“Lettere da Parigi”. La Francia osservata dall’Ambasciatore Caracciolo tra il 2021 e il 2022

Le giuste messe a fuoco delle lenti e dunque delle osservazioni di Giovanni Caracciolo di Vietri sulla Francia erano già state da lui dimostrate al Convegno di Italiques di dicembre scorso sugli ex Ambasciatori d’Italia a Parigi, ove aveva tra l’altro ricordato che in quanto tale, dal 2009 al 2013, era necessario saper distanziare anziché assimilare a destra Sarkozy e Berlusconi o Monti come capi dei rispettivi Governi, o ancora più a destra i Le Pen e Fini essendo diversi gli estremismi sociali, e a sinistra Hollande e i gruppi parlamentari da quel lato avendo ognuno di questi le proprie caratteristiche.

Giovanni Caracciolo (secondo a destra) al Convegno Italiques – dicembre 2022 – Ambasciata d’Italia a Parigi

Queste messe a fuoco non sono state neanche appannate dai sentimenti personali di Caracciolo per la Francia, dopo essere stato anche Console Generale a Parigi dal 1994 al 1996 e dopo le altre circostanze, anche di famiglia, che hanno rinsaldato questi sentimenti.

Anzi, l’indipendenza dei suoi giudizi è stata rafforzata dall’uso dello pseudonimo dell’“Abate Galiani” (segretario dell’Ambasciata napoletana a Parigi dal 1759 al 1769) nelle “Lettere da Parigi” da lui scritte dal marzo 2021 all’ottobre 2022 sulla rivista “Il commento politico” che sono state ora raccolte in un volume nella collana “Scritti” della Fondazione Ugo La Malfa. Scritte settimanalmente, le epistole dell’Abate Galiani percorrono questi anni densi di avvenimenti, osservati attraverso lo svolgimento della vita politico-culturale francese e del suo rapporto con l’Italia.

Queste missive conservano anche il pregio dello stile concentrato sull’essenziale che Caracciolo aveva rinsaldato all’inizio della sua carriera ad Addis Abeba ai tempi di Menghistu, quando la situazione lì non consentiva neanche ai diplomatici di usare differentemente la penna.

Ecco allora che questa dal marzo 2021 da Parigi descrive la Francia colpita (e confinata) dal covid fino ai suoi diversi orgogli, compresi quelli mancati dell’Institut Pasteur nelle ricerche in medicina o quelli dei premi cinematografici “César” limitati al “virtuale” (perciò disapprovati dalla Ministra della Cultura Roselyne Bachelot); ed ecco allora che la “grandeur”, rimasta per il bicentenario della morte di Napoleone e per il cinquantenario di quella di de Gaulle, ha per reazione anche i revisionismi per l’uno e per l’altro, con i quali sono ricordati più i colonialismi di quanto hanno fatto dopo. Ne consegue, a sua volta, il revisionismo di Macron sulla guerra d’Algeria, oppure la parità di rappresentanza delle minoranze razziali nelle riunioni politiche proposta da Audrey Pulvar, eletta vicesindaca di Parigi al seguito della socialista Anne Hidalgo.

Sostengono in quel periodo Macron: il covid per il vantaggio di mantenerlo “super partes”; la Camera eletta poco dopo di lui quasi come un suo specchio; e il “domaine réservé”, per quella parte che fa prevalere la visibilità del Presidente su quella degli altri in politica estera, nella difesa e, più recentemente, l’ambiente e l’energia.

Ma, cominciando di fatto la campagna per le elezioni presidenziali un anno prima, già dall’aprile 2021 Caracciolo descrive quanto bolle sia a destra che a sinistra del “rottamatore” (divenuto, così, Capo dello Stato nel 2017).

A destra, tra i Républicains, la scelta della candidatura inizia con lo sguardo più verso i voti dell’estrema destra che del centro: mentre tra i candidati interni l’ex Primo Ministro Fillon è travolto dagli scandali nepotistici, alle elezioni regionali di giugno la gara con il Rassemblement National a questi voti e dunque la conferma come rispettivi Presidenti è vinta da: Xavier Bertrand negli Hauts-de-France contro l’ex repubblicano Sébastien Chénu; Renaud Muselier nella Provence-Alpes-Côte d’Azur contro Thierry Mariani; Valérie Pécresse nell’Île-de-France contro Jordan Bardella (già verso la presidenza del partito come successore di Marine Le Pen).

