I bambini e la città. Un bambino per far crescere la città


ESCI DENTRO : I BAMBINI E LA CITTA’.

Da qualche anno la popolazione delle città ha superato per numero
quella che abita ancora nei territori extraurbani. La condizione
urbana è paradossalmente diventata per la grande maggioranza delle
popolazioni lo status di vita “naturale”, il paesaggio di
riferimento dei propri gesti quotidiani. La città è però, e non da
oggi, fatta a misura e consumo solo di una parte della popolazione e
più precisamente di quella adulta, maschile e produttiva: non un
luogo per tutti, insomma, né, come spesso possiamo osservare, un
posto salubre ed accogliente dove far crescere in maniera equilibrata
ed autonoma i nostri figli.

266x500_guideciteenfants.jpgD’altra parte le ragioni d’essere della città, come luogo “alto »
della politica, della socialità e
dello scambio, vengono periodicamente messe in discussione da
viscerali pulsioni di ritorno alla naturalità, inteso come momento di
purificazione rispetto ai mali del vivere urbano.

Certo il vivere
cittadino ha mille contraddizioni e controindicazioni, specie per le
fasce più deboli. Il fatto che le istanze di ripensamento della
città prendano le mosse dall’esigenza di tutela degli utenti più a
rischio (bambini ed anziani), la dice lunga sulla scarsa coscienza
che la qualità dell’ambiente urbano sia in realtà una risorsa per
tutti.

L’attenzione verso un approccio più aperto alle esigenze dei
più piccoli nasce a partire dalla Convenzione dell’Onu sui diritti
dell’infanzia. Questa ha sancito il passaggio del bambino da oggetto
di tutela a cittadino al quale viene riconosciuto il diritto di
esprimere esigenze, potenzialità ed aspettative di cui tenere conto
nei processi decisionali delle comunità locali e della vita del
Paese.

Un altro documento fondamentale di riferimento è quello
predisposto dall’Unicef nel contesto di Habitat II, la Seconda
Conferenza sugli Insediamenti Umani tenutasi a Istanbul nel 1996.
Esso è un importante punto di partenza per molte legislazioni
nazionali sull’argomento, tra cui quella italiana. I pilastri
fondanti di questo nuovo approccio sono la partecipazione dei bambini
nelle scelte di politica urbana ed una visione “amichevole” e
sostenibile della città, luogo di vita capace di coniugare
integrazione e diversità, identità e senso di appartenenza.

La città dei bambini

A partire da questi presupposti nel 1997 viene varato in Italia il
Primo piano di azione per l’infanzia e l’adolescenza. Il programma
ha un respiro molto ampio, ponendosi obiettivi particolarmente
ambiziosi in molti campi dell’interazione tra bambini e società. Il
piano e la legislazione successiva danno corpo ad una serie di
iniziative importanti non tanto per gli esiti immediati, quanto per
il fatto che sanciscono l’inizio di un processo di modificazione del
sentire comune.

Sans_titre000.jpgUn esempio significativo è il progetto “La città
dei bambini”, nato a Fano addirittura nel 1991 ma che prenderà
grande impulso proprio a partire dalla fine degli anni ‘90.
L’intenzione è quella di lavorare per una nuova filosofia di
governo della città che assuma i bambini come parametri e come
garanti delle necessità di tutti i cittadini. Se una città riesce ad
essere migliore per i bambini, è il lapalissiano ma tutt’altro che
ovvio assunto, finirà per essere migliore per tutti.

Ma la città
esistente che accettiamo passivamente come l’unica possibile,
essendo a misura di un solo tipo di utenza, privilegia
necessariamente gli spostamenti con l’automobile, condizionando le
scelte strutturali e funzionali della città e creando gravi
difficoltà per la salute e la sicurezza di tutti i cittadini.

Basterebbe cambiare punti di vista e priorità per innescare
cambiamenti epocali. Una città dove è pericoloso camminare impone la
necessità di avere sempre un controllo diretto degli adulti sui
propri bambini, impedendo a questi ultimi di vivere esperienze
fondamentali come l’esplorazione, la scoperta, la sorpresa,
l’avventura.

