Al Gatto Nero di Burano, un racconto breve di Gabriele De Masi

Anni fa, nel 1977, arrivai, una domenica d’Agosto, oltre l’ora di pranzo, alla storica trattoria del Gatto Nero. A Burano, vi andavo anche d’inverno, per comprare fazzolettini merlettati che mi richiedevano al Sud. Lo ricordo, perché, a Burano, in piena laguna veneziana, figurarsi, si vendevano, per le calli, anche le caldarroste, calde, contro la nebbia e saporite di terra, in mezzo al mare, in pieno freddo.

Bene! Il Gatto Nero era stracolmo di clienti e non ci fu permesso d’entrare. Davanti alla porta, seduto per mezzo sulla sedia, con le spalle al muro e un gomito sulla spalliera, assisteva al tutto un gentile signore curioso per il mio parlare napoletano. Non diceva niente. Mi venne in mente di azzardare ad un cameriere cerbero: “Mi chiami il titolare. Siamo amici del padrone!” Silenzio del cameriere che scomparve, d’improvviso. Alla nuova insistenza della frequentazione mia, antica col proprietario, il signore della sedia: “Piacere di conoscerla. Non mi ricordo di lei, ma penso di averla conosciuta da qualche parte. Rinfreschiamoci le idee. Sono il titolare, che ella dice di ben conoscere. Spazio nel locale non ce n’è, ma la porto a mangiare nel giardino, di dietro, perché anch’io non ho ancora pranzato, così rinsaldiamo l’amicizia.”

Pranzammo ogni ben di Dio, rinsaldammo l’amicizia mai esista, chiacchierammo schietti, bicchierando con gioia alla semplicità della vita, incontro al mare che coronava la giornata.

Non ci sono più tornato. Vorrei farlo. Non so se troverò lo stesso signore. Lo ricordo, però, e questo è importante. Volete sapere se mi ha fatto pagare? Quanto poco valgono i soldi! Non costa di più questo racconto, vero, di una Domenica di tanti anni fa, al Gatto Nero, a Burano… E, non ve lo metto in conto!

P.S. Nella foga della scrittura, ho dimenticato la cosa più importante: ero con mio padre che sballottavo di qua e di là. Si giustifica, così, se a ora di pranzo, ho giocato di bugia. Perdonato?

Gabriele De Masi, dall’Irpinia

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1 COMMENTAIRE

  1. Tranquilli non dirò « questo racconto è un merletto », in forza dell’ambientazione veneziana, nella magia di Burano.
    I luoghi comuni non si addicono alla fantasia letteraria originale ed elegante di Gabriele De Masi.
    Un racconto, stavolta, che è un miracolo di sintesi e che ci propone un quadretto familiare (col papà nell’isola dei merletti, un papa’ magnifico educatore e splendido « militante » nelle arti figurative »…..)
    La filosofia napoletana della ricerca dell’espediente risolutivo si sposa col senso dell’humour di un arguto titolare di un ristorante affollato:due facce della stessa sorprendente Italia dei popoli…
    Raccontato con l’elegante leggerezza che non ci sorprende più in De Masi, l’episodio assume la godibilissima fisionomia della « velocità narrativa » dei « grandi » che hanno « frequentato » la novella come forma letteraria affatto marginale, da Marino Moretti a Pirandello e al D’Annunzio delle novelle della Pescara fino alla splendida « lezione » di Maupassant….
    Venezia, ancora una volta Venezia irripetibile « fondale » di un momento che valeva la pena raccontare.
    Con gli esiti rasserenanti e gratificanti di sempre , lontani anni luce dalle « inquietudini lagunari di Mann » ma no per questo meno pregevoli sul piano di una fisionomia letteraria che in De Masi si muove con agevole, disinvolta padronanza tra le grandi « forme letterarie ».
    Antonio Polidoro

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