Silvio Ramat. Poesie da ‘Corre Voce’ e recensione.

Riparte per una nuova stagione la rubrica “Missione Poesia” d’Altritaliani. Il primo che presentiamo è Silvio Ramat con la raccolta Corre Voce. Toscano d’origine,  incline all’ironia e all’autoironia, propria anche dei grandi poeti fondatori della nostra civiltà letteraria: da Dante e Boccaccio, ad Angiolieri e alla cerchia del Berni, la sua poesia appassiona per questo e, in specie, per quella liricità tipica degli autori del nostro primo novecento, citati più o meno esplicitamente, nella versificazione dei suoi testi.

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silvio-ramat-recensione-corre-voceSilvio Ramat, fiorentino, è professore emerito di letteratura italiana contemporanea nell’università di Padova, dove ha insegnato dal 1976 al 2014. La sua carriera di poeta, avviatasi nel 1959, include numerose raccolte presso editori importanti. I versi fino al 2005 sono riuniti ora in Tutte le poesie 1958-2005 (Interlinea 2006). Fra i titoli successivi: Il Canzoniere dell’amico espatriato (viennepierre 2009); Banchi di prova (Marsilio 2011); La dirimpettaia e altri affanni (2013) e Elis Island (2015), entrambi da Mondadori. Del 2015 è l’edizione accresciuta di Mia madre un secolo (Marsilio) e del 2017 Fuori stagione (Crocetti). La sua attività di critico, premiata nel 2001 dall’Accademia dei Lincei, comprende studi sulle maggiori correnti e personalità della poesia del Novecento.

Conosco Silvio Ramat da sempre come poeta. All’epoca di questo articolo posso raccontare di averlo incontrato personalmente, circa un anno fa, ad un evento di lettura di poesie,  organizzato a Padova, all’interno della Fiera delle Parole, un grande contenitore culturale nel quale confluiscono eventi di letteratura, teatro e poesia. Da buon toscano mi è sembrato subito una persona molto incline all’ironia e all’autoironia, propria anche dei grandi poeti fondatori della nostra civiltà letteraria: penso a Dante e Boccaccio, ad Angiolieri e alla cerchia del Berni. La sua poesia mi ha appassionato perché vi ritrovo in parte quegli stessi fondamenti, e in sostanza quella liricità tipica degli autori del nostro primo novecento, quegli autori che egli stesso cita nella propria poesia, o che si ritrovano giustamente presenti, qua e là nella versificazione dei suoi testi.

Corre Voce

missione-poesia-AltritalianiParlare solo di un’opera di un autore come Silvio Ramat, che ha una lunghissima carriera di scrittore alle spalle può sembrare oltremodo riduttivo perché, necessità vorrebbe, che si andasse sempre a esaminare il lavoro in questione mettendolo a confronto con la produzione precedente, inserendolo nel contesto culturale nel quale si è mosso da sempre il poeta, valutando le possibili continuità stilistiche e tematiche del suo percorso. Ciò nonostante azzarderò un’analisi a se stante anche, comunque, partendo dal fatto, che molte poesie contenute nel libro Corre Voce sono retro datate e, in un certo qual modo, fanno da traccia per tessere una possibile mappa poetica a cui riferirsi, costituendo una sorta di antologica riproduzione di testi che sono uniti da un fil rouge piuttosto evidente: la riflessione continua che Ramat ha posto come linea d’interesse, evidente e necessaria, al centro della sua poetica e che riguarda proprio l’ossigeno vitale che dona il fare poesia, e il legame stretto che si cela tra questa modalità di essere e un incessante flusso di coscienza, che alterna vita e morte quali interfaccia costanti del proprio inconscio poetico.

