Per il governo italiano siamo al conto alla rovescia.

E sì, anche se è ancora possibile che la crisi si fermi e che passi definitivamente la buriana, occorre dire che per il governo è iniziato il countdown, siamo alla conta, alle verifiche. Alla base di tutto c’è lo scontro sugli obbiettivi da raggiungere e proporre alla Commissione europea per ottenere il Recovery fund e poi il punto Mes (il Meccanismo economico di stabilità), un fondo salva Stati, concepito proprio per risistemare le strutture sanitarie messe a dura prova da questa infinita epidemia di Covid 19.

A farsi carico di porre la questione al governo è stata Italia Viva di Renzi, anche se malumori verso le incertezze e i ritardi programmatici del governo Conte, vi sono stati anche nel PD e finanche in alcuni pentastellati.

Da sinistra a destra: Speranza, Zingaretti, Di Maio e Conte

La realtà è che questo conflitto rende evidente una difficoltà della nostra politica odierna, ossia di guardare non solo al presente, come è giusto, nella drammatica attualità italiana, ancora immersa nella crisi epidemica, ma anche al futuro. Il paese proviene da lunghi anni di stagnazione e poi recessione economica, in una condizione di stallo da cui non riesce e non ha voluto uscire, perdendo anche occasioni di riammodernamento delle proprie istituzioni e dello stesso sistema politico. L’ultimo tentativo di innovazione, bocciato dal corpo elettorale, ci fu con il referendum costituzionale del 4 dicembre del 2016, sembra un secolo fa.

Il punto è che l’enorme trasfusione di denari prevista dall’Europa per tanti paesi componenti e, per quanto ci riguarda, per l’Italia, con la possibilità di aggiungere ulteriori finanziamenti senza condizioni, proprio con il Mes, costituisce forse l’ultimo finanziamento europeo di cui ci si potrà avvantaggiare. Dopo, per una trentina d’anni, sarà difficile immaginare ulteriori esborsi europei.

È evidente che per il paese l’occasione è ghiotta per un rilancio in grande stile dell’economia, un’occasione imperdibile e che va programmata per tempo così da rendere alla Commissione un piano forte e credibile che permetta di giustificare l’acquisizione di cifre superiori ai duecento miliardi di euro promessi.

Il temporeggiatore Conte viceversa, ha fatto passare giorni e giorni perdendosi in dubbi, frenato sul Mes dal diktat di M5S, con progetti non chiari e soprattutto palesando una scarsezza di visione per il futuro dell’Italia. Eppure i temi non mancano, specie considerando che il protrarsi e il succedersi dei lockdown hanno acuito la già grave crisi economica del paese e l’evidenza mostra da una parte lo sprofondare del Meridione, dove la disoccupazione, specie giovanile, ha raggiunto livelli mai visti nella nostra Repubblica, dall’altra parte anche al nord si soffre con la consolidata rete di piccole e medie imprese che è ben oltre l’affanno, con numerose attività chiuse e al cui grido di dolore il governo ha risposto con sussidi troppo deboli e sostanzialmente inefficaci. Per capire il dramma del paese occorrerebbe girare per le strade di Torino, come di Napoli, attraversare la Calabria e andare a dare un’occhiata al Veneto profondo o all’Abruzzo, la Lucania dove sempre più ci si rassegna a lasciare il paese in cerca di lavoro e futuro.

Purtroppo, molti politici questi giri non li fanno ed evidentemente, l’unica preoccupazione appare sempre e solo fare fronte al presente e non darla vinta all’opposizione, e quindi si continua in un tedioso balletto fatto di tatticismi, miranti unicamente a tirare a campare, almeno fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato, dando già per scontato l’esito delle prossime elezioni con la vittoria di Salvini e Meloni, ovvero di una destra estrema, antieuropeista e fondamentalmente nazionalista e xenofoba.

Contro tutto questo, a torto o a ragione, il partito di Renzi si oppone chiedendo decisioni e scelte chiare, ricevendo il consueto scherno dai suoi detrattori più irriducibili, ma anche l’attenzione di alcune componenti del PD che annusano effettivamente il rischio, che una cattiva gestione dei fondi europei possa portare al fallimento definitivo del paese trovando altresì assurdo, solo per compiacere il populismo dei Cinquestelle, rinunciare ai fondi del Mes che darebbero energia e risorse al comparto sanitario che è sempre più carente fino a diventare emblema delle diseguaglianze italiane, basti ricordarsi di quanto avvenuto in Calabria o in Sicilia senza voler infierire sulla fine del mito del sistema sanitario lombardo.

