Bersani all’Eliseo di Roma e le speranze di chi nella politica ci crede.

Breve cronaca di un’incontro pubblico con Bersani, all’Eliseo di Roma. 10 domande per parlare di speranze, di problemi concreti, di futuro, a pochi giorni dalla scelta del premier per la coalizione di centrosinistra, mentre nei sondaggi il PD vola.

C’è stato un bell’incontro sabato 10 Novembre all’Eliseo di Roma, teatro bellissimo sulla caotica via Nazionale.
Un incontro interessante e certamente insolito per gli ospiti che hanno animato la mattinata.

Dieci domande pacifiche e intelligenti consegnate ad un attento e misurato Bersani.

Di questo politico si può dire tutto e il contrario di tutto, per seguire il caro, vecchio, vizietto all’italiana, può piacere fino allo svenimento amoroso o essere profondamente odiato, ma certo, una cosa gli si deve riconoscere e restituire: il suo coraggio a metterci la faccia.

Già visto, per esempio, in quella puntata di “Servizio pubblico” destinata all’infinita opera tragica della TAV, unico superstite di una fabbrica di interessi da difendere, immolato e osteggiato anche dall’aria che respirava. Non si è tirato indietro ed ha affrontato la sfida, certo, nero e teso come la malasorte, ma si è concesso.

Più facile, forse, la questione all’Eliseo, dove il clima era, sicuramente, più curioso che indignato.

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Peccato non averlo potuto respirare quel clima. Nella pancia del mondo e dell’arte, dove le parole muovono le emozioni e gli occhi si riempiono di immagini vissute e annusate, tutto è più affascinante, però, se hai una bellissima bambina non è che il sabato mattina presto la puoi svegliare per dirle: ”Dai amore, andiamo a Roma a sentire Pier Luigi Bersani”…
la gamma delle possibili risposte è piuttosto ampia, ma conoscendo la mia tipa, oso immaginare che la sua replica suoni più o meno come: ”A mamma ma che ti dice il cervello?”.

A qualcosa, quindi, si deve pur rinunciare. Fortuna che la tecnologia ed internet hanno invaso anche la mia inesperta casa. E cosi, tra piccole parentesi di libertà in cui il silenzio ha preso il posto delle parole, difetti della rete, dal monitor del computer ho assistito alla situazione.

Il signor Bersani a spada tratta e battute tra i denti ha ascoltato e risposto. Protagonista con lui e artefice delle domande la rappresentanza di una variegata Italia che tra tagli, indifferenza, cinismo gravissimo e crisi di multiforme e inspiegata natura (o spiegata malissimo e con argomenti scaltri e furbi ), non se la passa benissimo.

L’operaio dell’Alcoa o il giovane emigrato su tutti, restituiscono la dimensione esatta di un decadimento civile e culturale, da notte degli orrori e l’angoscia di non avere più niente da portare a casa o nella propria vita, ne pretese materiali o istanze sociali e diritti civili, in un paese vecchio, scontroso e razzista che dimentica le fatiche e il dolore sopportato per conquistare un pezzetto di decenza e rispettabilità, nel lavoro come nelle lotte sociali.

Bello sentir dire all’operaio che, però, non perde la speranza e la speranza si veste dell’immagine dell’uomo politico da contrapporre, per umana difesa, ad una destra arrogante e devastante, o per disarmare il seminarista in puzza di ecumenismo, ( come dimenticare il progetto del cimitero per i feti, meraviglioso e originale tentativo di utilizzare i non nati per violentare le donne, invece, natissime e degne di rispetto, che decidono di abortire, genialità o diavoleria, proposta dal comune di Firenze la primavera scorsa? )

Che il signor Bersani senta come un sacro dovere questa speranza risposta nella sua intelligenza, altrimenti, per usare le parole del mio papà in altri tempi :”rischiamo di fare la fine del sorcio!”