Non si pensi, tuttavia, che in Corre voce il poeta abbia usato una modalità temporale stretta nella sequenza dei testi scelti. C’è piuttosto un’alternanza tematica, dove le metafore utilizzate riportano a un linguaggio che descrive una dimensione di metapoesia, dove ci si interroga sul valore della propria produzione, e un susseguirsi di momenti che, tra passato e presente, ricordo e vita quotidiana, confronti con i maestri  che hanno segnato la strada e prove di congedo, rimandano a riflessioni profonde di cui la poesia diventa testimone profetica. Lo stesso titolo dell’opera, ripreso dal titolo della poesia che apre la sezione Ah Rodin!, appare come concordato con l’insieme delle riflessioni suddette, e si presuppone possa condividere un’apertura a quell’insieme di voci che corrono nella vita reale di bocca in bocca, che compaiono nei versi dei poeti, che sono frutto di emozioni e non di calcoli, voci che certificano naturalmente le cose che accadono, che sono vere anche senza dimostrazione, che passano davanti all’esistenza di ognuno e non hanno bisogno di verifiche e che, naturalmente, meritano di essere ricondotte al linguaggio della poesia stessa: Corre voce che andando verso il sud/ in cerca dell’infanzia, volti e cose,/ più d’uno abbia trovato il settentrione/ e la vecchiaia e le cose consunte.// Corre voce che puntando all’oriente/ dove si dice nasca al mondo il sole/ più d’uno abbia veduto farsi notte// come all’ovest dall’incupita spalla[1]// […].

Con questa modalità espressiva e tematica, ad esempio, nella sezione Uno che fa provviste Silvio Ramat confessa di aver affidato alla delicata cartavelina, anziché alla forte pergamena, il lascito delle proprie poesie, metafora del senso di fragilità e non di robustezza, che la poesia in generale ha, e che non sempre riesce a resistere allo scorrere delle intemperie del tempo, come un bucato che s’appende al vento. Allo stesso modo, in quella stessa modalità di raccolta, il poeta riferisce delle cose che avvengono, che accadono mentre l’età avanza riducendo le funzioni vitali dell’uomo, e che riaffiorano nei ricordi quando meno te l’aspetti: tempi rari, di oblio e di lontananza:/ quando, senza un sospetto, la memoria/ prorompe come un fiume e tutto è suo. In questo contesto si muove dunque il poeta che si accorge e proclama quanto, inevitabilmente, egli si senta inadeguato al tempo nuovo, si senta fuori quota – condizione che traspare tra allegorie e similitudini di abiti per i quali non si trova mai la taglia giusta -; si senta meglio nell’abbraccio della solitudine che nei rumorosi bagni di folla anche nei festeggiamenti del nuovo anno, per i quali predilige le voci fioche e le luci spente; si senta più a suo agio nei piccoli sentieri di montagna, poco battuti dalle impronte altrui, se pur riconosce di non poterne fare a meno. La consapevolezza di tale condizione esistenziale, oltre che poetica, è accolta dall’autore comunque in modo sereno, con accettazione e senza risentimento, né tantomeno paura che possa generare il male di vivere: Così mi arrangio, patisco il difetto/ o l’eccesso… Ma, stretto o largo, accetto. E anche la precarietà della vita stessa diventa spunto per affermare che Finché dura il viaggio ogni cosa ha un senso, ha un valore, ha una sua dignità di esistere come il sole a fine maggio, quando un inquilino di antiche stagioni si presenta alla porta per una visita.

In fondo, ci sembra di poter affermare che, la condizione dell’autore possa essere di facile sopportazione anche grazie al sostegno riscontrato nella presenza di punti di riferimento, di maestri, di autori con cui il cammino è stato condiviso e di cui si ritrovano tracce nei testi, specie nella sezione Ah Rodin! – sopra accennata per la questione del titolo -. Da Ungaretti a Malaparte, da Sbarbaro a Montale, da Caproni a Campana, e ancora Leopardi, Corazzini, Pascoli, Saba, Giudici… tutti sono nominati, tutti hanno dato qualcosa all’autore, tutti vengono ricordati, accomunati da una lettura insieme, un’impresa da applaudire in una consonanza data dal timbro degli ultimi canti: Lettura in piedi/ o per sedile qualche pietra persa/ dal vecchio muro. La più strampalata/ va formandosi delle antologie:/ potrà il sublime scampare al contagio/ dell’insulso? Nondimeno è un’impresa/ da applaudire. Un’impresa di poesia.// Fortuiti convitati, spettatori/ di là dal muro, dove molti crescono/ da frutto e da pensiero alberi veri,/ applaudirebbero – avessero mani -/ gli ospiti annidati in tanto verde./ Ma forse è già un assenso (ad ascoltarlo/ di qua) il timbro dei loro ultimi canti.

