Gerico

Ricordandomi passeggiare, ostinato, fra le pietre scarne, quasi timide, di cui son fatte le rovine dell’antica Gerico, provo sempre un senso di vertigine: non tanto per le possibili tracce della florida città che gli Ebrei nella loro marcia verso la Terra Promessa avrebbero incontrato e distrutto, subito dopo aver passato il Giordano (Giosuè, 2-6), verosimilmente intorno alla metà del II millennio a. C.; quanto per quelle, anonime ma non meno gloriose, sepolte più in profondità nella terra, e che le precedono nel tempo di qualche migliaio d’anni.

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Gerico infatti, sul finire dell’Epipaleolitico, poco più di diecimila anni fa, è stata protagonista d’una delle più formidabili svolte nella storia dell’umanità, quella che più ha fatto si’ che siamo quel che siamo: ritrovarne la presenza, i contorni, significa fare appunto un viaggio vertiginoso là dove si incontrano l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.

Per le nostre vite individuali diecimila anni sono una porta verso l’immensità, ma rispetto al tempo dell’universo e del sistema solare sono come un battito di ciglia, neanche il tempo d’un respiro: e poca cosa, anche, sono rispetto alla durata globale della presenza dell’uomo su questa terra, tre milioni d’anni (almeno: … come fissare con certezza l’inizio dell’avventura umana?)

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Perché Gerico è solennemente alla frontiera di quella piccola immensità (migliaia d’anni, la “nostra” breve storia) e di quel respiro infinito (milioni d’anni, l’umanità tutta, nei suoi diversi tentativi e tappe –. Ed ecco che la vertigine del tempo, d’un qualche cosa di finito e infinito insieme, s’impossessa inevitabilmente di chi si ritrovi a passeggiare fra quelle pietre, di fronte a quelle sobrie rovine, impregnate della presenza di uomini e donne che in quei luoghi vissero, amarono, soffrirono e, alla fine, morirono.)

Ma come ?

Gli uomini, prima, vivevano in bande e, una volta raggiunta la soglia critica, al di là della quale le tensioni interne diventavano insopportabili, diciamo dieci quindici persone, si scindevano, per formare un altra banda: e questo per centinaia di migliaia, milioni d’anni.

Ed ecco che per la prima volta, a Gerico, tale “scissione” non si verifica. Come lo ha sottolineato giustamente Pierre Chaunu: “Esiste una performance più rivoluzionaria, o quantomeno più ricca d’avvenire, di quella che consiste a far vivere mille uomini insieme?” (Trois millions d’années, quatre-vingts milliards de destins, Paris, 1990, 102)

Qui, per capire meglio uno degli aspetti più intriganti di questo straordinario exploit (qui, per noi, in cerca delle chiavi dell’jesc dint), è necessario un sia pur brevissimo cenno al contesto.

Fra l’VIII e il VII millennio si effettua intorno al bacino del Mediterraneo, ben più rapidamente all’Est che all’Ovest, una trasformazione radicale del genere di vita delle
popolazioni, che passano dal regime dei “cacciatori-raccoglitori” a quello di “produttori”, che praticano l’agricoltura e l’allevamento.

È, secondo la brillante definizione di Gordon Childe, la “rivoluazione neolitica”, che comporta, fra altre cose, un’impressionante esplosione demografica, senza precedenti: il pianeta terra diventa, letteralmente, pieno d’umanità.

(E’ utile e vertiginoso, di nuovo, giocare un po’ con le cifre, nella fattispecie i complicati calcoli fatti dai demografi, per esempio Jean-Noël Biraben, Evolution du nombre des hommes, “Population”, 1979 – ritenendo questo: degli 80 miliardi e più d’uomini che avrebbero vissuto “dall’inizio” sulla terra, piu o meno 14 miliardi si sarebbero succeduti per diversi milioni d’anni, con crescita già esponenziale sin dal Paleolitico superiore: 10 miliardi a partire da – 40.000 ; i restanti 66 miliardi sarebbero nati e morti a partire dalla “rivoluzione neolitica”, in poche migliaia d’anni, anche qui con aumento esponenziale che diventa tanto più grande quanto più ci si avvicina ad oggi. Come dire del legame forte che esiste fra esplosione culturale e crescita demografica.)

Di fatto, in meno di duemila anni, la vita degli uomini sarebbe cambiata più in profondità che durante i tre milioni d’anni, almeno, che avevano preceduto questa svolta epocale della storia (in senso largo). Due passi ancora, infatti, ed ecco la scrittura, che inaugura ufficialmente la Storia (in senso stretto) : il Vicino Oriente, la Mezzaluna fertile, letteralmente si infiamma alle sue due estremità, con la nascita delle civiltà mesopotamica ed egiziana.

Ora, fra le tante, troppe cose che ci sarebbero ulteriormente da dire, vorrei esplicitarne una, importante per noi, qui (iesc dint...): se l’opinione tradizionale – e più o meno d’influenza marxista – degli specialisti (nonché la vulgata che spesso resiste nelle scuole), proprio seguendo le teorie di Gordon Childe, voleva che la sedentarizzazione fosse una conseguenza dell’agricoltura e dell’allevamento, le scoperte dell’archeologia vicino-orientale, sin dagli anni cinquanta, spingono in una direzione per così dire opposta, anche turbando una sorta di connessione causa effetto che il senso comune ci dettava come “logica”.

