‘Filo spinato’, poesia di Alessandro Fo

Torna con “Filo spinato” (Einaudi 2021) la poesia di Alessandro Fo, al quale siamo immensamente grati per la condivisione di queste ulteriori sue esperienze di vita, fatte di ricordi, incontri, momenti feriali arricchiti di particolari e resi visibili, e condivisibili, grazie a quel senso di verità che da sempre lo contraddistingue.

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poesia italianaAlessandro Fo è nato a Legnano nel 1955. Insegna Letteratura latina all’Università di Siena. Le sue principali raccolte di poesie sono Otto febbraio (Scheiwiller, Milano 1995), Giorni di scuola (Edimond, Città di Castello 2000), Piccole poesie per banconote, (Pagliai Polistampa, Firenze 1° gennaio 2002), Vecchi filmati (Manni 2006). Per Einaudi ha pubblicato le raccolte di poesia Corpuscolo (2004), Mancanze (2014) e Filo spinato (2021) e ha anche tradotto e curato Il ritorno di Rutilio Namaziano (1992), l’Eneide (2012, insieme a Filomena Giannotti) e, di Apuleio, Le metamorfosi (2010) e La favola di Amore e Psiche (2014).
Ha inoltre curato varie edizioni di opere di Angelo Maria Ripellino, tra le quali quella che riunisce le tre raccolte poetiche Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde (Einaudi 2007, con Federico Lenzi, Antonio Pane e Claudio Vela).

Per un’autobiografia più completa, e ulteriori notizie, si rimanda al precedente articolo uscito nella nostra rubrica Missione Poesia in occasione della recensione a Mancanze riscontrabile al seguente link: https://altritaliani.net/la-voce-poetica-di-alessandro-fo-nel-libro-mancanze/

Filo spinato

Non possiamo che essere grati, ancora una volta, ad Alessandro Fo per averci reso partecipi di queste ulteriori sue esperienze di vita, fatte di ricordi, incontri, momenti feriali arricchiti di particolari e resi visibili, e condivisibili, grazie a quel senso di verità che contraddistingue da sempre la sua poesia. Ma non solo. Tra i versi delle pagine, nelle partiture del libro – Ingannare il tempo, Muto carcere, Dei sepolcri, again – il formicolio dell’umanità che si esprime attraverso voci ed episodi di vita vissuta, riesce a rendere conto anche di momenti di storia contemporanea, di contesti attuali, di situazioni in cui tutti ci siamo trovati o ci troviamo immersi, e che contribuiscono a colmare quelle lacune memoriali che la grande storia non può raccontare, intenta com’è a narrare i macro fatti,  tralasciando di attingere dalle esistenze, soprattutto interiori ma anche quotidiane, di chi da quei fatti viene penetrato nel profondo.

È così che, ripercorrendo alcuni dei passaggi fondamentali del libro, ci accorgiamo di come l’autore, con la tecnica di una penna maestra, e la sensibilità di una voce poetica potente – se pure lieve in apparenza -, ci conduce dritti su quel cammino di relazioni di cui è fatta l’esistenza, e che dovrebbero costituire il grande ponte che congiunge al bene. Dico dovrebbero, perché non sempre è così, perché qualche volta ci perdiamo su quel ponte, perché le nostre fragilità spesso ci impediscono di arrivare dall’altra parte della sponda. E là, dove il cammino si interrompe, dove le forze ci abbandonano, o dove il destino ci attende improvviso, proprio là noi ci aggrappiamo a quel filo, spesso anche spinato, sperando che ci sostenga nel nostro passaggio tra la vita e la morte.