Una poesia lieve e capace di donare incantamento quella di Corre Voce, quest’ultimo libro di Silvio Ramat di cui, a buon diritto, Maurizio Cucchi parla come di “un percorso che va dai primi anni del nuovo secolo ai giorni recenti” e che “presenta il carattere di una generosità affabile molto rara nella poesia” diventando “dunque un’opera di invidiabile freschezza”. L’osservazione dei dettagli, la reazione pronta agli accadimenti, la fiducia – seppur nella complessità – nell’esistenza, l’ironico raccontarsi nell’autoritratto, il costruire legami tra città e condominio, tra amori e poeti, il senso dell’infanzia e della morte sono tutte facce di un sommario bilancio che detta le regole, anche attraverso le proprie morosità con l’esistenza e con la poesia stessa, per continuare ad attraversare le meraviglie che la vita immancabilmente offre.

Alcuni testi da: Corre Voce

Col verso

Fare col verso come fanno i rari
pittori del reale,
che descrivono intero l’universo
raffigurando una bottiglia, un panno
poggiato su una sedia.
E invece, il verso
tutt’al più riesce a infilare una rosa
nella bottiglia, a voltare la sedia
dalla parte del sole.

10 maggio 2013

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Nulla di quanto

Nulla di quanto in anni
remoti ho fatto o scritto, e men che meno
in questo che finisce, potrà dirsi
robusto.
D’altronde, in ancor tenera
età, se l’argomento erano gli alberi,
pensavo, per amore anche del nome
accarezzando il fusto:
betulla ontano salice;
e non torrenti impetuosi: rivi
che anche un bambino guada
poco bardato e l’attraversa il vento.
Non lascio pergamene; un documento
semmai su quella che più non si vende
cartavelina
un mezzo testamento
d’aria, un bucato che s’appende al vento.

30 dicembre 2002

*****

Nella conchiglia

Al tempo delle candele, dei lumi
a olio, della rara acqua corrente,
chissà se sarei stato io
pienamente:
viaggiare, amare e, all’occorrenza, scrivere
(in un poeta rimava con vivere),
guarire dalle subdole infezioni?
Oggi, chi fa il Camino di Santiago
trova l’antico, inventa l’emergenza.
Ago filo un ricambio, ed è fin troppo
corredo per quei sentieri divisi
dalle arterie che pulsano ai motori.
Nella conchiglia si sentono i cuori.

17 luglio 2003

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Labor limae

Che io sappia orientarmi, esservi guida,
è una vostra illusione. Non lo nego,
vissi in questa città, in questo rione
forse metà della mia vita; e adesso
neppure il sole mi sembra lo stesso
da come bagna il piede delle case,
mutato il chiasso del genere umano,
modificato il profilo dei tetti,
stravolti i profumi che ancora piovono
da tigli acacie ligustri (per chi?).
Fate conto che io sia giunto qui
da forestiero – esperto di crocicchi
e labirinti, più che di passioni –
e venite dietro di me, non siamo
al tramonto della lunga giornata.
Qualcosa troveremo: forse l’ultima
frasca sull’ultima osteria rimasta,
forse il sospiro di un’ultima rima
perduta nel travaglio della lima.

28 giugno 2015

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Natura morta con datteri e noci

Augurarmi il Buon Anno a lume spento
(oggi nulla di più mi riprometto)
e con un fil di voce: ma che arrivi
a qualcuno dei miei perduti, scorta
esitante con garbo alla mia porta.
Né mi dispiace, nel regno dei vivi,
che mi si veda intento a un mio banchetto
fra i datteri e le noci di Sorrento.

27 gennaio 2007

Cinzia Demi
Bologna, 21 settembre 2019

[1] incupita spalla, Ungaretti, Il Taccuino del Vecchio

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P.S.: _cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo in fondo a questa pagina un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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