Renzi, che è stato il fautore del Conte bis, cadendo anche lui nel tatticismo politico, per impedire di aprire le porte all’allora dilagante Salvini, annusa che oggi sarebbe possibile, senza andare ad elezioni anticipate, per le quali Italia Viva non è ancora pronta, avere un governo con minore trazione populista (i 5 Stelle appaiono in una difficoltà nettissima e non solo per i sondaggi) e magari con un piano forte di rilancio con cinque obbiettivi fondamentali:

1) Rilanciare il sistema sanitario con le cospicue risorse del Mes, pensando alla medicina del territorio, a nuovi e più moderni ospedali e con investimenti per la ricerca, in un epoca che potrebbe essere segnata, come ammette la comunità scientifica, da nuovi e ulteriori episodi pandemici;
2) rilancio delle grandi opere, un piano per lo sviluppo ecologico del paese che non è in contraddizione con l’ ultimazione del TAV, un piano per rimodernare le infrastrutture specie nel sud Italia (rispunta finanche il ponte sullo stretto), che appare ancora oggi tagliato fuori dal commercio, per i ritardi nelle sue reti ferrate e viarie;
3) dare con queste iniziative un nuovo impulso all’occupazione che sta vivendo un dei suoi periodi più neri dalla nascita della Repubblica;
4) nell’informatica passare al 5G e rilanciare le strade informatiche che sono la nuova frontiera dell’economia e del commercio e su cui il paese ancora dimostra ritardi e tentennamenti;
5) infine, rigenerare le scuole, le università, la ricerca e la cultura, uscite con le ossa rotte dopo un confinamento ormai di quasi un anno, nella consapevolezza che l’istruzione e la cultura sono senz’altro beni primari del paese.

I protagonisti del Recovery Fund

Il tutto è stato proposto in un incontro con lo stesso Conte solo che dopo non è accaduto niente se non solo le solite chiacchiere e i tatticismi con annessi inutili giri di valzer, quasi che l’unico problema italiano fosse stabilire in che giorni si è gialli, arancioni o rossi.
Alle insofferenze di Italia Viva e del suo leader il governo colpevolmente non ha dato risposte sui fatti, limitandosi a mediatiche uscite per dire che Renzi voleva il rimpasto di governo e poltrone per i suoi ministri (si è parlato di un ministero per Maria Elena Boschi). Ad onor del vero, lo stesso Renzi ha più volte chiarito che loro sono pronti a rinunciare alla poltrone che hanno, più che richiederle, purché si abbia un programma concreto di utilizzo del Mes e del Recovery Fund, chiaro e condiviso.

Il punto è tutto li. L’istanza di Italia Viva non è demagogica o illusoria, l’Italia ha una lunga storia di sprechi e vista l’occasione, più unica che rara, di un rilancio è assolutamente vietato sbagliare.

Certamente Draghi sarebbe stato in un contesto simile la guida ideale di questa transizione dalla crisi al “miracolo”, ma il punto è che anche con Conte occorre che il governo abbia almeno le idee chiare. Sul Mes l’avvocato nicchia per non contraddire M5S e il peggio è che Il PD si limita a mormorare senza neanche capire che proprio tatticamente (è il loro solo assillo) oggi, quello che ha fatto Renzi avrebbe dovuto farlo Zingaretti con ben altra forza e credito. M5S non può permettersi elezioni anticipate (per loro sarebbe la débâcle definitiva) e quindi il PD avrebbe avuto tutte le carte in regola per alzare la voce (come in sede europea aveva fatto Gentiloni) e farsi ascoltare, invece si resta in silenzio, destando li si l’impressione che si preferisca stare legati alle poltrone piuttosto che pensare al paese.

Ed il punto è proprio questo da più di dieci anni l’Italia è in emergenza. Prima la crisi economica del 2008, poi la crisi di immigrazione e la paura di consegnare il paese al populismo di Salvini, poi l’epidemia. E di emergenze in emergenze il paese ha dimenticato di fare politica, di costruire posti di lavoro, di pensare ai giovani soprattutto, quasi che l’Italia non avesse diritto ad un futuro. Così si è arrivati ai vituperati (dal PD che oggi sembra aver dimenticato) quota 100 e reddito di cittadinanza, esempi di investimenti improduttivi che non hanno favorito i giovani e neanche l’occupazione.

Il miracolo economico

Le stesse emergenze sono diventate un alibi per limitarsi al minimo, puntando solo a politiche di contenimento dei danni senza dare slancio e sviluppo.
Il morale degli italiani, nel dopoguerra era quello di un paese sconfitto e distrutto, eppure si ebbe la forza di rialzare la testa e rimboccarsi le maniche e già pochi anni dopo, parti quella stagione meravigliosa che è ricordata, per il suo deflagrare con il suono di una bomba: il Boom economico.

Oggi la situazione è ben meno critica eppure si tira a campare (è vero che Andreotti diceva che è meglio tirare a campare, che tirare le cuoia), nella colpevole inconsapevolezza che l’Europa, grazie a Macron e alla Merkel, sta offrendo a tanti, tra cui noi, la possibilità per gettare le premesse di un nuovo miracolo economico.

È vero che la classe politica del dopoguerra era di ben altra pasta che l’attuale. Oggi di politici come quelli che costruirono l’Italia repubblicana ce ne sono davvero pochi.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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