Viaggio ‘spaesato’ da Trieste a Zagabria

Sergej Roić, scrittore svizzero italofono, di origini croate/ jugoslave, racconta La frontiera spaesata: Un viaggio alle porte dei Balcani, un libro di Giuseppe A. Samonà (Exorma, 2020).

Ecco, c’è un uomo, è colui che narra e si rivolge a te, lettore o lettrice, ma che non appare quasi mai nelle pagine de La frontiera spaesata, libro documentato, sapiente, intellettualmente curioso, e innanzitutto libro di viaggio originale quant’altri mai.

C’è anche una città da cui tutto si diparte, un po’ come succede ne La vie: mode d’emploi di Georges Perec: in Perec vi è il palazzo parigino da cui sgorgano e in cui si attorcigliano le storie. In Samonà la città fulcro, il magnete, è Trieste, che apre il libro: “la città del non e della nostalgia, o della lontananza”. Il magnete Trieste ha esercitato una forte attrazione sull’autore – anche, com’è raccontato nella postfazione, per ragioni biografiche e culturali – al punto che, mentre lui girava il mondo per scelta di vita e disposizione di carattere, quella città così diversamente italiana, “marginale” come la sua Sicilia natia, ha finito con l’incarnare ai suoi occhi l’Italia stessa.

Insomma, se Trieste è il limes Italiae – ci si arriva in treno accolti, improvvisamente, da una costa marittima senza limiti, bordi, puro orizzonte – e  il bastione italiano che da secoli osserva, si relaziona e si contrappone all’Oriente prossimo che conosciamo – non conosciamo, quello balcanico, è anche il luogo dove inizia l’avventura di conoscenza di un mondo talmente vicino alla storia d’Italia e delle sue genti da risultarne quasi del tutto estraneo. Paradossi della storia… E da un paradosso, quello della contiguità, della comunanza dispersa, si diparte il percorso di Giuseppe Samonà in questo libro che, letteralmente, varca la frontiera.

Ma partiamo da Trieste, città magica e piena zeppa di magie (letterarie : Svevo-Saba-Magris-Joyce ; psicanalitiche-libertarie : Basaglia e i suoi, con l’impareggiabile storia di Marco Cavallo – il cavallo autentico e la sua rappresentazione simbolica – salvato dai “matti” oramai liberati ; architettoniche-paesaggistiche). La citazione di seguito, che racconta piazza dell’Unità, calza a pennello: « Ed ecco, via, la nebbia è rotolata via, il cielo è d’un blu terso, ti ritrovi nel mezzo di un fastoso salotto, tre pareti di pietra, palazzi, dove li hai già visti ? Forse… ma certo, a Stephansplatz – eppure, ti volti : la quarta parete è infinita, è di mare. Non a Vienna allora ti senti, ma molto più a sud, alla Praça do Comércio, dove è il Tago a lambire le pietre, o molto più a nord a Ploščad’ Dekabristov, ora a lambire le pietre è la Neva » : così la descrive Giuseppe Samonà, facendone un caposaldo pressoché necessario – un magnete! –, il quarto lato di un immaginario quadrilatero Vienna-San Pietroburgo-Lisbona.

Oltre che caposaldo e angolo, lato, punto di forza di un’europeità culturale che va ben al di là delle frontiere nazionali e delle culture nazionali (seppur esistono), Trieste è anche una porta d’entrata, una vedetta sull’oltre, sull’altro (da sé), eppure così vicino, così impregnato anche di triestinità e non meno (anzi, di più, forse) di venezianità, che con la sua celebre « Ostpolitik » d’antan ha contrassegnato un’intera epoca.