Il tempo della vita e quello della morte, il tempo che viviamo più o meno coscientemente, quello che perdiamo, quello che vorremmo ingannare e riavere, compone le stesse facce di quella stessa medaglia che, lanciata in aria, riporta sempre lo stesso responso: per quanto qualcuno, dall’alto, possa guidare le nostre azioni, siamo sempre e comunque noi a scegliere di compierle. Ciò che sentiamo come dono su quel cavallo alato che serve agli eroi nel trasporto degli organi; i nostri pensieri di un mattino rivolti a disporre a chi lasciare i libri, i quadri… le giacche, cravatte, biancheria,/la vita dei bicchieri e delle pentole; il nostro accalcarci alla fermata, preoccupati/che il bus di linea non ci carichi tutti, (dopo una visita al Lager di Dachau); i sospiri raccolti alla casa di riposo Il Balcone: “E’ questa solitudine (piangendo)/…Non la si vince, professore… Non…/Non la si vince…”; il rammarico per quel 6 in matematica di lei che si lamenta ancora dopo ben più di ottant’anni; tutto concorre al compiersi delle azioni che è il compiersi del tempo nel momento stesso in cui lo viviamo, come diceva colui che scriverà le Confessiones, di cui viene ricordato nella poesia Un uomo ricco di tanti anni fa, chi lo aiutò a formarsi chi si accollò le spese degli studi.

Ma il tempo che non s’inganna, in realtà, ci consente di sostare con l’autore presso il muro della pizzeria al taglio tappezzato di messaggi disparati; di andare avanti senza depressioni,/passo per passo, con piccoli fiori; di sperare con lui che un giorno o l’alto capiti uno sgombro per quel garage che ospita nel cassetto di un tavolo le lettere dell’amato Ripellino; di rivivere insieme gli ultimi momenti con la madre che al figlio disse “sono grave” e con il padre che, se pur malato, s’illudeva che sarebbe tornato a lavorare “Per guadagnare?… No… per ingannare il tempo”. Di questi momenti, così drammatici e così drammaticamente resi, non c’è gran traccia nella poesia dei nostri giorni, più tesa a scarne descrizioni di sentimenti o cose che non sanno emozionare, che non cedono il passo all’altro che ci accompagna o ci sostiene, che non sostano nella linea d’equilibrio dove cuore e mente si congiungono, dov’è possibile ritrovarsi specie dopo le esperienze innegabili e inevitabili del dolore, della malattia, della solitudine, della morte stessa. La visione di Alessandro Fo sembra voler ripartire da qui per tornare a raccontare quanto sia necessario riconoscere il valore di un gesto, di uno sguardo, di un pensiero che trasformi l’indifferenza in ascolto.

La caduta, scultura di Daniela Capaccioli, artista italiana vivendo a Parigi

E proprio su questo ascolto si centra la seconda parte del libro, dove il tempo immobile del carcere viene soccorso da chi si presta per dare sollievo ai detenuti con il proprio talento, e il volontariato, cercando di innalzare lo scudo del bene – che sempre si trova – in ognuno: mi è cascata in braccio una vecchietta/ “Mio Dio, signore, lei proprio mi ha salvata…”//(era l’ultima sera del permesso/e tra poco sarebbe ritornato/nella gabbia che gli era destinata); cercando di comprendere che, se pure nella giustezza della pena, spesso chi è in carcere vive in condizioni molto difficili, in cui la mancanza anche di un cielo notturno vietato ai prigionieri diventa ulteriore aggravio; cercando di contribuire al recupero di coloro che hanno pur sempre diritto a una dignità, perché cercano di riacquistare la misura della vita. I testi di questa sezione, che spesso si fanno colloquiali, nella melanconia che li pervade sono arricchiti da quella pietas necessaria ad elevare a essere umano, degno di attenzione e ascolto, anche chi ha compiuto gesti estremi considerando queste anime in pena comunque sospese tra un inferno e un paradiso che non è solo di questa terra.