“Per il bene dell’Italia”, dice il segretario, “abbiamo accettato e appoggiato il governo Monti”, i super tecnici che vivono nel paese del bengodi con la carta igienica dorata e profumata e i vestitini inamidati, è difficile che si accorgano di noi che invece puzziamo di sudore e di difficoltà quotidiane, mi viene il sospetto che non la vedano neanche quest’ altra umanità, lasciata sola ad affrontare altri e più sostanziali problemi, dal loro regno dei cieli la visione, evidentemente, diventa confusa. Mica è colpa loro, cambiassero occhiali, però.

Per il bene dell’Italia, dico io, trovassero una strategia nuova, un linguaggio alla portata d’orecchi e di utilità per la gente, una riflessione lungimirante e di buon gusto civile per affrontare le enormi difficoltà che attraversa questo paese. Idee di buon senso, ecco, mica si chiede tanto, che non ci facciano sentire, ad ogni giro di boa, derubati di dignità , di possibilità e di denari.

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Perché il vecchio cianciare e il fare nullo che lo segue, hanno stancato, dovrebbero arrossire per la vergogna. Sono storia ammuffita, una storia inutile e per giunta dannosa.

Le risposte che il politico di mestiere ha dato potrebbero essere condivisibili, se non ci fosse quel testardo sospettuccio di promesse e programmi sventolati sotto l’inno di Mameli e poco frequentati poi, tra le camere del parlamento, perché, dimentica, Pier Luigi, che proprio di primo baffo non è, e che il troppo parlare e il poco fare non cuoce la minestra.

Le sue parole suonano troppo di faremo, attueremo, governeremo, ma quando governavano i buoni propositi dove si erano cacciati? Le grandi riforme agognate e indispensabili perché non hanno trovato casa nella politica reale ed efficace? Troppo timide, per fare la differenza: “un significativo recupero dell’evasione” o della politica onesta non cambia la storia.

La risposta data poi, alla giovane studentessa che, giustamente, chiedeva che si può fare di tanto studio e fatica se poi non ci si può vivere o realizzare una propria identità umana e professionale, è un esempio virtuoso di ordinario paternalismo: “Intanto studia, poi impara l’arte e mettila da parte”.

Spero proprio che in quel momento mi sia persa qualcosa perché mi avrebbe fatto bene sentire altre parole di sostegno e impegno per queste giovani speranze.

Certamente gli scaffali sono fondamentali, ma se al sapere, alla ricerca e alla progettualità si continua a togliere il legno non si va molto lontani, rimangono i buchi alle pareti.

Meraviglioso, e ce ne era bisogno, invece, è stato sentire quelle parole nuove che confortano e descrivono la possibilità di vestire la politica e l’economia con indumenti mai usati prima, che parlino all’uomo per l’uomo, indifferenti agli interessi smisurati dei pochi sultani.

Il professor Ernesto Longobardi ha parlato di questo, estrapolando felicemente dalla teoria scientifica del professor Fagioli la distinzione tra l’idea di bisogni, legati al rapporto con la natura e alla soddisfazione materiale, uguale per tutti e il concetto di esigenze, associato, invece, ai rapporti tra gli uomini e all’identità umana, pretese che si muovono tra gli uomini trovando strade proprie, originali vitalità e personali espressioni dell’essere. Parole prepotenti infiltrate in un dibattito politico. Un’energia imperiosa e necessaria.

Il buon Formigli che presentava l’evento, non ha potuto nulla, ci ha provato, per bloccare il suo flusso irruente.

E da quel momento il politichese si è arreso ed ha ceduto il passo.
Bersani, messo alle strette, ha riconosciuto la saggezza di questo nuovo pensiero. Ha ammesso la necessità di ripensare la vita mescolandola alla priorità, fondamentalmente umana, delle esigenze, e ha dovuto dar conto di quelle sue parole catturate tra le pagine di un intervista precedente:
“Nessuno si salva da solo e nessuno può stare bene davvero se gli altri continuano a stare male”. Ha dovuto concedere che è sul tappeto di questo cambiamento che si gioca la partita del rinnovamento umano, culturale, politico, sociale e dei diritti civili. Perché “la storia ha un senso solo in un percorso che rende l’uomo più umano”.

Respiro di sollievo.

Se posso, però, ho una piccola domanda: “Signor Bersani sarà all’altezza di tanta bellezza?”

Marina Mancini

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