Viaggio con Camilleri nella Sicilia che non c’è.

Quest’anno, durante le vacanze estive, ho deciso di visitare una parte di Sicilia che non c’è, che non esiste. Almeno non nella realtà. Quest’anno ho deciso di visitare una fetta d’isola che esiste solo nella fantasia di uno scrittore e sceneggiatore che di nome fa Andrea Camilleri.

Busto dedicato a Camilleri – località Punta secca. Foto G. Raudino

Camilleri ha trascorso la maggior parte della sua lunga vita a Roma, lontano dalla Sicilia. Da Roma ha raggiunto la terra natale solo per brevi soggiorni, ma non ha mai pensato di tornare a viverci nemmeno dopo l’estrema agiatezza guadagnata grazie al successo dei suoi romanzi, che gli avrebbe potuto permettere di rintanarsi in una bolla priva di preoccupazioni e difficoltà.

Il problema della Sicilia è che ci vivono i siciliani” ebbe a dire una volta Camilleri rispondendo a una intervistatrice. Parole dure, polemiche, ma certamente sincere. A Camilleri la Sicilia è sempre piaciuta oltre ogni misura, la amava fino a rasentare l’adorazione. Solo non si trovava bene con la gente e lo stile di vita imposto dalla cultura del luogo. Per questo nella sua pluridecennale lontananza da questa terra si è inventato una Sicilia tutta sua, che somiglia tantissimo a quella vera ma nella quale è ancora possibile sognare, respirare e agire senza ritrovarsi invischiati nella spiacevolezza quotidiana dell’indolenza, del provincialismo soffocante, nell’immobilità e nelle ingiustizie.

Il commissario Montalbano sul terrazzo della sua casa (Foto di Fabrizio Di Giulio)

Sia ben chiaro: le cose nella Sicilia del commissario Montalbano non sono perfette, ci sono delitti e corruzione, dolore e difficoltà, eppure il commissario più amato d’Italia (e anche fuori dall’Italia, grazie a Netflix che ora lo propone a un pubblico internazionale) sa ritagliarsi delle aree di profonda quiete nelle quali si sente bene, a proprio agio, in pace con l’intero creato. Insomma, Montalbano riesce a trovare una propria dimensione che l’uomo Andrea Camilleri non ha forse mai saputo, voluto o potuto costruirsi in Sicilia. Per esempio, Montalbano è in grado di sgombrare la propria testa da ogni pensiero con una nuotata. Il mare, che contempla dalla veranda di casa sua, è un’immancabile presenza che lo accompagna costantemente, che lo aiuta a riflettere che lenisce le ferite spirituali. Il cibo, presentato con ineguagliabile squisitezza, è per lui un altro modo di sentirsi bene nonostante i problemi che lo circondano. E poi c’è il tempo meteorologico, quasi sempre favorevole e soleggiato, a evitare che il suo animo sia vittima di pensieri troppo cupi. A tutto questo si aggiunge una sana dose di scorci mozzafiato, panorami da cartolina, bellezze paesaggistiche e architettoniche che favoriscono la catarsi, che infondono ottimismo e buonumore.

La casa di Montalbano a Punta secca. Foto G Raudino

Camilleri enfatizza nei suoi scritti le qualità della Sicilia e ne sminuisce i problemi, spesso presentando questi ultimi in chiave ironica. Un centralinista pasticcione e impreparato a svolgere i propri compiti nella Sicilia vera arreca molti danni al cittadino (sono d’altronde innumerevoli i casi quotidiani di cattiva burocrazia e conflitti con gli enti pubblici) ma nella Sicilia di Camilleri gli strafalcioni di Catarella fanno ridere. Il morboso interesse del giudice Tommaseo per i dettagli sessuali più scabrosi strappa un sorriso ai lettori e agli spettatori di Montalbano, ma quanti nella realtà sarebbero sorridenti innanzi a un giudice perverso e dal giudizio obnubilato? Lo stesso commissario adotta dei metodi investigativi poco ortodossi, ma in Sicilia non ci si diverte quando si viene a scoprire che un pubblico ufficiale o un membro delle forze dell’ordine non ha agito secondo il regolamento.

G Raudino a Piazza Duomo di Ragusa

È vero che la narrativa ci chiede la sospensione dell’incredulità perché possiamo godere appieno della storia, ma lo scarto tra la Sicilia vera e quella delle opere di Camilleri è così infinitesimale, ben congegnato e nascosto che quasi quasi ci sentiamo autorizzati a considerare fiction e realtà la stessa cosa. Dopotutto, la facciata del duomo di San Giorgio, a Ragusa, è così bella e autentica da farci sembrare bella e autentica anche la vera Sicilia, dove non sempre i monumenti vengono curati, restaurati e valorizzati col dovuto rispetto. E i cannoli hanno quel sapore sublime di ricotta finemente lavorata che il dottor Pasquano deve aver avuto ragione a mostrarsi tanto estasiato. E poi, chi non vorrebbe svegliarsi tutte le mattine con un caffè bollente assaporato a piccoli sorsi sulla propria veranda con vista sul mare baciato dal sole anche in pieno inverno? Si fa presto a chiudere un occhio sulla cementificazione selvaggia, sull’assenza di un piano regolatore, sull’abusivismo edilizio, e anche sul fatto che nella realtà sono in pochissimi i siciliani che possono godersi lo spettacolo del mare dal proprio terrazzino.