L’ultima sezione del libro è quella più evocativa dove ritroviamo personaggi che, in qualche modo, hanno colpito l’universo del poeta, entrandone a far parte a pieno titolo. Da Mia Martini che contro uno sfondo falso con la luna,/mentre canta qualcosa/che parla di neve,/strana cosa/d’agosto;  a quelle Voci sul 63, tra cui Brunetta “Cari, care,/novantanove anni li ho compiuti./Questa estate, penso, me ne andrò./Per adesso però,/è ancora maggio:/e pertanto, coraggio,/venitemi a trovare”; dalla nonna che stava male/Era debole. Solo un’influenza…/Però il dottore suggerì l’ospedale./Lei accetto. E senza dire una parola/venne vicino a mio nonno Daniele/e gli prese la mano/stringendogliela forte.//… Quello fu il suo modo/di salutare, e entrare nella morte; ai fratelli Brogi che come a voler lasciare qualcosa di bello nel mondo, lasciano l’umile gusto di una sfogliatella; da Laura delle Poste che con le dita/inchiostrate dai timbri diceva “sempre versi spedisci… Ma lo scrivi,/ un giorno, invece, un libro” “Ma… un romanzo?”Un vero libro, sì… un libro vero…”; a Liliana Segre che nel suo discorso al Parlamento Europeo disse Io dentro al campo non avevo pastelli,/come quei bambini/poi mandati a morire. E non avevo neanche fantasia/per disegnare una farfalla gialla/(gialla come la famosa stella)/che vola via sopra il filo spinato; fino ad arrivare a nonno Felice di cui, nel testo che chiude la raccolta, viene ricordato l’episodio per il quale riuscì a salvarsi la vita Dopo un assalto, rientrava di fretta,/ma al momento del salto, sotto i colpi /restò impigliato in un reticolato./Bestemmiando contro i numi avversi/disimpegnava in affanno la ghetta,/quando una bomba gli sorvolò la testa,/finì in trincea al suo posto, e uccise tutti.

Filo spinato (Einaudi, 2021) è un libro in cui al suo interno, in generale, ma in quest’ultima parte, in particolare, l’intersezione efficace tra la liricità e l’esperienza, la testimonianza e la cura, si riflette in un senso vero e compiuto su cui si fonda l’universalità di una poetica, che vuol essere un memoriale che tenti di condurre alla salvezza della nostra interiorità migliore e, senz’altro, anche di quella nebbia di ricordi in versi da cui traspare tutta l’autenticità di una voce, quella di Alessandro Fo, tra le più convincenti del panorama poetico contemporaneo.

Alcuni testi da: Filo spinato

Doni 

Nella notte d’estate appena tiepida,
ma quanto basta a aprire la finestra
sul silenzio di stanze e luci fievoli,
anche se è tardi d’improvviso un’elica
fa la sua rotta verso l’eliporto.

Non ha orari il trapianto.

E in volo nel ricordo
c’è casa tua sulla linea del «Pègaso»,
cavallo alato che, nei nostri giorni,
serve gli eroi nel trasporto degli organi.

Se per caso ne avvertivi l’elica
balzavi su e correvi alla finestra
presa da affanno e improvviso sconforto.

E anche se tacevi
sapevo che avvenire avevi in mente,
disposto a testamento.

«Io che, da viva, non servivo a niente,
servirò a qualche cosa almeno morta».

***

Un vecchio scatto della Nobil Contrada del Bruco

Dopo la cena, ecco Mario e Giovanna
mi fanno un quiz. Mi mostrano una foto
di un tempo: bimbi con uova pasquali.
«Riconosci qualcuno?» E io la scruto
fila per fila… «Mah… Forse… è Mario questo?»
«Mario, tu dici?» «Aspetta… No, è Simone!
Ma sì! È Simone, certo, è lui, lo stesso
disegno d’occhi, naso, sopracciglio,
anche i capelli, il suo solito taglio».

Simone fu il loro unico figlio.
Morì ragazzo, a ventidue anni
il 10 agosto del Novantasei.