L’Oriente, la vicinissima (e condivisa) Istria è lì da vedere e, letteralmente, da camminare, dato che il dedicato e curioso camminatore e autore, Samonà per l’appunto, dapprima sceglie un pertugio automobilistico (« autobusistico ») per accedervi: – « ed eccoci di nuovo nel misterioso cunicolo – cioè eccoti. Apri gli occhi e cerchi una traccia dell’autobus che ti dovrebbe condurre a Koper Capodistria – smarrito : perché tutto ti sembra quel posto, fuorché la stazione di bus che ti è stata promessa. E a un tratto, come mimetizzata in mezzo a scritte pubblicitarie di diverso tipo, una locandina suggerisce che proprio da quell’inclassificabile luogo è possibile partire non solo per Koper, ma anche – leggi quei nomi per la prima volta, sbigottito – per Ljubljana, Rijeka, Split, Dubrovnik, Bucarest, Sofia, Sarajevo e ancora più lontano, ancora più nello sprofondo dei Balcani, senza parlare ovviamente di Vienna e Budapest. …Koper, e non Capodistria, Rijeka e non Fiume, etc., proprio così è scritto, e non per scelta ideologica, ma geografica : semplicemente, dentro quella stazione sei già dall’altra parte… » – e poi si incammina, un po’ sui mezzi a ruote e un po’ con le sue gambe, per quella costa istriana (Capodistria, Pirano, Pola) dove per secoli e a tutt’oggi esiste una lingua istriana condivisa da slavi e italiani ed esiste una letteratura (Fulvio Tomizza, Nelida Milani…) adagiata e ben salda sopra una frontiera spaesata.

Eh già, con l’autore del libro, ripercorrendone i passi (per un caso della vita, un solo mese dopo aver letto « La frontiera spaesata », mi sono ritrovato in quel luogo-pertugio-cunicolo : dovevo raggiungere Koper-Capodistria a tutti i costi…), sei già dall’altra parte. Ma cosa c’è dall’altra parte ? Oh, c’è ancora tanta Trieste, e tanta Venezia (e Roma, se si retrocede nel tempo, e Grecia…), e nonostante gli autentici istriani non ne abbiano fatto la principale ragione del loro essere, c’è anche la terribile differenza etnica, così cara ai capipopolo in cerca di guerre e massacri. Una parte della popolazione istriana ha dovuto abbandonare quella terra per i fatti ben noti legati all’ultima fra le grandi guerre – fatti toccati e rielaborati anche da Samonà in questo libro, ma il camminatore-viaggiatore, forte della scoperta, sulla piazza di Pirano, della condivisione della storia, indossa occhiali intellettuali che guardano e vedono oltre (oltre la frontiera, oltre le separazioni, nell’alveo di racconti, narrazioni, simbologie che dipingono quella regione come il luogo, a volte difficile, certo, in cui due o persino più mondi si incontrano).

I Balcani, regione che ha sempre prodotto più storia di quella che poi sia riuscita a digerire (la frase è attribuita a Winston Churchill), sono propriamente ed emblematicamente anche luoghi di contrasti, di migrazioni, di divisioni e ricongiungimenti linguistici – Leonardo da Vinci ci ha lasciato un’impressione sulla Bosnia dei suoi tempi: “qui tutto è divisione” – e tuttavia una delle qualità del libro è proprio quella di individuare il tratto che unisce in tutto ciò che divide – una trace o différance di derridiana memoria che raggruppa in insiemi di senso i significati che, presi da soli, risultano disgiunti o persino avversi l’uno all’altro – e ciò che unisce in Samonà, lo “Spaese”, è un neologismo in grado di accorpare le linee di divisione per farne ciò che sono in realtà: estensioni geografiche e del pensiero umano che si protraggono oltre e sopra le fratture etniche, politiche, culturali e linguistiche perché la verità (ancora Derrida) “è sempre assunta nella definizione verbale” e questa definizione, nello Spaese di cui ci occupiamo, permette alle parole e ai concetti di migrare e interconnettersi (ohibò, direbbe un veneziano spingendosi fino alla mia isola natale di Hvar-Lesina udendo un sonoro e del tutto locale oštrega! da parte di un suo qualche anziano abitante).

L’autore celato, di cui si intuiscono i passi e si assorbono i ragionamenti e le acquisizioni, si spinge fino a Pola facendo tappa nelle cittadine della costa, una delle cui perle è proprio Pirano, un coacervo di arte e cultura sedimentata nelle piazze e nei palazzi in cui si riconosce una nota dominante veneziana. Poi sceglie di misurarsi con la barocca Lubiana e la sua storia-architettura mitteleuropea e infine approda a Zagabria, l’antica Zagreb-Agram. Qui, fra gli altri (Crnjanski, Tišma, Ugrešić, Drakulić… scrittori e scrittrici serbi e croati a mo’ di compagni di viaggio), incontra e riconosce il grande narratore Miroslav Krleža, un Premio Nobel mancato di poco (all’alba degli anni Sessanta quel Nobel andò al conterraneo Andrić) – « ho sentito per la prima volta parlare di Krleža, scrive Samonà, …in Cile, dove esiste una vivace comunità croata, con un’emigrazione iniziata sin dal XIX secolo. Il suo nome mi è tornato in mente a Zagreb, e mi sono messo sulle sue tracce, innamorandomene. Da lì, attraverso molte letture di lui e su di lui, da Predrag Matvejević a Sinan Gudžević, passando per Danilo Kiš – ma guarda tu, nessuno di questi scrittori è veramente croato… – per non nominare che i primi, ho risalito come per caso i fili della letteratura croata e balcanica, ritrovandomici impigliato dentro » –, qui, a Zagabria, si addentra nelle vie e nella logica di un’altra Trieste, stavolta continentale e altrettanto asburgica quanto, d’altro canto, slava.

