Da Como e Castel Baradello, un racconto intitolato ‘Cigolio’.

Proseguono su Altritaliani i “racconti psicogeografici” di Ennio Cirnigliaro, archeologo e storico genovese. Questo racconto che dà i brividi alla compagna del narratore e a noi lettori, è una vicenda realmente accaduta a Como nel medioevo. È una storia un po’ particolare che gli ha ispirato il Castel Baradello, uno dei monumenti storici più importanti dell’area del Lago di Como. Costruito dall’Imperatore Federico Barbarossa su precedenti fortificazioni è situato in una posizione strategica e spettacolare, e da secoli domina dall’alto la città, il lago e la pianura padana. Là morì, e vedremo come, il condottiere Napoleone Torriani, detto anche Napo, il più potente esponente della casata guelfa dei Della Torre.

Castel Baradello, Como

Cigolio

“Il 21gennaio del 1277, a Desio, Napoleone Torriani, il signore di Milano nonché Vicario imperiale su nomina di Rodolfo D’Asburgo, che, da amico del popolo, si era fatto despota, subì la disfatta che gli costò il potere.

Giunti da Como, città in cui si erano rifugiati, i suoi oppositori, capeggiati da Ottone Visconti, futuro vescovo di Milano, si scontrano con le armate di Napoleone, un esercito raccogliticcio di mercenari senza motivazione che non fosse quella del guadagno. Napoleone, un tempo popolare in città, dopo anni di durissima repressione del dissenso e di appropriazione indebita di fondi pubblici che dovevano contribuire a migliorare la città, trasformati in denaro reinvestito in affari di famiglia, non aveva trovato più nessuno disposto a difenderlo nel nome di Milano. Scomparso, di fatto, il glorioso esercito comunale, a lui non restava che servirsi dei peggiori sgherri ( per usare un termine caro al Manzoni). Vuoi per la sottovalutazione della potenza e delle motivazioni dell’avversario, vuoi per la scarsa già citata motivazione dei suoi, alla fine di quel, giorno per lui maledetto, Napoleone Torriani era un uomo finito.
A nulla valse la corsa in città di suo nipote, Gastone Torriani (da Desio a Milano, lungo l’antica via romana, una delle tre principali arterie che collegavano Milano con Como, erano dieci miglia, circa quindici chilometri, come dice il toponimo stesso, derivato dal latino Decimum) il quale si trovò circondato solo dall’ostilità dei milanesi, decisi una volta per tutti a sbarazzarsi dell’ingombrante famiglia.
Napoleone, fatto prigioniero, venne condotto a Como – sembra di vedere il corteo dei vincitori con il prigioniero mentre attraversano e risalgono la brughiera briantea, attraversando Mariano, Cantù, Capiago, per giungere sino a Como, città, allora come ora, preannunciata dalla grande torre del castello di Monte Baradello, vero e proprio propugnacolo della città lariana a guardia del lago da un lato e della pianura dall’altro, fortificazione risalente a molti secoli prima, forse all’epoca inquieta compresa fra l’età gota e la successiva guerra fra Goti e Bizantini ( ma questa è un’ altra storia lariana che racconterò, forse, un’altra volta).”

«Il castello, quel castello?», gli disse lei, mentre, sul fare della sera, muovevano dal centro verso San Rocco, lungo il rettifilo medievale che, oltrepassate le mura, collegava il centro storico con gli itinerari per Cantù e per Varese.

All’imbrunire la torre, già suggestiva di giorno, si faceva ancora più magica grazie all’illuminazione che la rendeva davvero un faro sospeso sulla “Spina verde”, come è chiamata la fascia collinare, territorio in cui si sviluppò l’agglomerato preromano alle origini di Como, ad ovest dell’attuale centro urbano fondato otto secoli dopo da Giulio Cesare.

Piazza del Duomo di Como, sotto la neve

Era la fine di gennaio e, nonostante i cambiamenti climatici ormai irreversibili, i quali avevano fatto quasi dimenticare gli inverni, in quei giorni il freddo si faceva sentire sino a scenderle lungo il petto, attraversando la bella sciarpa Belle Époque che lei portava con eleganza fuori dal tempo. Fu forse per questo che un brivido la colse quando lui proseguì la sua narrazione, a seguito della sua domanda (la storia sembrava averla totalmente catturata) :
«E cosa ne fu di Napoleone Torriani una volta giunto qui?» .

