1943. La Resistenza armata italiana cominciò a Nizza. Salvatore Bono, una figura da riscoprire.

Sembrerebbe che nessuno abbia rilevato che la Resistenza armata italiana ha avuto inizio – da un punto di vista strettamente cronologico – la sera dell’8 settembre del 1943 alla stazione centrale di Nizza. È noto come i primi scontri tra italiani e tedeschi siano avvenuti proprio in Francia: nel cuore della notte tra l’8 e il 9, a Grenoble si registrano alcuni terribili scambi di armi da fuoco che mietono un gran numero di vittime; quasi contestualmente, gli scontri al porto di Bastia danno inizio alla guerra di liberazione della Corsica (per la quale, sia detto en passant, il sacrificio di vite italiane sarà maggiore di quelle francesi). Nella Penisola, a parte i combattimenti di Monterotondo avvenuti all’alba del 9, la Resistenza comincia il 10 nella romana Porta San Paolo dove all’esercito si uniscono i primi partigiani come Sandro Pertini.

Il governo Badoglio, che il 26 luglio aveva sostituito quello di Mussolini, davanti al disastroso andamento della guerra, aveva intrapreso una trattativa segreta al fine di concludere un armistizio con gli Alleati, che comportava la rottura con i Tedeschi. Questi ultimi, appena ne vennero a conoscenza, iniziarono ad inviare truppe in Italia con l’obiettivo di controllare, al momento opportuno, i gangli vitali della Penisola. Questa subdola invasione fu il presupposto alla guerra civile che per ventidue mesi strazierà il Paese. Il proclama che divulgò l’armistizio non fu steso in modo chiaro: si diceva alle truppe italiane di cessare ogni atto di ostilità, ma di reagire “ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. Non tutti capirono che si era entrati in guerra contro gli ex alleati tedeschi. È rimasto celebre un brano del film “Tutti a casa” di Comencini: quando i tedeschi sparano sugli italiani, lo stupefatto soldato Alberto Sordi telefona al colonnello per informarlo che i tedeschi si erano alleati agli americani!

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la guerra è finita Badoglio

Ma vediamo da vicino cosa succede a Nizza occupata, come buona parte del “Midi”, dall’esercito italiano. Il proclama dell’armistizio viene diffuso dall’EIAR (la RAI dell’epoca) alle 19,42. Tra i militari italiani, la gioia è generale: “La guerra è finita!”, “Tutti a casa!”. Un testimone oculare racconta: “La nuit tombée, Nice est en fête. On dirait un 14 juillet. Les femmes embrassent les soldats italiens, les accordéons jouent, des couples dansent en pleine rue”.
I soldati del “Comando Militare di Stazione” manifestano l’intenzione di partire per l’Italia. Il sottotenente Salvatore Bono, loro comandante in seconda, riferisce: “Verso le 20,30, dovetti intervenire per convincerli che occorreva continuare a controllare lo snodo vitale nel quale prestavamo servizio ed ordinai l’armamento completo e lo stato d’allarme”. Richiese anche il rinforzo di una compagnia di fanteria, ma senza successo.

Già in agosto, dal suo osservatorio privilegiato, Bono aveva intuito che le cose non stavano andando per il verso giusto. Assieme ai reparti della IV Armata italiana che abbandonavano il territorio francese, si lasciavano transitare in direzione di Ventimiglia unità tedesche che penetravano in Italia e vi restavano. Verso le 21, incontra il sottotenente Guido Di Tanna e gli illustra le proprie preoccupazioni. “Stanotte avverrà qualcosa di grave”, afferma mentre lamenta lo scarso senso di responsabilità del Comando di Piazza. Il commilitone commenterà “È ammirevole come il giovanissimo ufficiale avesse il senso esatto delle cose e la capacità di comportarsi di conseguenza”.