E con l’incontro-acquisizione-riscoperta di Krleža si chiarisce – oh, tutto ciò si poteva intuire già molto prima, sin dalle prime pagine – la strategia del viaggio di Giuseppe Samonà a cavallo e oltre la frontiera spaesata (spossessata, superata, abolita, fatta nostra, risolta, rivendicata, magnetizzata – è un magnete che ci invita ad andare oltre – resa finalmente condivisa alla stregua di una sorprendente nuova e inedita – e appunto spaesata, spaesata ! – patria).

Opatija (Abbazia) in Istria. Foto Michèle Gesbert

La strategia narrativa e il valore autentico di questo libro sorprendente e colto, di atmosfere, descrittivo e che deve molto a un occhio indagatore provetto (l’occhio di un Bruce Chatwin che, innanzitutto, esplora i libri), li ritroviamo, al di là dell’ultima pagina, nell’elenco degli autori che hanno accompagnato Samonà nel suo viaggio. Della lista di scrittori letti dall’autore che trovate nell’appendice della « Frontiera spaesata » cito, un po’ come nel caso di Georges Perec alle prese con i vari locali del suo grande palazzo – a metà romanzo Perec inserisce una trappola per il lettore : l’elenco delle storie lette o, piuttosto, già dimenticate ? –, solo gli scrittori che ho letto anch’io e che, in un esercizio di memoria, ho riportato alla mente accompagnando il magnifico Giuseppe nella scoperta-riscoperta di una frontiera da superare e dell’anima che, una volta che l’avrete letta, la frontiera, troverete dall’altra parte:
Ivo Andrić, Enzo Bettiza, Miloš Crnjanski, Slavenka Drakulić, Paul Garde, Miljenko Jergović, Franz Kafka, Danilo Kiš, Miroslav Krleža, Tommaso Landolfi, Marisa Madieri, Claudio Magris, Michele Mari, Predrag Matvejević, Nelida Milani, Boris Pahor, Jože Pirjevec, Giorgio Pressburger, Marcel Proust, Rainer Maria Rilke, Paolo Rumiz, Umberto Saba, Abdullah Sidran, Scipio Slataper, Stendhal, Italo Svevo, Jean-Yves Tadié, Aleksandar Tišma, Fulvio Tomizza, Dubravka Ugrešić, Mate Zorić, Stefan Zweig.

 Di Sergej Roić

IL LIBRO:
La frontiera spaesata
Un viaggio alle porte dei Balcani
Giuseppe A. Samonà
Ēxòrma Edizioni
Anno: 2020
Pagine: 312 – Prezzo medio 15€
SCHEDA DEL LIBRO SUL SITO DELL’EDITORE
Il volume si può ordinare non solo in Italia, ma anche a Parigi a La Libreria o La librairie italienne La Tour de Babel

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Sergej Roić
Sergej Roić è uno scrittore svizzero di origini croate/jugoslave. È giornalista culturale presso il "Corriere del Ticino" di Lugano e traduttore. I suoi libri, le due raccolte di racconti "Innumerevoli uomini" e "Il tempo grande" e i romanzi "Achille nella terra di nessuno", "Omaggio a Paul Klee", "Vorrei che tu fossi qui - Wish you were here" e "Solaris - parte seconda" sono stati pubblicati in Svizzera e in Italia. Ha inoltre curato tre libri-intervista con Aleksandr Zinov'ev, Predrag Matvejevic e Piero Bassetti. È attivo nel PEN Club della Svizzera italiana e retoromancia ed è un grande appassionato di tennistavolo.

2 Commentaires

  1. Carissimo Roic, mi fa piacere leggerti su Altritaliani con questa bella recensione a un libro concentrati sui luoghi, i problemi, gli affanni, la belleza delle nostre terre. – Fulvio Senardi

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