O Draghi o morte.

E così alla fine aveva ragione Italia Viva. Troppo rischioso lasciare all’esecutivo Conte la gestione di questa fase delicata della pandemia, troppo pericoloso lasciare il Paese nell’immobilismo di quel governo, reso ostaggio dalle contraddizioni grilline e da un PD incapace di assumersi le responsabilità di una svolta decisa e coerente, il tutto, mentre le vaccinazioni non decollano e con l’approssimarsi di marzo che significa fine del blocco dei licenziamenti (la cupa previsione degli analisti economici, parla di due milioni di disoccupati in più allo scadere del 31 marzo) e con l’avvicinarsi di Aprile quando, alla Commissione europea, si dovrà spiegare per iscritto come impiegheremo i 209 miliardi del Recovery Fund, pena la perdita di questa autentica manna dal cielo. Troppo rischioso il voto anticipato come magistralmente ha spiegato Mattarella chiosando la fine dell’inutile esplorazione del Presidente della Camera Fico.

Matteo Renzi

Parafrasando il titolo di un suo libro, Renzi con una “mossa del cavallo”, giocando d’intesa con Mattarella, liquida un governo decotto, che da dicembre aveva ridotto la sua azione al balletto folle di colori (giallo, arancione e rosso), con snervanti aperture e chiusure delle regioni come sostanzialmente unica misura anti-covid. Un governo senza mordente, incapace di dare risposte sul Mes, per il nostro sistema sanitario e di prospettare un coraggioso Recovery Fund per la ricostruzione del nostro Paese. Renzi ha il merito di aver indotto Mattarella all’unica scelta possibile, Mario Draghi. Il quale, pur nella consapevolezza della mediocrità dell’attuale quadro politico, non si è tirato indietro e con il suo senso dello Stato si è posto alla guida di questa delicatissima fase storica della nostra repubblica. Renzi non voleva le elezioni e voleva arrivare fino alla fine della legislatura e al voto per il nuovo Capo dello Stato che, probabilmente, già immagina nella figura dell’ex Presidente della BCE. Un ulteriore effetto della sua intraprendenza è stato quello di aver salvato il suo ex partito il PD che, a corto d’idee e di coraggio, si stava stringendo in un abbraccio mortale con Conte che già era pronto a formare il suo partito che avrebbe sottratto, secondo tutti i sondaggi, proprio voti a Zingaretti e soci. Infine ha costretto il M5S ad uscire dalle proprie opacità e a decidersi sul loro futuro essendo ormai sospesi tra nostalgie da “Vaffa-day” e pratiche scimmiottate dalle peggiori prassi democristiane.

Ci permettiamo di dire, ad un’informazione che è supina a questa politica e mancante del coraggio della verità, arrivando a nascondere l’evidenza dei fatti, che se ora il futuro del Paese, con la soluzione dei testé citati problemi e di altri ancora, è nelle rassicuranti mani di Super Mario Draghi, il merito è proprio del bistrattato, emarginato e ingiustamente sbeffeggiato Renzi, che ha costruito di fatto un’asse con Mattarella per la soluzione della crisi.

Mario Draghi è la soluzione a condizione che prevalga nella nostra classe politica (cosa non scontata) il senso della responsabilità per il momento tragico che il mondo e il paese stanno attraversando. Tirarsi, come vuole fare Fratelli d’Italia o come vorrebbe parte della galassia grillina, che invocano elezioni anticipate ed opposizioni a priori al nuovo esecutivo è irresponsabile e contro le sagge indicazioni di Mattarella che ha ricordato la necessità di un parlamento unito a sostegno di un governo di grande profilo. Una chiamata all’unità che non può che essere tenuta in conto.

Draghi è la soluzione e questo anche gli italiani meno attenti alle vicende politiche lo sanno. Un sondaggio della RAI ha segnalato come il 67% degli italiani ha fiducia in un esecutivo Draghi e del resto va sottolineato non solo le qualità di cultura economica ma anche politica di colui che finanche in America è chiamato Super Mario, per aver salvato nel 2011 l’Europa con i suoi interventi da Presidente della BCE, facendo scuola anche per il suo successore Christine Lagarde, ma anche la sua estrema popolarità. Se si chiede per strada a un qualunque cittadino chi potrebbe risollevare le sorti del paese, non ci sono dubbi, la risposta sarà Draghi. Moderato e coraggioso. Esperto di politica internazionale, conoscitore dei palazzi del potere e autorevole al punto da poter mettere in soggezione qualunque Capo di Stato. Un uomo, è bene non dimenticarlo, che negli otto anni di presidenza BCE è stato tra i tre più potenti della terra.

Sergio Mattarella e Mario Draghi

L’augurio è che i partiti politici italiani, consapevoli (ci si augura) della propria mediocrità, palesata anche nelle vicende del primo e secondo governo Conte, non mettano paletti, evitino giochini, perché la situazione è davvero grave e, come ricordato autorevolmente da Mattarella, occorre unità e senso dello Stato.

Già parte della stampa italiana discetta su balorde e pretestuose polemiche: Sarà un governo, tecnico? Meglio un governo tecnico politico o solo politico? Tutte questioni assolutamente inutili. Non esistono governi tecnici, qualunque governo per governare è sottoposto alla fiducia del parlamento che gli dà, proprio con questo atto, investitura politica. Così come non esiste dire che Draghi non è stato eletto dal popolo, neanche Conte lo era, bisogna sempre ricordare che la nostra è una democrazia parlamentare e che la sovranità del popolo si esercita attraverso il Parlamento. Dunque qualunque maggioranza venga a costruirsi in Parlamento, per quanto discutibile, è ipso facto, una maggioranza legittima. Quindi speriamo di non finire nei soliti tediosi dibattiti televisivi che si reggono sul nulla.

