Il monegasco e gli italiani.

Quanto conosciamo del monegasco (“A lenga munegasca”)? Monaco ha una lingua ufficiale – il francese – e questo fatto è stabilito nella Costituzione (art 9): “La langue française est la langue officielle de l’Etat”. Fino al 1860 la lingua ufficiale era stata pero’ l’italiano, anche se non c’era allora una costituzione che lo stabilisse.


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Nel 1860 con l’annessione della Contea di Nizza alla Francia, insieme Mentone e Roccabruna, sui quali il principe di Monaco accampava diritti, queste terre diventano parte dell’allora Impero francese e il francese ne è unica lingua ufficiale. L’Italiano continuava a sopravvivere nelle scuole e grazie alla immigrazione di lavoratori venuti numerosi dal Piemonte e dalla Liguria attratti dalle opere imponenti che avrebbero dato vita a Monte- Carlo.

Tuttavia questi immigrati, che non erano andati a scuola, non parlavano italiano, ma i loro dialetti, liguri o piemontesi erano molto simili al monegasco, più facile da imparare che il francese. Anche i monegaschi allora fra di loro parlavano il loro dialetto, l’italiano e il francese era accessibile solo a chi aveva studiato. Così la comunità di parlanti il monegasco si accrebbe grazie all’apporto di nuovi venuti e il massimo di questa espansione si ebbe a cavallo fra il 1800 e il 1900. Nel nuovo comune di Beausoleil, scaturito nel 1904, dalla secessione da La Tourbie, divenne la lingua di uso comune.

Le cose poi cambiarono, Monte-Carlo ebbe un grande sviluppo turistico, urbanistico ed economico, divenne il luogo preferito di villeggiatura delle élite di allora. La popolazione aumentò di molto, era di 1200 anime nel 1861 e 15.500 nel 1903. I servizi e le esigenze del pubblico cosmopolita si fecero sempre più raffinati e costosi. La scolarizzazione di massa e la frequentazione di persone di alto livello sociale e culturale, provenienti da tutta l’Europa, portarono alla veloce introduzione del francese anche come lingua d’uso corrente e popolare.

La pratica del dialetto, che allora non aveva alcuna dignità culturale e veniva considerato un ostacolo sociale a carriere ed impieghi, divenne limitato e si restrinse alla popolazione della Rocca dove vivevano i monegaschi autentici, avviati a divenire una minoranza nel loro paese.

Bisogna arrivare agli anni Venti del ‘900 perché inizi un processo di reazione al declino definitivo della parlata monegasca.
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Nasce il Comitato nazione della tradizione monegasca (Cumitau Naçiunale de Tradiçiue Munegasche) ed alcuni intellettuali scrivono in monegasco: Louis Notari: « A legenda de santa Devota ». Santa Devota è la patrona del Principato e l’opera di Notari viene considerata il poema nazionale. Notari (1879 – 1961) fu il vero artefice della rinascita della lingua, scrisse pure l’inno nazionale. Ingegnere ed architetto diplomato al Politecnico di Torino, non ricostruì solo la lingua, ma tante parti del Principato e partecipò attivamente alla vita politica.

Nel secondo dopoguerra, negli anni Settanta, la lingua monegasca viene introdotta obbligatoriamente nelle scuole del Principato.

Nelle scuole del Principato naturalmente si studia in francese, ma sono obbligatori l’inglese e il monegasco. Sono pure previste altre due lingue straniere, una di queste è di solito l’italiano, che non dovrebbe essere considerata lingua straniera in quanto parte del patrimonio storico del Principato, ed è infatti molto vicina alla parlata locale.

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Il monegasco è pertanto una lingua italica, l’erede della parlata dei genovesi che occuparono la Rocca nel lontano 8 gennaio 1297. La lingua si è preservata fino ad oggi anche se vi sono stati cambiamenti, modifiche e interazioni con le parlate circostanti; nei luoghi vicini non si parlavano dialetti liguri ma provenzali, definiti dai linguisti liguri-provenzali. Simili ma non uguali e non sempre intercomprensibili.

La lingua di Genova ha avuto nei secoli una grande diffusione grazie al dinamismo dei suoi mercanti, banchieri e marinai. In Corsica, in Sardegna vi sono località dove ancora lo si parla. In passato è stato presente in Tunisia, a Gibilterra. Il dialetto di Buenos Aires è infarcito di parole liguri. Lo si parla ancora a Genova e in Liguria, ma non possiamo prevedere per quanto tempo ancora.

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C’è chi si batte per la sua sopravvivenza, ma solo a Monaco ha acquisito dignità letterarie e uno status di lingua nazionale. Vi sono pure dizionari, grammatiche, fumetti di Tintin, reperibili alla FNAC di Monaco e un libro sul Papa, « Joseph e Chico, ün gato chœnta a vita de Papa Benedetu XVI », pubblicato dalla Liamar Editions Monaco, reperibile presso la Libreria Scripta Manent, 29 rue du Portier, Monte-Carlo.

Lingua italica dunque, l’alfabeto è composto di 23 lettere, le stesse della lingua italiana e non vi sono infatti le lettere k, w e x.

Le vocali si pronunciano come in Italiano quindi la « u » si pronuncia u non ü come in francese. La « e » e la « o » sono in generale più chiuse che aperte. Esiste il suono « û ». I dittonghi si pronunciano come in Italiano, cioè distaccando i suoni delle singole vocali, quindi aiga, che vuol dire acqua, si dice a-i-g-a.

Anche le consonanti si leggono come in italiano. C’è qualche problema con la pronuncia della « r » fra due vocali. La pronuncia esatta può essere recepita solo da un monegasco che parli monegasco. La « j » si pronuncia invece come in francese. La « c » ha anche il suono « ç » vedi « tradiçiun ».

L’accento tonico è di solito sulla penultima sillaba.

Potete ora leggere correttamente e tranquilamente: « U luvu perde u pûu ma non u viçi« .

Siccome è facile, non vi diamo la traduzione.

Mauro Marabini

***

P.S.: È il bel saggio a firma di Maria Franchini pubblicato su Altritaliani sulla lingua napoletana (https://altritaliani.net/le-napolitain-une-langue-et-non-un-dialecte-lunesco-confirme/) che mi ha indotto a sottoporre all’attenzione dei frequentatori del sito questa mia breve nota sul monegasco, lingua nazionale del principato di Monaco. Aggiungo che è una vera vergogna non avere portato, nella repubblica italiana, nelle scuole pubbliche, lo studio di quelle che chiamo lingue regionali, non dialetti. Il vacuo agitarsi che si ha nei vari movimenti locali non ha portato alla istituzionalizzazione delle parlate locali. Di fatto sono riconosciute solo le lingue minoritarie «straniere». Inoltre il piemontese, il napoletano, il ligure ed altre non sono poi tanto minoritarie; fino ad una generazione fa erano maggioritarie nei loro territori. In Francia hanno arrestato il declino dei «patois», non chiamandoli più cosi’, ma «langues régionales» e inserendole nelle scuole, in ogni ordine e grado soprattutto là dove continuano ad essere parlati. Ci sarebbe tanto da dire ancora……pero come dice questo proverbio in monegasco: Ë parole longhe fan ë giurnae cürte.

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Mauro Marabini
Editore & libraio a Monte-Carlo nonché direttore del periodico trimestrale «L’Editoriale» in italiano per gli italiani di Monaco, distribuito gratuitamente nel Principato.

1 COMMENTAIRE

  1. Il monegasco e gli italiani.
    grazie per avermi citata e complimento per l’articolo. Sono stata lieta di averle dato l’idea di questo interessantissimo articolo.

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