Queste scoperte, in breve, “hanno portato la prova definitiva che gli uomini avevano costruito dei villaggi per risiedervi abitualmente ben prima di modificare la loro strategia alimentare e diventare agricoltori e allevatori” (Gabriel Camps, Introduction à la préhistoire, Paris, 1982, 270 – consiglio con entusiasmo questo libro entusiasmante.)

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Vivere insieme, vivere in tanti, insomma, sarebbe un’esigenza sociale, culturale, e non economica. E questa esigenza, appunto, si sarebbe liberata e imposta per la prima volta a Gerico, diecimila anni fa.

(Gerico ovviamente è anche un simbolo: dietro la “svolta” restano i tanti e laboriosi tentativi, durante molte generazioni, di cui possediamo solo le briciole; davanti, e accanto, altre “svolte” che la sorprendente archeologia vicino-orientale – e non solo? – potrebbe scoprire…)

Ecco, riusciamo a “vedere”, guardandolo dalle nostre moderne agglomerazioni, oramai diventate un fatto acquisito, cosa ha significato per un’umanità abituata a gestire piccoli gruppi (dieci, quindici persone, si diceva) considerare ed attuare la coabitazione d’un migliaio di persone? La comunità, verrebbe da dire, deve aver trovato una soluzione alle contraddizioni che rischiano d’apparire, o appaiono quando un gruppo cresce (ne sanno qualcosa tutte le organizzazioni politiche e culturali, anche piccole…), creando nuovi rapporti sociali.

In questo senso possiamo immaginare, con Lévi-Strauss, l’entrata in gioco del “divieto d’incesto” e della “prescrizione dell’exogamia”, che ne è la “controparte positiva”, quindi la diversificazione delle strutture della parentela.

Concretamente, cioè basandosi sulle evidenze archeologiche, va sottolineata un’attenzione culturale peculiare – comunemente potremmo dire: religiosa – per la morte e i morti (da notare, fra altri motivi, accanto alle inumazioni del corpo intero, in posizione ripiegata, la preparazione e sepoltura separata dei crani, disposti secondo disegni particolari, spesso associati a statuette di animali o umane, come anche a specifiche costruzioni).

Poi, sempre basandosi sulle evidenze archeologiche, possiamo menzionare una forte coesione sociale dei viventi, ricavabile dalla disposizione urbanistica.

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(A dire il vero questo aspetto – cioè, più precisamente, la mancanza di strade, con una circolazione che doveva verosimilmente farsi passando di terrazza in terrazza, il che appunto presuppone una “forte coesione sociale” – è particolarmente evidente a Çatal Hüyük, nell’Anatolia meridionale, posteriore di circa un millennio, e con una popolazione calcolata fra i 5000 e i 7000 abitanti: insomma, rispetto al “villaggio” Gerico, una vera e propria città!)

Infine, economicamente, ricorderemo che a Gerico (anche in questo emblematicamente eguale nell’itinerario di sviluppo a tante altre agglomerazioni vicino-orientali, e oltre), finiranno per arrivare ed imporsi, nel giro di qualche secolo, l’agricoltura e l’allevamento – che nella prospettiva qui elaborata possono considerarsi anch’essi alla stregua di risposta, appunto, a quelle contraddizioni e tensioni che la coabitazione implica. (Piccola nota finale, dopo l’in-fine : fra le varie soluzioni della “rivoluzione neolitica” per fronteggiare la violenza umana andrebbe annoverata, paradossalmente, proprio … la guerra!, che almeno ha il vantaggio di compattare un gruppo al suo interno…)

Jesc dint, dunque, perché come è stato più volte ripetuto da diversi studiosi, siamo ancora nel modo di pensare ed agire dei Neolitici. Ed allora, per cercare di capire come funzioniamo noi, che abitiamo le città del presente e del futuro, cosa di meglio che guardare ai primi uomini che cercarono di vivere insieme?

Anche se poi forse arriveremo all’inquietante conclusione che la quantità, nel senso della crescita esponenziale di cui si è detto, implica una nuova frattura: e che le mostruose agglomerazioni contemporanee, che sforano i 20 milioni di abitanti!, non sono più comprensibili con le categorie umanistiche che ci hanno portato da Gerico sino a qui… Chissà del resto, molto più vicini eppure già lontani, cosa penserebbero oggi Marx o Freud, se abitassero al Cairo o a Città del Messico.

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(P.S. Ho omesso di menzionare la prima impressione avuta, passeggiando fra quelle rovine bruciate dal sole: ma l’acqua, così preziosa per la vita, e l’agricoltura, l’allevamento, non c’è? Ecco, l’acqua c’è e non c’è, è nascosta, per così dire alla fine, a valle… Gerico è come adagiata in seno ad un’oasi, nutrita da ricche sorgenti sotterranee, e il fiume Giordano è a due passi.

Di questo appunto, leggendo il bell’articolo di Lamberto Tassinari, sull’ipermoderna “Montréal, ville infinie”, mi sono ricordato, per ritrovarmi di nuovo a passeggiare fra le rovine di Gerico.

E sottolineo « rovine » perché, com’è evidente, mi sono volontariamente confinato nella Gerico del passato. È tuttavia difficile almeno non evocare, in conclusione, quanto oggi l’acqua, proprio in quella regione, sia una delle ragioni nascoste, e non la più infima, del conflitto)

Arabis

*Nel sottotitolo dell’articolo: parole in napoletano, passato prossimo terza persona plurale, da JESC DINT, Esci dentro, che intitola il tema del dossier….

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