Tra i Républicains, oltre ai dissensi rappresentati dai rispettivi movimenti (es.: Bertrand con “Divers Droite” e Pécresse con “Libres”), gli inseguimenti a destra sono confermati ad esempio: dall’ex Ministra di Sarkozy Nadine Morano e dal maggiorente della Regione Provence-Alpes-Côte d’Azur Éric Ciotti quando si dichiarano a favore del Rassemblement National al 2° turno se necessario; dall’ex Commissario all’UE Michel Barnier quando critica le limitazioni di sovranità che questa impone; e dal Vicepresidente del partito Guillaume Peltier quando propone di reintrodurre la Cour de sûreté de l’État (dei tempi degli attentati durante la guerra d’Algeria) e di sopprimere la giurisdizione di Appello per gli attentati terroristici.

All’estrema destra, mentre Le Pen non conquista alcuna Regione, si affaccia come concorrente Éric Zemmour con “Reconquête”. Il canale Cnews, del gruppo Canal+ di Vivendi controllata dall’industriale Bolloré, supera negli ascolti i canali BFMTV, LCI, France Info di France Télévisions controllata dallo Stato, e Vivendi tenta di acquisire il controllo di Europe1 a danno del Gruppo Lagardère piuttosto favorevole a Macron. Neanche un’ipotizzata mediazione di Sarkozy tra Macron e Bolloré riesce a contenere questi e i continui attacchi a Macron di Cnews, dove proprio Zemmour inizia la gara: non solo, ad esempio, nei dibattiti (ammesso che siano tali) con Raphael Enthoven o Bernard Henri-Levy, ma sempre di più con le sue teorie sul razzismo, l’antisemitismo, ecc. poiché anch’egli s’illude di conquistare i territori che Le Pen non ha avuto alle Regionali. Lo affiancano la nipote della leader, Marion Maréchal Le Pen e Philippe de Villiers (ex Presidente del Consiglio Regionale della Vendée, ex deputato, ex uomo di Chirac, passato sempre più a destra non solo nell’antieuropeismo), che con i loro nomi lo fanno così apparire alle rispettive generazioni con una parvenza migliore.

Al Capodanno del 2022 la bandiera dell’UE anziché quella francese sotto l’Arco di Trionfo è tanto giustificata dal Segretario di Stato agli Affari Europei Clément Beaune per l’inizio del semestre francese di Presidenza dell’UE quanto è criticata da tutta la destra, compresa Pécresse ormai candidata repubblicana che così comincia ad attaccare più Macron dell’estrema destra; con il risultato d’arrivare 5a, dopo Macron, Le Pen, Mélenchon e Zemmour al 1° turno delle presidenziali nell’aprile 2022, d’essersi rovinata finanziariamente e, in contrasto con l’atteggiamento brillante come Ministra dell’Insegnamento Superiore e del Bilancio di Sarkozy, d’essere diventata quasi silenziosa come Presidente dell’Île-de-France.

A sinistra, nei continui declini del PCF ove rimane a solo la candidatura di bandiera del suo Segretario Fabien Roussel, e del PSF già previsto nel 2017 da Hollande quando non si era ricandidato, si presentano nell’ambito di questo l’ex Ministra della Giustizia di Hollande Christiane Taubira che poi si ritira, e Anne Hidalgo, arrivata terz’ultima su 12 candidati, con gli utopismi come sindaca (rieletta) di Parigi, iniziati dopo il successo della scelta della capitale per le Olimpiadi del 2024, e manifestatasi nell’inseguimento degli ecologisti con le piste ciclabili, il verde nel périphérique (raccordo anulare ormai in città che è già intasato), la chiusura del Lungo Senna alle auto e altre simili iniziative, mentre la gestione finanziaria del Comune è fallimentare fino al punto da avere aumentato improvvisamente di circa il 60% la tassa fondiaria.

E, unendo ne “La France insoumise” una sinistra “sgangherata, racimolata fra i populisti plebiscitari e protestatari”, “una frangia di controtuttisti”, “tinteggiati di verde (antinuclearisti di lotta e non di governo) o di giallo”: “gilets jaunes redivivi cui si assommano gli anti-vax”, “ben più che di rosso”, si presenta l’ex socialista Jean-Luc Mélenchon che, opponendo la sua Sesta Repubblica (da sostituire alla Quinta nel malcontento generale) al carovita e alle altre difficoltà nelle famiglie richiamati da Le Pen, arriva dopo Macron e lei 3° ai risultati del 1° turno.