Un paio d’ore dopo, in effetti, un commando di una sessantina di tedeschi provenienti, a piedi lungo i binari, dal Var, giocando sull’effetto sorpresa, cerca d’impadronirsi della stazione. Gli italiani, comandati dal capitano Breveglieri, tra soldati e carabinieri, non superano la decina. I tedeschi intimano la consegna delle armi, il capitano cerca di parlamentare con l’ufficiale comandante; dopo cinque minuti, interrompe la concitata quanto inutile discussione e impartisce ai suoi l’ordine “Baionetta in canna!”. È il momento per Bono di passare all’azione, realizzando quanto aveva in mente da tempo. Diamogli la parola: “Come un fulmine, il fuoco della mia pistola rompe il gelo. Freddo l’ufficiale nemico, il suo caporale e ferisco due soldati. I tedeschi rispondono al fuoco ed uccidono Breveglieri. Scarico i rimanenti colpi della mia pistola sui nemici. È l’inferno, tutti si riparano dove possono e sparano. Io con quattro soldati mi rifugio in uno sgabuzzino. I quattro carabinieri, pur sparando contro i nemici, fuggono in direzione di una galleria. La stazione precipita nel silenzio e nel buio. Un maggiore tedesco con la pistola spianata viene ad esplorare lo sgabuzzino. Lo afferro per il collo mentre uno dei miei uomini lo disarma. I nemici rimasti fuori lanciano una granata che fa esplodere quella che io tenevo in mano con la sicura sganciata pronta per il lancio. Ho chiara coscienza che è la mia fine. Il dolore generale è tale che non riesco a percepire quello che proviene dalle ferite. Svengo pensando a mia madre”. Salvatore ha perso il braccio destro, l’occhio sinistro e parte della mascella. È trasportato all’ospedale Saint-Roch. L’indomani mattina, un alto ufficiale tedesco viene a far visita ai suoi feriti. In una stanza vicina, c’è Bono. Osservandolo, esclama “Quest’ufficiale ha salvato l’onore dell’esercito italiano”. Di un esercito allo sbando, vien fatto di aggiungere.

Salvatore Bono, una figura da riscoprire

Salvatore Bono ha 23 anni: è nato il 23 aprile 1920 a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani. Deve molto ai genitori: al padre Giuseppe, un contadino povero, che lo responsabilizza sin dalle elementari facendogli capire che l’impegno può far sì che la scuola si trasformi in ascensore sociale e alla madre Ninfa, l’angelo protettore di tutta una vita, che finisce per accettare con dignità la tragedia del figlio, rispettandone le scelte. Dopo il diploma magistrale, frequenta il corso ufficiali ad Avellino (fanteria). Dal settembre 1941, presta servizio a Palmanova (UD), in Jugoslavia, a Trieste, a Postumia, a Torino e dal novembre 1942 al Costamiles di Nizza. Nel luglio 1944, dimesso dall’ospedale, per sfuggire alle rappresaglie della Gestapo si sposta in Italia. Nel dicembre, lo ritroviamo a Stresa dove collabora con la brigata partigiana Stefanoni. Nel 1947, mentre si trova in Sicilia presso la propria famiglia, riceve la notizia di essere stato insignito, cosa rarissima per un vivente, della medaglia d’oro al valor militare.

Salvatore Bono, medaglia d’oro al valor militare

Nello stesso anno, completata la terapia post-traumatica, Bono viene assunto presso il Ministero degli Esteri. Opta per la sede consolare di Nizza dove prenderà servizio in settembre non appena la struttura sarà riaperta e dove rimarrà per trent’anni, fino alla pensione. Lo si ricorda come molto disponibile nei confronti dei bisogni dei connazionali e in particolare dei profughi dalle ex-colonie maghrebine. È molto attivo nella ricucitura dei rapporti tra le due “sorelle latine” che la pugnalata mussoliniana aveva gravemente corroso e partecipa con entusiasmo al processo di costruzione della Comunità Europea. Ogni anno, l’8 settembre si reca alla stazione cittadina dove confluiscono ferrovieri, ex combattenti ed antifascisti assieme ai quali commemora l’evento del 1943. Riprende gli studi universitari laureandosi in Pedagogia presso l’Università di Genova.

Andato in pensione, torna a Campobello vivendo non lontano dalla magnifica spiaggia selinuntina che aveva visto i suoi giochi infantili. Si dedica con successo alla pittura e non manca di fare la spola con la sua amata Nizza. Talvolta, confessa agli amici l’amarezza della solitudine poiché, a causa delle sue mutilazioni, nessuna donna ha voluto condividere con lui la propria vita. C’è chi in Sicilia, suggerisce al giunco che cresce sul letto dei torrenti di farsi da parte all’arrivo della piena: “Càlati juncu ca passa la china”. Una visione opportunista che Salvatore, come altri siciliani, non accettava. “Ho fatto solo il mio dovere pagando il prezzo che bisognava pagare”, amava affermare. Morì il 28 maggio 1999 all’età 79 anni.

Stazione centrale di Nizza – Foto Neropictures

La memoria orale è, come si sa, volatile. A parte gli storici, oggi quasi nessuno a Nizza si ricorda di Salvatore Bono.

