TV italiana. Il dibattito nel dibattito del dibattito sulla guerra in Ucraina.

Ho smesso di guardare la televisione parecchio tempo fa. Quando vivevo in Italia la guardavo eccome, e senza alcun discernimento. In modo compulsivo. Soprattutto dibattiti politici, notiziari e partite di pallone.

Quando sono venuto a Parigi, ne ho approfittato per disintossicarmi da quel veleno. Ho però conservato, verso la TV, una piccola attitudine voyeuristica, grazie a Internet, dove si può andare a spiare dal buco della serratura, e cercare quel che si vuole. E così, spinto da una malsana curiosità, ho guardato su YouTube certi spezzoni dei dibattiti televisivi italiani sulla guerra in Ucraina.

Bianca Berlinguer – Carta bianca Rai 3

Ho avuto l’impressione di vedere un battaglione di gente (sempre gli stessi) priva di vera conoscenza del tema (all’eccezione, direi, di Caracciolo, direttore di Limes), quasi disinteressata all’argomento, ma dotata di formidabile ipertrofia dell’ego e abilità a promuoversi. Una “télé réalité” in cui si confrontano due bande rivali: apocalittici (“Putin ha fatto male però l’Occidente, i nazisti, la NATO, la narrazione mediatica”) e integrati (“c’è un aggressore e un aggredito”). Ho visto uno scambio tra il condutture Corrado Formigli (professione ex giovane: integrato) e l’ex conduttore Michele Santoro (che giovane non lo è stato mai: apocalittico). Sì parla di tutto: di Bush, del Kossovo (ah giovinezza!), è un festival dell’ « io io io» : io l’avevo detto, io sono sempre stato chiaro. Tranne che del tema specifico, et pour cause: i due non ne sanno molto. Santoro ripete “però l’Occidente, e io l’ho sempre detto”, Formigli “eh però gli ucraini”. Il punto nella loro discussione non sembra essere la guerra, ma la “narrazione” (parola divenuta orrendo luogo comune di sapore aziendalistico) che ne fa la televisione. Non la guerra della Russia all’Ucraina, ma quella tra le due bande. Come in un altro spezzone che vede Mieli da una parte, per gli integrati, e ancora Santoro dall’altra per gli apocalittici. In una scena degna di un varietà surrealista, Santoro grida, e allora la guerra in Iraq? E Mieli che risponde: ma guarda che io ero contrario. Sembra Macario: “imputato alzatevi”. “Non posso”. “Perché?”. “Sono già in piedi”. E la guerra in Ucraina dove è finita? Piccola cosa, evidentemente, di fronte al vero problema: avrà ragione Mieli o Santoro?

Michele Santoro ed Enrico Formigli La 7

Altrove, capito dalle parti di Lili Gruber (donna di sinistra che nell’aspetto artificialmente giovanile testimonia l’egemonia culturale della destra: si nasce passionarie e si invecchia Santanché). Lì c’è la lugubre presenza di Marco Travaglio. Pallido e magro, indispettito dall’esistenza del mondo attorno a lui. Come si addice a un inquisitore mancato. Travaglio parla di una crisi internazionale di eccezionale gravità usando le stesse parole che riserva alle quisquilie di politica italiana: il conflitto in Ucraina per lui sembra essere un satellite che ruota attorno a Conte, Draghi e gli altri personaggi del suo universo di rancore.

Ho intravisto persino Alessandro Di Battista, professione giovane arrabbiato, e Dio solo sa perché chiamato a esprimersi su un tema di cui non sembra sapere nulla. Indignato per contratto, sempre sul punto di alzare la voce, l’espressione di chi si trattiene a stento dall’alzarsi e menar le mani. Fisicamente, è la caricatura dell’antiamericano mezzo fascio-che-non-si-nasconde (eppure, per paradosso della sorte, l’espressione può ricordare proprio quella dell’Americano a Roma di Alberto Sordi. Un antiamericano a Roma insomma).

Difficile dire qualcosa di Massimo Gramellini e Beppe Severgnini. Non dico dirne bene (esageruma nen, diceva Bobbio) ma proprio dirne qualcosa. Da zelanti ultra-integrati al sistema (qualunque sistema), combattono una guerra personale con i loro rivali apocalittici in base a un presunto “buon senso” gravido di noia, conformismo, benpensantismo (che non si dice, lo so).  Di fronte a Gramellini e Severgnini, più che riflettere sulla guerra, ci si interroga sul senso dell’esperienza umana: questo quel mondo di cui cotanto ragionammo assieme?

Il professor Orsini.

Poi c’è il famoso professor Orsini. Mi sembra uno che è andato a cercare l’oro nel fiume e miracolosamente (vedi che la guerra fa anche cose buone: dal suo punto di vista di intende) ha trovato il filone principale. E ora lo sfrutta. Gioca il ruolo dell’esperto che dice le “cose scomode”, e corregge gli allievi, è sempre pronto al vittimismo: “non mi fanno parlare”. Infatti, a parte quelle ore e ore in televisione, a parte una presenza continua e incessante su ogni mezzo di comunicazione, lo si vede da sé che il poveretto non può dire la sua. Si è creato un personaggio («zitti parla il professore») e lo sfrutta. Pronto a giocare la carta del martire se per caso smettono di invitarlo («e poi la dittatura sarebbe quella di Putin?»). Vabbè.

Grande assente dal dibattito, la guerra. Le scemenze che circolano sulle reti sociali sono (anche) il risultato di questo tourbillon televisivo. In cui le opinioni hanno soverchiato i fatti. È la degenerazione senile del Gramellismo: il giornalismo non racconta più la realtà, non ci prova nemmeno, non se ne interessa, ma commenta i programmi televisivi del giorno prima, e battibecca tra sé e sé, in un compiacimento masturbatorio senza fine.

Salva una vita (la tua): spegni la televisione.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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