“Dopo aver risalito il sentiero che conduce alla torre, Napoleone scoprì con sgomento la sua ultima dimora. Sino all’ultimo era convinto di potersela cavare a buon mercato: in fin dei conti, era pur sempre il Vicario imperiale, aveva amici potenti in tutto il mondo che conta, dai signori di Baux (sì, quelli della canzone di Branduardi), al Papa sino all’imperatore stesso, e comunque, dove non arrivavano le amicizie, poteva sempre arrivare col denaro e con la corruzione, mezzi che lui, milanese rampante famoso per aver speso fiumi di denaro nell’edilizia, sapeva padroneggiare come nessuno. Più si avvicinava, tuttavia, e più il suo orgoglio e le sue certezze si sgretolarono.
Giunti infine alla base della torre, quando ormai il buio e il freddo avevano preso il sopravvento sulla lucidità, le fiaccole dei soldati che lo avevano scortato, tremolanti al soffio del vento gelido, proiettarono in terra l’ombra in movimento di qualcosa che sentiva cigolare sulla sua testa, come fosse un’altalena.

D’istinto Napo alzò lo sguardo e con orrore scorse la sagoma di una gigantesca gabbia sospesa con una enorme catena che pendeva dai merli della torre. Lui, che certo non era stato mai uno stinco di santo e che non aveva mai esitato un istante quando si era trattato di fare scorrere il sangue per Milano, lui, l’uomo sino ad un attimo prima quasi certo di un accomodamento persino coi suoi peggiori nemici, si sentì crollare e, forse per la prima volta, si sentì un essere umano e non un dio. ‘Nemmeno il più feroce dei Saraceni o il più pericoloso animale selvatico meriterebbe un supplizio simile‘ pensò, scosso da un tremore che lo fece accasciare a terra come un sacco vuoto. Napoleone Torriani, la cui famiglia doveva il nome alla potenza evocata dal simbolo della torre, imprigionato in una gabbia sospesa dalla cima di una torre, simbolico e tragicomico contrappasso a suggello di una vita”.

“In quella gabbia, sospeso nelle fredde notti di quell’inverno 1277, morì Napoleone Torriani”, concluse lui mentre, nel frattempo, erano giunti di fronte al lercio sottopasso che collega gli opposti lati della Via Napoleona (altra ironia della storia, in questo caso, ma che racconta altre storie).

Di fronte, il fruttivendolo indiano stava già chiudendo la serranda del suo negozio e, per un istante, mentre il cigolio della saracinesca mossa dall’uomo sembrava farsi sempre più forte, lei si accorse che il resto dei rumori, quel misto fra il traffico perennemente impazzito e chiacchiere multilingue dell’umanità dolente di quella periferia tipico della zona, era scomparso. Il cigolio della saracinesca, come a rallentatore, sempre più prolungato, sempre più forte, sempre più presente nelle sue orecchie. Un cigolio ritmato e sordo, disperato nella solitudine della notte invernale che faceva cortocircuitare lo spazio tempo intorno a lei. Anche l’odore di orina che impregna il sottopasso portando al cervello storie di disagio e degrado scomparve cedendo di fronte ad un penetrante odore di umido invernale, di bosco, di sentiero e foglie. Era lì ma non era lì. Anche lui, con la sua voce narrante e transumanante sembrava scomparso, come se si fosse sciolto nel terribile racconto che l’aveva portata sin lì. Alzò lo sguardo verso il Baradello il quale non pareva più illuminato dai fari elettrici ma soltanto dalla luna, una luna invernale, tagliente, senza tempo. Dal profilo verticale della torre si staccava in controluce la quadrata sagoma di una gabbia sospesa sul vuoto e nel tempo.

Ennio Cirnigliaro

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Ennio Cirnigliaro
Ennio Cirnigliaro è nato a Genova nel 1974. Archeologo per professione e vocazione, militante politico di lunga data, indaga il presente con quella particolare chiave di lettura “stratigrafica” propria di chi ha l’abitudine di inserire i fenomeni singoli in un più ampio contesto. Ha pubblicato su riviste varie articoli specialistici nel suo ambito, oltre che testi politici e sociali aventi come denominatore comune l’antifascismo, l’antisessismo, l’anticapitalismo, l’antirazzismo e l’ecologia sociale. Ha pubblicato per Prospero editore “Medioevo digitale. La storia contemporanea attraverso i social network”, 2021.

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