Può accadere che, leggendo un libro, si possano trovare assonanze o incursioni in questo o quel film che riposa nella memoria e che magari un brano, una sequenza e persino una musica lasci riaffiorare. Da tempo leggiamo di Michele Libutti racconti brevi e di recente anche poesie. Vige nella sua maniera tenue e nitida il vissuto di un racconto che fa della quotidianità il pane essenziale del nutrimento gioioso, quantunque melanconico, dove anche l’idea della fine appare come un gaio sollievo o la giusta continuità. E’ come surrogare il tempo che scorre involontario, giudice implacabile che imbatte la storia come un auto contro il vento. Il libro di Michele Libutti, edito da Nuova Prhomos nel 2019 (diciassettesima operazione editoriale) si apre con un racconto toccante, intimista; è quello che dà il titolo al libro: La badante d’estate. E’ la terza età da filo conduttore, nella quale (dicevo) anche l’idea della fine appare come giocoso sollievo. Se però l’autore affondasse un po’ più nella capacità di eros (senile e non solo), questo racconto sarebbe un piccolo capolavoro, agito fra la dolcezza dei sentimenti e la irascibilità che si oppone ad una fine incombente.
Occorre rivedere la scena dei due anziani che si amavano da ragazzi del film La notte di San Lorenzo dei Fratelli Taviani (del 1982). Da Libutti ci si aspetta sempre che la cosiddetta “asticella” potesse alzarsi (finalmente) e godere di una più ariosa e fantasiosa armonia dei sensi. Invece l’autore tiene sempre tesa l’espressione “proporzione” che equivale a dire nella giusta misura, valore risolutivo sia in ambito estetico che etico e persino medico. Già, la sua quarantennale professione (medico a Rionero in V., con laurea in lettere classiche) che lo ha accompagnato anche e soprattutto nelle vicende umane che fanno della malattia probabilmente l’esplosione di una umanità (fisiologica) tenuta a freno. E così il racconto “il sorriso del lupo” (il terzo di questo libro) ci conduce a scoprire una malattia rara, il Les ossia Lupus eritematoso sistemico, narrato con tenerezza, la stessa che si prova in un film (altrettanto raro) come La storia del cammello che piange (diretto da Luigi Falorni e Byambasuren Davaa, 2003): affetto e compassione nel senso del cum-patior.
Un’ultima considerazione va al racconto (il sesto) “Vita e opere di Wolfgang Strimmler”, qui Libutti ci invita alla riscoperta del corpo in maniera filosofale e bizzarra, che rimanda vagamente allo straordinario film Il curioso caso di Benjamin Button diretto nel 2008 da David Fincher (da un racconto di Scott Fitzgerald). E’ avvincente ed emana serenità. Condividiamo quasi in toto quanto scrive in prefazione Deana Summa (presente anche in precedenti testi di Libutti) quando scrive che si tratta della sua più matura raccolta e per la più consapevole familiarità con gli strumenti diegetici (…) pur nella asciuttezza essenziale delle trame. Michele Libutti sa regalare comunicando e mettendo a nudo parti nascoste, luoghi e persone, ambiti interiori e stanze di vita quotidiana; creando o ricordando, non importa… Diventa una operazione intuitiva del mondo circostante, talvolta ignorato. Una lettura che sa essere carezzevole o conturbante, dipende dal nostro approccio con le cose della vita.
Armando Lostaglio