Basta fare riferimento ai nostri ricordi di infanzia
per constatare come la mobilità dei bambini, fino a qualche decennio
fa molto simile a quella dei loro genitori, sia oggi quasi scomparsa
mentre quella degli adulti è enormemente aumentata.

A Fano e via via
in tante altre realtà che ne hanno seguito l’esempio, i progetti
563674006_dc8b660ef6.jpgmessi in campo hanno promosso in primo luogo l’autonomia dei
bambini, creando le possibilità di farli uscire di casa senza essere
accompagnati, per poter incontrare gli amici e giocare con loro negli
spazi pubblici della città: dal cortile al marciapiede, dalla piazza
al giardino. Si è promossa, in estrema sintesi, una “occupazione”
sociale degli spazi pubblici, unica vera alternativa al degrado
urbano, e si sono innescate vere e proprie piccole rivoluzioni di
senso nell’organizzazione della città. Come conseguenza immediata
si è potuto percepire dalle esperienze realizzate che la presenza di
bambini nelle strade, per andare a scuola o per cercare compagni di
gioco, ricrea negli adulti condizioni sociali di responsabilità e di
protezione e quindi condizioni di sicurezza per i bambini stessi.

Altro cardine dell’iniziativa è la partecipazione ai temi del
progetto. Porsi domande sull’organizzazione della città e sul suo
funzionamento significa creare una coscienza civica ed una corretta
percezione dello spazio pubblico urbano.

Nelle esperienze di
progettazione partecipata, un gruppo di bambini lavora con adulti per
risolvere, con un ruolo protagonista, un problema reale della città.
Questa esperienza è finalizzata a un preciso risultato operativo
definito nel mandato che il gruppo riceve dalla amministrazione. Si
tratta di progettare uno spazio, un percorso, un servizio.
L’attività termina con la presentazione del progetto e, nei casi
migliori, con la sua realizzazione. Il progettare con i bambini è
comunque un arricchimento poiché permette di tralasciare riti e
processi a volte stantii.

Una iniziativa significativa in tal senso
si è tenuta nei comuni del distretto socio sanitario di San Giorgio
di Piano, nell’hinterland bolognese.
mvdqmo1w.jpgIl tema era quello dello
sviluppo sostenibile dell’ambiente urbano ed è stato sviluppato con
la collaborazione della Facoltà di Architettura di Ferrara e
dell’Associazione Camina, attraverso l’organizzazione di
laboratori creativi nelle scuole, differenziati rispetto alle età dei
piccoli partecipanti. Il valore pedagogico della proposta stava anche
nella presenza degli architetti in funzione di educatori, capaci, per
la loro specifica preparazione, di spingere i bambini ad appropriarsi
degli spazi, a perdersi in essi per poi ritrovarsi, a misurarli con
le braccia e con le gambe, ad annusarli, a percepirli nella loro
pienezza anche ad occhi chiusi. Dalla conoscenza e comprensione dei
luoghi si passava alla proposta attraverso una rappresentazione
appropriata, problema di non banale risoluzione per il cittadino
comune.

La presenza della Facoltà di Architettura ha permesso calare
le proposte avanzate all’interno di una logica di fattibilità, in
modo da determinare una sorta di catalogo di pronto intervento per le
Amministrazioni coinvolte. Oltre al valore disciplinare è apparso
subito evidente ai diversi attori dell’esperienza come si sia
determinato lungo il processo un vero e proprio percorso di
cittadinanza, in cui i bambini prendono coscienza di far parte di una
comunità e dei suoi luoghi e spazi.

Processi mentali, a ben pensarci,
antichi come il mondo antico che un proverbio africano sintetizza
meglio di mille parole “Occorre un intero villaggio per far crescere
un bambino”. Commessi innumerevoli errori nella costruzione della
città contemporanea, oggi si potrebbe dire che occorre un bambino per
far crescere correttamente il villaggio.

Pierluigi Molteni

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*Pierluigi Molteni è architetto. Vive a Bologna. Scrive per la rivista di architettura Ottagono. Per saperne di più, potete consultare [il suo sito]

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