Montalbano a Piazza Duomo di Ragusa sul set del film

Ecco dunque la formula segreta di Camilleri che ha mistificato la Sicilia: lui ha usato una pozione magica ricavata dalla mescolanza di bellezza e comicità. La prima ti stordisce riempiendoti gli occhi e il cuore; la seconda ti fa sorvolare con sublime e imprudente leggerezza sulle cose che non vanno.

E allora questa estate ho fatto così: per un attimo ho provato a credere che la Sicilia di Camilleri – che è anche la mia Sicilia, che è anche la terra che ho lasciato con amarezza – esistesse davvero, e l’ho inseguita e sognata attraverso le immagini del commissario Montalbano. Ho visitato la sua casa a Punta Secca, nel comune ragusano di Santa Croce Camerina, ho camminato per le vie intorno al duomo di Ragusa dove il commissario passeggia e prende un caffè fuori dall’ufficio, ho ritrovato a Scicli l’ingresso del commissariato, ho dato una sbirciata al ristorante di Enzo sul lungomare, sempre a Punta Secca, ho guidato per i tornanti del capoluogo ibleo dove sono state girate molte scene e dove si ferma spesso l’autobus che porta Livia all’aeroporto di Catania.

È stato come un pellegrinaggio laico nei luoghi sacri di Vigata, questo immaginario paesino siciliano che, alla fine dei conti, non hai capito bene se esiste oppure no, ma nel quale hai l’impressione di poter mettere piede, saltando, almeno per qualche ora, in una dimensione parallela, in una Sicilia più bella e meno complicata.

© Giuseppe Raudino

Altre foto del viaggio di Giuseppe Raudino nel portfolio – Foto del logo Evolena (Ragusa 2004) – Pubblicato a settembre 2021.

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Giuseppe Raudino
Giuseppe Raudino nasce a Catania nel 1977 ma vive a Siracusa fino agli anni del liceo. Si appassiona presto al giornalismo, attività che porta avanti insieme agli studi in Scienze della Comunicazione presso l’università di Siena, dove si laurea con una tesi in Semiotica su Umberto Eco nella quale ne analizza gli scritti teorici sul comico e i giochi linguistici. Nella metà degli anni 2000 si trasferisce definitivamente in Olanda per insegnare materie inerenti a giornalismo, teoria dei media, antropologia e metodologia della ricerca presso l’Università di Scienze Applicate di Groningen. Accanto all’attività accademica, Giuseppe Raudino si dedica anche alla narrativa. Tra le sue pubblicazioni più recenti ci sono due romanzi, entrambi usciti nel 2019: 'Mistero nel Mediterraneo' (Genesis Publishing) e 'Stelle di un cielo diviso' (Alessandro Polidoro Editore) e nel 2022 "Quintetto d'estate" (Ianieri Ed.)

2 Commentaires

  1. È questione forse di punti di vista : per me Camilleri non idealizza un bel niente. IO che ho letto, oltre Montalbano, i suoi romanzi, ci ho sempre trovato un quadro amaro della Sicilia. Nei libri non ho mai letto descrizioni di paesaggi o di monumenti meravigliosi. Catarella è uno stupido che è stato raccomandato? Ebbe io qui a Paigi e dintorni sono capitati con impiegati peggiori, ottusi e anche cattivi, mentre Catarella è umano. E questo mi piace oltremodo di Camilleri: nei suoi romanzi – non tutti – c’è sempre un barlume di umanità. Amava la Sicilia e non ci abitava? Beh, è il caso di quasi tutti gli autori del Sud, napoletani compresi. E, aggiungo, detesto quelli che parlano male della loro terra. Molti scrittori amano svisceratamente la propria terra e non riescono a sopportarne gli inconvenienti (soprattutto quelli aggiunti da una certa data fatidica in poi). Allora si resta dove si trova una vita più serena (?) e si continua imperterriti ad essere rosi dalla nostalgia che si cerca di placare scrivendo.

    • Cara Franchini, grazie per aver condiviso il suo punto di vista. Ho letto anch’io molti romanzi storici di Camilleri (cominciai con « Il Birraio di Preston » molti anni fa, nel quale tra l’altro il narratore denigrava la birra, bevanda tanto amata da Camilleri) e concordo sul fatto che Camilleri-scrittore è avido di descrizioni paesaggistiche. Non così, invece, per il Camilleri-sceneggiatore che, ricordiamolo, ha firmato da coautore le trasposizioni cinematrografiche dei suoi romanzi, nelle quali la dimensione scenografica e fotografica è parte intrinseca della narrazione. Camilleri avrebbe potuto ambientare i film in una Vigata di baracche dai tetti di lamiera (a Messina abbondano) o vicino a una discarica a cielo aperto (quelle purtroppo abbondano in tutte e nove le province siciliane). Eppure acconsente all’immagine di bellezza che attira i tanti milioni di spettatori, forse perché è una bellezza prepotente e non la può nascondere malgrado ogni presunta riluttanza. In Sicilia, la bellezza è un aspetto che si dà per scontato e che non può essere oggetto di discussione. Tornando ai libri mi piace notare, però, che i romanzi di Camilleri danno ampio spazio a un altro tipo specifico di bellezza, che non è paesaggistica o architettonica ma fisica: il fascino di molte donne, siciliane, settentrionali o straniere, in grado di ammaliare con la loro avvenenza.

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