora fiorita: anzi, quasi anticipando la rivoluzione, la voglia di cambiamento dei più giovani, il passaggio da un atteggiamento di osservazione passiva a una consapevole rivolta.

È questo il percorso del protagonista del romanzo, il fotografo Ahmed Kamàl, che assiste ad una sparatoria nel bar “Vertigo”, all’ultimo piano di quello che fino a poco tempo fa si chiamava Hotel Grand Hayat e che ancora oggi campeggia sul Nilo, con i suoi quattordici piani e il ristornate ‘ruotante’ sulla sommità; ed è questa la storia dello stesso Mourad, per alcuni anni fotografo ufficiale di Mubarak ma anche autore di un romanzo che rappresenta il volto oscuro del regime, la realtà che si nascondeva dietro gli scatti patinati e dietro i sorrisi.

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Rispetto a quello contenuto nelle letture italiane – tra d’Annunzio e Salgari – in Vertigo c’è l’Egitto del recente passato e, per molti aspetti, quello del presente. È la lettura di questo Egitto che si impone, anche a chi non conosce a fondo il paese: una lettura di non facile comprensione, ricca di sfaccettature, tentata con ostinazione, con la voglia di capire, mettendo insieme frammenti di conversazioni e immagini.

Raccolgo questi frammenti nelle aule della Facoltà di Lingue dell’Università di Ain Shams, dove si svolge un convegno internazionale per i cinquant’anni del Dipartimento di Italiano, nato nel 1956 e costruito da professori allora giovanissimi come Moheb Saad (studioso di grande raffinatezza – ha tradotto in arabo Svevo, Leopardi, Ungaretti, la Storia dei musulmani in Sicilia di Michele Amari – e persona dalla straordinaria umanità, da poco scomparso e in onore del quale si svolge il convegno) e Suzanne Badie Iskander (che sta traducendo in arabo le poesie di Pascoli) e oggi diretto dal Rabie Salama.

In queste aule oltre duemila giovani studiano l’italiano e la nostra lingua si parla in maniera stupefacente: è qui che, tra una relazione e l’altra, raccolgo tessere di realtà. Mi faccio tradurre le scritte sui muri all’ingresso dell’Università (una, italiana, è “Curva sud”: scritta di protesta, adoperata senza sapere cosa significhi; un’altra recita: “Fratelli musulmani bugiardi”); alcuni mi raccontano il desiderio di molti giovani di andarsene da un paese che li ha delusi anche dopo le speranze rivoluzionarie; altri mi parlano delle grandi opere in corso (sono terminati i lavori per il rifacimento della stazione ferroviaria, è stato aperto un nuovo tratto della metropolitana, sono aperti i cantieri per far arrivare la metropolitana fino all’aeroporto); “Morsi? Non lo conosco e non lo riconosco”, mi dice una copta; non manca chi prevede una imminente “seconda rivoluzione”, più sanguinosa della prima; uno studente mi dice che in fondo Morsi è stato eletto democraticamente; un altro, che mi telefona perché sa che sono tornato e non riesce a raggiungermi al Cairo, mi dice, come prima cosa: “Professore, abbiamo fatto la rivoluzione”; mi raccontano anche – con sdegno – che il nuovo Presidente ha proposto – ma per ora messo da parte – una legge che dà il potere ad ogni cittadino di arrestare un altro cittadino.

Ma anche fuori dall’Università tento di mettere insieme queste tessere. Semplicemente osservando, vedendo per esempio che non ci sono più i poliziotti che erano disposti lungo le strade ogni cento metri (segno di una democrazia accresciuta o di una aumentata insicurezza?), che la stazione della metro intitolata a Mubarak (ogni Presidente egiziano ne ha una) si chiama oggi “I martiri”, in ricordo dei morti nella rivoluzione, che i luoghi più frequentati dai turisti (come il mercatino di Kan al Khalili) non sono più affollati (il crollo del turismo ha portato ad un ulteriore impoverimento del paese), che sul Nilo domina la mole del palazzo del partito di Mubarak incendiato due anni fa, che fuori dalla metropoli si continuano a costruire città fortificate, con ville e villette eleganti, alti muri di cinta, sorveglianza armata, per permettere ai più ricchi di vivere al sicuro.

