Lo sparo d’azzurro delle “Invasioni”, di Antonio Porta

Contemplare : (etimologicamente anche) attrarre le cose nel proprio orizzonte poi
farle viaggiare dentro (la biografia che s’intreccia agli anni).
Riordinare o al contrario ‘caoticare’ oppure, ancora, ascoltare le cose, con orecchie e gola e occhi, ripercorrendone i suoni nelle parole: danza o canto del caos. (Poesia)

Edizione originale Mondadori 1984Già si conosce la forza centrifuga dell’io che s’agguanta alle cose per sperdersi dentro e sparire, svuotandosi del proprio corpo per entrare nel corpo delle cose, scindendosi, però, proprio da sé (quasi s’intuisce, qui, l’oggettivazione). Mi pare di sapere quando invece l’io s’avvinghia a se stesso assorbendo, in un vortice ascendente o discendente, le cose per poi parlarle in parole. Perché troppa è la grazia o violenza del moto del mondo fuori che penetra la propria carne come arma affilata o coltello, filo che cuce piaghe e lesioni del corpo. Allora rimane dentro, un mondo dentro, dove tutto si risolve e si (ri)crea di nuovo. E la scissione è sempre all’erta.

Antitesi della fuga dal centro, la fuga nel centro si stacca dalle cose come carne di pollo, cresciuto troppo in fretta per essere mangiato. Carne che si stacca dall’osso con un morso famelico e tronfio d’abbondanza. Quando troppo in fretta si cresce per staccarsi da sé, si cade maturi, troppo in fretta maturi (intanto- sotto- sta la terra che (ri)genera e ci si sotterra naturalmente, ci si (ri)trova poi (ri)sorti e (ri)sputati nel mondo dalla vulva della (ri)nascita- attoniti- ci si guarda (ri)nascere).

Ma c’è una terza possibilità (e di possibilità ce ne sono, per fortuna, tante, forse infinite (?) altre) : la poesia di Antonio Porta. Che non è né l’una nell’altra fuga, ma la sintesi d’entrambe. Qualcos’altro ancora, insomma, che sta perfino oltre la sintesi. Perché stiamo parlando di una poesia che s’affranca dalla soluzione e così dal senso, dall’ossessa tentazione di risolvere. Come se il mondo fosse una formula matematica, e, invece, non lo è (per fortuna), e Porta lo sa. Allora lui guarda e osserva. A volte si butta dentro le cose, e non come carne di pollo che si stacca dall’osso: ma con corpo tutto. E prima di fissarle nell’attimo della parola poetica, che sospesa bacia il mondo, le vive, ci viaggia, lui, in quel corpo delle cose. Che sia albero o foglia o ramo, cielo o nuvola, sole o luna, animale o finestra, l’occhio di Porta scruta e vive al contempo poi le restituisce con quella fedeltà che è propria di chi ha affinato i sensi e ha ancora pulsante in sé l’esperienza dell’universo intorno e del viaggio.

porta-1.jpgNon ho scorto brandelli di poeta mentre leggevo la sua raccolta intitolata Invasioni, 1980, 1983. Difficile a dirsi cosa invece ho scorto (colto visioni?) e cosa rimane: senza dubbio la voglia di ritornare a stare sospesi tra le sue parole, come quando in Balene Delfini Bambini, 1980-1981, invocando Melville dentro New York, scrive: se invece prendi uccelli più forti al guinzaglio, i migratori/ più robusti/ puoi crederlo, puoi giurarci, te ne vai via con loro,/ certo, ma, dove?/ (non all’inseguimento dell’essere, o amico, ma di un po’/ d’ossigeno,/ che è come l’essere, dici subito tu, ma che tu sei matto,/ dico io,/ come si fa a dirle, certe cose, io preferisco volare via, io/ respirare,/ […]. Porta pare prima esperire il mondo con l’acutezza di uno sciamano o di un uomo che la vita sceglie e brama più dell’inseguimento dell’essere, io preferisco volare via/ io, respirare. Perché nell’inseguire l’essere s’avvererebbe una nuova e altra dissociazione tra l’essere in sé (e nelle cose) e l’essere fuggente che si deve inseguire. Porta sa anche questo e non lo fugge infatti, ma lo sfiora e evocandolo ne suggerisce l’immagine eterea, la quale, paradossalmente, si può toccare: è la parola, il verso, la musicalità, l’incisività dell’immagine evocata.

Non si tratta di rincorrere l’essere per lasciar spazio al vortice della separazione, perché: l’essere è fame che segue subito la nascita.