Al sottoscritto è sembrato dunque opportuno chiedere, per il tramite del Ministero degli Esteri, al Comune Nizza di apporre alla stazione centrale una lapide che ricordi la memorabile impresa e attesti come quell’atto abbia aperto la strada a nuovi rapporti tra i due Paesi e indicato il cammino verso l’unità europea. Il Ministero ha coinvolto il Consolato che ha formulato la richiesta al Comune. C’è da augurarsi che si sappia valutare l’importanza storica e politica di quanto avvenuto in quel luogo l’8 settembre 1943.

Enzo Barnabà

(Articolo pubblicato il 30 novembre 2021. Aggiornamento del 6 settembre 2022 : Il governo italiano ha recentemente chiesto al sindaco di Nizza di porre una lapide alla stazione in ricordo di Bono e dei suoi uomini. Questo giovedì alle 11, in occasione dell’anniversario dell’evento, Salvatore Bono sarà ricordato nei luoghi dei fatti dall’ANPI nizzarda. Parleranno J-L Panicacci, storico della seconda guerra mondiale, e Enzo Barnabà.)

FONTI:
– Baldassarre Ingrassia, “Salvatore Bono”, Litografia Buffa, Mazara del Vallo, 2005.
– Jean-Louis Panicacci, “L’Occupation italienne. Sud-Est de la France, juin 1940-septembre 1945”, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2010.

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Enzo Barnabà
Enzo Barnabà, scrittore di saggi storici e romanzi, è nato a Valguarnera nel 1944, ha studiato lingua e letteratura francese a Napoli e a Montpellier, e storia a Venezia e Genova. Ha insegnato francese in vari licei del Veneto e della Liguria. Per conto del Ministero degli Esteri, ha svolto la funzione di lettore di lingua e letteratura italiana presso le Università di Aix-en-Provence e di insegnante-addetto culturale ad Abidjan, Scutari e Niksic. È l’autore del primo libro pubblicato in Italia e in Francia sul massacro xenofobo avvenuto nel 1893 ad Aigues-Mortes, “Aigues-Mortes, il massacro degli italiani” (Infinito, 2015, ultima edizione) e “Mort aux Italiens!” (Editalie, Toulouse, 2012). Tra i suoi saggi: “I Fasci siciliani a Valguarnera” (Teti, 1981) e "Il meglio tempo. 1893, la rivolta dei Fasci nella Sicilia interna" (Infinito Edizioni, 2022). Tra le opere di narrativa: ”Sortilegi”, scritto con Serge Latouche (Bollati Boringhieri, 2008), in francese: “Le crocodile du Bas Congo” (Aden, 2009); “Le Ventre du Python” (Aube, 2007), in italiano.: “Il Ventre del Pitone” (EMI, 2010); “Il Partigiano di Piazza dei Martiri” (Infinito, 2013); “Il Sogno dell’eterna giovinezza. Vita e misteri di Serge Voronoff” (Infinito, 2014); “Il passo della morte” (Infinito, 2019) con Viviana Trentin e “Il sogno Babilonese” (Infinito 2020). Ha scritto o tradotto in francese alcuni dei suoi libri e articoli.

4 Commentaires

  1. Dare ad un episodio – narrato da una persona coinvolta in un evento – l’alloro dell’inizio della Resistenza lo trovo storicamente scorretto. Cento, mille, centomila Salvatore Bono dissero un immediato e spontaneo NO al nazifascismo in cento, mille, centomila forme diverse. L’immediato NO all’inumano è l’essenza della Resistenza. Quella Resistenza reale narrata, purgandola da trionfalismi e negazioni, da Beppe Fenoglio l’unico, come scrisse Italo Calvino, a togliersi gli occhiali ideologici riuscendo «a fare il romanzo che tutti avevamo sognato». Quindi onore a chi – secondo questa strana ricostruzione in cui un militare italiano che aveva ucciso un ufficiale tedesco gravemente ferito viene curato dai Tedeschi – come Salvatore Bono si ribellò al nazifascismo ma la genesi della Resistenza e il suo senso non sta in un fatto avvenuto a Nizza e raccontato solo da un ufficiale ben inserito nel sistema.

  2. Articolo e storia raccontata molto interessanti.
    Mi chiedo se, partendo subito da Nizza, come avevano avuto l’istinto di fare, la stessa sera dell’8 settembre, i militari italiani avrebbero potuto scampare alla prigionia nei campi di concentramento tedeschi. Non dimentichiamo che, malgrado quella prima reazione valorosa di cui parla l’autore dell’articolo, i soldati e gli ufficiali italiani che si trovavano a Nizza, e nella Francia meridionale in generale, furono tutti arrestati dai tedeschi e deportati in Germania.

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