Murales nei pressi di Piazza Tahrir

Non sono d’Annunzio e Salgari le letture più importanti durante questo ritorno al Cairo. Non è, tutto sommato, neppure Vertigo. È la strada, che verrebbe voglia di decifrare. I dintorni della Piazza: con le scritte della rivoluzione e i murales (uno dei quali ritrae una donna velata, con una bomba in mano e la scritta “Revolt”). E la Piazza, che ha un nome divenuto celebre in tutto il mondo: Tahrir. “Evito di andare a Tahrir”, mi racconta un giovane amico, “perché è un luogo imprevedibile, dove da un momento all’atro può succedere qualcosa di spiacevole e pericoloso”; alcuni italiani raccontano di evitare la fermata della metro che si trova proprio sotto la piazza; c’è anche chi tenta di approfittarsene, all’imbocco di Qasr El-Nil, il ponte che tante volte abbiamo visto in televisione come teatro degli scontri, sconsigliando di procedere oltre e invitando ai visitare qualche bazar nei dintorni.

Tahrir è la piazza che gli uomini e le donne hanno fatto entrare nella storie e trasformato. Non è più uno snodo fondamentale per il caotico e rumorosissimo traffico del Cairo, perché i suoi ingressi sono transennati e le auto formano ingorghi dove si prosegue a passo d’uomo negli immediati dintorni; ma, soprattutto, è la piazza della rivoluzione, ancora occupata da attendamenti, da manifesti, bandiere e cartelli.

È tranquilla, in questo 21 marzo, nel quale si celebra la giornata mondiale della poesia (anche l’Istituto Italiano di Cultura e il suo direttore, Dante Mariannacci, hanno promosso una serata all’Opera House) e si festeggia la festa della mamma, con donne che camminano portando mazzi di fiori e piante. Non è senza emozione che mi siedo su un gradino e guardo intorno a me, semplicemente guardo. È qui che l’Egitto ha voltato pagina nel gennaio del 2011: anche se la pagina nuova appare lontana dai sogni, delle aspettative e dalle speranze di molti giovani e meno giovani che questa storia non hanno ancora finito di scriverla.

Giovanni Capecchi
Docente di Letteratura italiana
all’Università per Stranieri di Perugia

PORTFOLIO: Foto inedite ©Giovanni Capecchi

Altre letture dall’Egitto dello stesso autore:

Letture dall’Egitto 1:Nelle strade e tra le storie di Nagib Mahfuz”,
un omaggio al più grande scrittore egiziano e arabo del ‘900, Premio Nobel per la letteratura nel 1988.

Letture dall’Egitto 2: « Quando Marinetti non uccideva il chiaro di luna »
una puntata sull’infanzia e il viaggio in Egitto nella maturità di Filippo Tommaso Marinetti, l’inventore del Futurismo.

Letture dall’Egitto 3: « La dignità di ‘Ala Al-Aswani »
un articolo dedicato a ’Ala Al-Aswani, lo scrittore più conosciuto dell’Egitto contemporaneo, autore del famoso romanzo « Palazzo Yacoubian », e noto intellettuale politicamente impegnato.

Letture dall’Egitto 4: “L’ombra dell’Alessandria passata”, un contributo per raccontare di una città, crocevia del pensiero letterario tra ‘800 e ‘900, con Marinetti, Pea, Ungaretti, Durell, Kavafis, ed altri, che oggi sembra vivere più al passato che al presente.

PS (ndr): Segnaliamo anche questo link legato al tema dell’articolo:
Il coraggio del Pettirosso, di Maurizio Maggiani.

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Giovanni Capecchi
Giovanni Capecchi è nato e vive a Pistoia (Toscana). E’ professore associato di Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia. Ha dedicato i suoi studi soprattutto all’Ottocento e al Novecento, seguendo alcuni filoni di ricerca: l’opera di Giovanni Pascoli, la letteratura e il Risorgimento, la letteratura della grande guerra, il romanzo nel Novecento.

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