«Esatto!… Però è una foto nel Bruco
scattata per la Pasqua del Sessanta…
Capisci? È un bimbo che avrà nove anni,
e dunque è nato nei primi Cinquanta…»
«… Non è Simone?… Eppure è il suo ritratto…
Chi è?» «Non lo sappiamo.
Stiamo cercando chi l’abbia conosciuto,
un qualsiasi contatto,
fra gli altri della foto.
È così uguale. A trovarlo, vedremmo
come sarebbe
nostro figlio cresciuto».

***

Quel che inizia nel giorno

Disporre a chi lasciare i libri, i quadri:
un giorno o l’altro ci dovrò pensare.
E anche giacche, cravatte, biancheria,
la vita dei bicchieri e delle pentole…

È l’alba, e lento mi dirigo al lavoro,
mentre sul cielo semigrigio e lucente
scorre a zigzag la fuga di spioventi.

Mi supera, compresa nel suo footing,
una ragazza.
Ha la coda,
le sobbalzano
nel passo svelto e elastico i capelli.

Ma a destare stupore
è come, anche all’impatto delle suole,
sia già lontana, senza alcun rumore.

***

Semi

Dieci mesi durò l’isolamento.
Mi ero fatto amiche le formiche.
Le conoscevo ormai una per una.
Ci mettevo le fette di salame:
loro uscivano dalle loro tane
per venire da me.
……………………………….Ci avevo solo
un vecchio numero di «Famiglia cristiana».
Tutto mi avevano tolto: TV, radio,
libri, tutto quanto.
Lo nascondevo dentro le mutande
e alla perquisizione
non lo trovavano.
Lo sapevo a memoria. Pure la Redazione,
i numeri di telefono.
L’ora d’aria era in un quadrato
di tre metri per tre di cemento.
Solo pareti, e sopra di me il cielo,
ma pure fra quel cielo e me una grata.
Per dieci mesi.

Per dieci mesi.

E poi alla fine mi concessero i libri.
Libri per modo di dire. Biblioteca
dell’Isolamento. Carta straccia,
vecchi, senza più la copertina,
romanzi fatti a pezzi, che attaccavo
da dove capitava.
Ma quando ho avuto i libri
– non la televisione: proprio i libri dico –
quei libri putrefatti, sbrindellati,
be’, su quei libri, per la felicità, io ho pianto.

***

Filo spinato

Nonno Felice, quando sono nato,
veleggiava verso i sessant’anni,
così nel mio ricorso è sempre «anziano».

Poi sfoglio un album, lo ritrovo giovane
in certe foto come capostazione
con tre figli bambini.

più indietro, c’è una foto del ’28,
l’anno in cui nasce anche Fulvio, mio padre,
dopo dieci anni dalla Grande guerra,
che il nonno raccontava
a noi nipoti in vacanza a Luino.
Eventi troppo grandi
al cuore di un bambino,
confusi con i film, le fantasie
dei nostri finti giochi di soldato…

Tanto che poi abbiamo tutto scordato.
Tranne una storia, che è lì nella mia mente
(senza riscontri; me lo sarò sognato?)
Dopo un assalto, rientrava di fretta,
ma al momento del salto, sotto i colpi
restò impigliato in un reticolato.
Bestemmiando contro i numi avversi
disimpegnava in affanno la ghetta,
quando una bomba gli sorvolò la testa,
finì in trincea al suo posto, e uccise tutti.

Senza quel filo, a cui noi siamo appesi,
niente Bianca, né Dario, né Fulvio,
né noi nipoti, né il premio Nobel

(né questa nebbia di ricordi in versi).

Cinzia Demi
Bologna, 18 aprile 2021

Altri contributi di « MISSIONE POESIA », rubrica Altritaliani di poesia contemporanea curata da Cinzia Demi: biografie, poetica, note critiche, interviste, curiosità, ma soprattutto tanta poesia dei migliori poeti italiani del momento. Contatto: cinziademi@gmail.com

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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