Macron, intanto, sia prima che dopo l’ultima data per presentarsi (successiva anche a quelle del salone dell’Agricoltura dove tutti i leaders vanno a mungere voti) mantiene la propria visibilità non solo con la politica estera (crisi della presenza francese – anche di fronte alla Russia e “Wagner”- nel Mali che precede quella nel Niger; guerra in Ucraina; vertici a Versailles e Bruxelles; reazioni all’inosservanza degli accordi di riammissione degli emigrati in Algeria, Marocco e Tunisia e alla nuova alleanza USA-GB-Australia nel Pacifico senza la Francia), ma anche con il suo grand débat con i cittadini sull’avvenire della Francia o il suo plan de relance, e con le commemorazioni al Panthéon del 40° anniversario dell’abolizione della pena di morte (autunno 2021, con l’ex Ministro della Giustizia Robert Badinter che ne aveva avuto il merito) e di Joséphine Baker (inverno 2021, con la traslazione della salma).

Napolitano e Caracciolo

Minore rimane tuttavia la visibilità della sua politica con l’Italia, perché sia l’arresto (maggio 2021) di sette dei dieci latitanti (altri due costituitisi), insieme alla fase giudiziaria propedeutica all’esame alla Corte d’Appello di Parigi delle richieste di estradizione italiane che richiamano le oscillazioni e le ambiguità conseguenti alla “dottrina Mitterrand” sui sospetti italiani, sia il suo incontro con Draghi a Marsiglia (estate 2021), sia il trattato del Quirinale (novembre 2021) non sono trattati dai massmedia francesi quanto da quelli italiani (tantomeno da quei telegiornali francesi che nel primo quarto d’ora danno la precedenza alle interviste alle massaie al mercato o agli automobilisti quando aumentano i prezzi, o ai bambini quando aprono le scuole, o ad altre banalità dal temporale al bel sole prima di dedicare i successivi minuti agli avvenimenti internazionali, anche quando comprendono centinaia di morti per guerre o disastri naturali NDR). Allo stesso modo in cui nell’estate 2022 Macron, Draghi e Scholz in treno verso Kiev hanno poi meno spazio alla TV francese rispetto a quella italiana, e comunque meno delle inopportune, precipitate e poi riviste dichiarazioni nell’autunno 2022 della Prima Ministra Élisabeth Borne, della Ministra degli Esteri (ex Ambasciatrice a Roma) Catherine Colonna e di Ursula von der Leyen sui risultati delle elezioni in Italia.

Le considerazioni di Caracciolo dopo la rielezione di Macron nell’aprile 2022 valgono quanto una riflessione sul sistema costituzionale della Quinta Repubblica poiché nel giugno successivo i risultati delle legislative (al 2° turno, che ha come il 1° un’astensione superiore al 52%), con la “NUPES” (“Nouvelle Union populaire écologique et sociale”) di Mélenchon  come coalizione al 2° posto (32%), dopo “Ensemble” (macronisti+bayrouisti+altri di centro tra cui ex Républicains: 39%) e prima del Rassemblement National (17%) e dei Républicains (7%), costringono i deputati di Macron a continui compromessi (“all’italiana”) con gli altri. Sembra quasi che la nomina dopo le presidenziali di Élisabeth Borne a Capo del Governo li prevedessero, per la pacatezza e la pragmaticità della persona (ex Ministra, formatasi all’“École polytechnique”).

Pragmaticità fino all’uso o abuso del “49.3”, ossia del comma dell’articolo della Costituzione che permette al Governo di far passare i provvedimenti alla Camera salvo una mozione di censura lì presentata nelle 24 ore successive che lo faccia poi cadere.

Il quale fa allora parte di quelle imperfezioni del sistema parlamentare a favore di quello presidenziale, originate nella Costituzione stessa, che è servito successivamente a Macron per rendere inutili anche le pesanti manifestazioni e gli scioperi sull’allungamento dell’età pensionabile. Ma già il Primo Ministro Michel Rocard (1988-91) se n’era servito spesso, a riprova di come la Costituzione è stata finora comoda a tutti i Governi, anche quando in Parlamento si è specchiata la maggioranza opposta a quella presidenziale, per cui l’equilibrio dei poteri è stato caratterizzato dai limiti reciproci.

Lodovico Luciolli

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