Speriamo da ora in poi, di avere più politica e meno varietà.

La soluzione della crisi evidenzia due cose:

La prima è che con Draghi il paese ha trovato una soluzione credibile per la lotta all’epidemia e per la ricostruzione economica e quindi sociale del paese, ritrova un’autorevolezza internazionale che era stata perduta. Con tutto il rispetto, una cosa è che a trattare in Europa con Macron e Merkel ci vada l’ostaggio Conte, un’altra è che ci vada Draghi che è uno che può spiegare per filo e per segno come lo fa ancora oggi, con il suo successore Christine Lagarde, tutti i segreti dell’economia e della finanza europea e mondiale.
Per tanto è prevedibile che, dopo il balbettio del governo Conte, persosi nell’irrilevanza dell’attuale PD e tra le lacerazioni e le contraddizioni dei 5 Stelle, si assisterà a ben altra risolutezza, sempre che, è bene ribadirlo, la miopia di questi partiti non crei ostacoli e freni. Mattarella è stato chiaro e i fatti dicono che in un mese occorrerà mettere mano a circa 130 dossier di imprese grandi e medie che sono al limite della chiusura e quindi bloccare quei licenziamenti che giorno dopo giorno montano come un fiume in piena. Come auspicava Italia Viva, si potrà dare vita finalmente ad un Recovery Plan credibile e forte che possa rilanciare, forse verso un nuovo miracolo, l’economia del paese, magari dando occupazione specie per i giovani che, tra quota 100 e redditi di cittadinanza, sono stati abbandonati sin qui dalla classe politica dominante.

La seconda evidenza è l’ulteriore occasione persa dalla politica per dimostrare responsabilità e senso della realtà, uscendo dagli interessi partitici e di poltrone nel nome del bene del paese, minato dalle tante emergenze degli ultimi anni. Su questo tema però bisogna evitare di fare qualunquismo. Non è tutta la politica che esce sconfitta. Esce sconfitta la vecchia politica, quella che è incapace di leggere il futuro, che è priva di visione e di coraggio, che non riesce a fare a meno di abbarbicarsi su vecchie e morte ideologie, quella del rancore e che parla di cambiamento senza volerlo fare mai. Quella vecchia politica fatta da uomini che non si rassegnano a capire che la loro stagione è finita, ammesso che sia mai iniziata. Il pensiero viene ai Grillini che già dopo pochi anni sembrano vecchi; hanno messo da parte la regola del “no al secondo mandato”, dopo aver assaggiato il gusto del potere. La loro classe politica dovrebbe già farsi da parte, essendo venute fuori tutte le loro pecche: tenersi stretti all’ormai nostalgico “Vaffa” e allo stesso tempo scimmiottare le vecchie pratiche politiche di democristiana memoria. Un monumento all’incoerenza che ha avuto la sua acme nel goffo tentativo alla Berlusconi, di compravendita di senatori pur di salvare se stessi e il loro Conte, il quale ora medita di fare il capo politico proprio dei 5 Stelle, magari nella prospettiva di promuovere poi il proprio partito personale.

Francamente, resta incomprensibile e masochista la posizione del PD che per la sua storia (venendo da due grandi partiti la DC e il PCI), avrebbe dovuto fare quello che con molto più coraggio e visione ha fatto il piccolo Italia Viva. Ovvero mettere gli interessi del paese prima delle proprie poltrone e viceversa un PD rancoroso e complessato nei confronti di Renzi e i suoi, ha preferito far perdere settimane per la non riuscita compravendita di senatori, cosa che in passato aveva condannato, quando l’acquirente era la destra, per poi restare incollato alla giacca di Conte che peraltro è colui che, secondo i sondaggi, potrebbe togliere punti e forza proprio a loro. Per la serie facciamoci del male.

Vince invece proprio la politica. Quella che per anni è stata bistrattata, maltrattata, finita in slogan populisti e demagogici, quella per anni rovinata da partiti incapaci di darsi un programma, di leggere il futuro e di interpretarlo. Vince la buona politica, quella che mette in gioco il cambiamento, che pone e impone il rilancio come costruttiva e positiva prospettiva dopo anni di recessione e di crisi economiche culminate con la pandemia del 2020. Una politica che non è tutta arroccata in difesa della conservazione di un triste presente, ma che ambisce ad un nuovo miracolo economico, che da speranza e fiducia, che riscalda il cuore per quello che Renzi chiama il Rinascimento del prossimo futuro. Vince Italia Viva che dimostra come anche con il 2 o il 3% dei consensi (nei sondaggi) si possa fare politica e anche buona politica.

Ad inizio crisi nel PD si diceva: « O Conte o morte”, francamente ci convince di più il grido: “O Draghi o morte”.

La vecchia politica deve cessare di rimirarsi nello specchio dei troppi talk show che affolla narcisisticamente ed approfittare di questo esecutivo che si prospetta per emendarsi, per abbandonare i facili populismi, leggendo di più e leggendo meno i sondaggi, studiando di più, cercando di calarsi nella realtà di un mondo ancora sconvolto tra crisi economiche e le sofferenze della pandemia, cercando di fare politica oltre che con la testa anche con i sentimenti (come spesso ricorda proprio il leader di Italia Viva), perché si aspettano risposte e coraggio, perché c’è tanta gente e in primis i giovani che non hanno futuro e senza futuro si è morti.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Bell’articolo: chiaro, puntuale e coraggioso: pochi commentatori, in Italia, hanno avuto “il coraggio” – e, quindi, l’onestà intellettuale – di attribuire a Renzi il merito dell’inversione di una rotta che ci avrebbe condotto al disastro.

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