Poesia degli elementi e del ciclo delle stagioni, fatta d’arresti, che sono incanti. In Come può un poeta essere amato? (Diario, 16.8.1981 – 17.8.1982) si legge :

il silenzio è assoluto, segnali d’uccelli,/ è già così tardi?, all’improvviso
nevica

Quel presente indicativo posto alla fine del verso costringe l’occhio ad andare a capo. E andando a capo pur nell’assenza del punto, lo costringe ad arrestarsi. Così, d’improvviso, arrestandosi, l’occhio, pare proprio che nevichi.

Oltre il mondo fuori e il mondo dentro nella poetica di Porta ritorna spesso “lo specchio”, sia per suggerire la moltitudine dell’essere quanto per rintracciarne la propria e l’altrui immagine nello stesso riflesso: ciò che tiene insieme, accomuna, rende simili appunto. lo specchio che hai fissato sul petto/ è il segnale di un patto profondo/ tu mi guardi mentre io ti guardo dentro/ e se ti guardo dentro mi vedo, 22.08.1981.

Quando il corpo sospende l’azione nella realtà è la lingua poetica a terminare il gesto : ritorno qui, e ora ti pronuncio/ ti raggiungo con la lingua/ della poesia!, 24.8.1981.

Se quest’io c’è (e non siamo più nella prima fase poetica del Porta del linguaggio degli eventi ), è un io che partecipa della natura e delle cose e con esse agisce o è agito, un io restituito attraverso immagini di un turgore ineffabile : Io sono come una vela piena ma/ questa notte al cadere improvviso del vento/ mi preparo a cadere tra le braccia immobili dell’alba, 27.8.1981.

L’erotismo s’accende dentro l’immagine di un’ostrica o le labbra di una cozza o nell’attesa fra lenzuola bianche: sventolano all’orizzonte della finestra/ profumano di ginepro/ verso l’alba aspetto/ qualcuno che le incendi, 19.9.1981. In Invasioni (28.2.1982 – 8.1.1983) : rialzi un attimo la testa/ un respiro profondo e subito/ di nuovo in apnea a succhiare/ buio e gemiti 14.12.1982.

Porta-Tutte_20poesie_20RID.jpgQuando poi le immagini della realtà si sovrappongono e si confondono come in un collage per Porta è perfino possibile “tenere la luna al guinzaglio” oppure osservare “il sole che diventa pesce” a Palermo. Tra le raccolte succitate senz’altro la più densa è quella intitolata Andate mie parole, 1983, perché se nelle prime (spesso brevissime epifanie) Porta ci conduce nel viaggio e poi ci lascia sospesi, in quest’ultima esso ci viaggia ancora più in fondo, più lontano. E perfino la difficoltà del parlare si manifesta d’un tratto, ma viene immediatamente stroncata da un gesto derisorio verso “chi rinuncia” insieme ad un sorriso.

Si tratta d’una poetica che pur essendo figlia della neoavanguardia italiana e del gruppo ’63, mantiene i caratteri peculiari di chi ha affinato la propria voce nella singolarità dell’io poetico e del fare poesia. Concludo con alcuni versi di Canzone in cui l’impasse del dire, vanta una bellezza fatale :

non riuscirò a dire mai/ la stagione che nasce, la perdita/ di peso […] è il volo/ mi costringe al silenzio/ma parlo/ foglie bucano la luce/ […] quanto mi è estraneo negare la gravità/ quanto lo desidero/ soffiarmi in un soffio/.

Di Flora BOTTA

26/06/2011

Invasioni, poesie, in Antonio PORTA, Tutte le poesie, (1956-1989), A cura di Niva Lorenzini, Garzanti editore, Milano, 2009.

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Flora Botta
Flora Botta è nata in Sardegna. Dopo aver conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Cagliari, si trasferisce a Parigi nel 2006. Prosegue poi la sua formazione linguistica e letteraria, specializzandosi in italianistica presso le Università Paris X, la Sorbonne-Nouvelle e la Sorbona. Nel novembre del 2017 ha pubblicato la raccolta poetica bilingue "La nuit est le mensonge", Edizioni Le Noeud des Miroirs. Durante il suo viaggio in America del sud, ha tenuto un blog, dal titolo "Tierra de Argento": https://voyage841.wordpress.com/. Le sue poesie e le sue prose sono apparse su riviste on line e cartacee quali: Le Capital des mots, Festival Permanent des Mots (FPM), Revue 17secondes, Versante Ripido, Poésie/Première, Revue Cabaret, tropiquenoir.com.