Tra LUISS e Science Po: Dialoghi italo-francesi sulle prospettive industriali in Europa

I dialoghi periodici italo-francesi della LUISS e di Sciences Po organizzati da “Ambrosetti” non solo sono nello spirito del Trattato del Quirinale del 26 novembre, ma servono a misurare collaborativamente quelle differenze di opinioni che proprio per il loro confronto mantengono reciprocamente proficui i rapporti tra i due Paesi: sia negli ambiti accademici (come hanno ancora una volta ricordato in quelli del 7 luglio alla “Edison” a Milano i rispettivi esponenti: Paola Severino Vice Presidente della LUISS e Marc Lazar che insegna in ambedue le Università), sia negli ambiti economici (com’è testimoniato ogni volta dalla sponsorizzazione o partecipazione dei maggiori esponenti: da Vincenzo Boccia da quando era Presidente della Confindustria – il cui successore Carlo Bonomi è parimenti interessato ai “dialoghi”- e ora come Presidente della LUISS, a Nicola Monti Amministratore Delegato della “Edison” e Andrea Munari Presidente di BNL BNP Paribas, intervenuti agli ultimi incontri).

Il confronto del 7 luglio ha riguardato le valutazioni in Italia e Francia delle prospettive industriali in Europa, esposte con la chiarezza di Ferdinando Pagnoncelli, Presidente di IPSOS Italia, i cui dati statistici sono tanto essenziali quanto non appesantiscono le considerazioni che se ne traggono.

Dalle mille persone intervistate in maggio in ognuno dei due Paesi (con una parte di laureati e di professionalmente occupati maggiore in Francia: rispettivamente: 34% a fronte del 17% e 66% a fronte del 56%) emergono le seguenti principali differenze: secondo gli italiani rispetto ai francesi  è maggiore il contributo al PIL di agricoltura, allevamento e pesca (35% di opinioni a fronte del 30%), e minore quello di commercio e servizi (30% a fronte del 37%), mentre è pressoché simile quello dell’industria (35% a fronte del 33%); tuttavia queste differenze di stime si riducono tra i laureati, i quali sia in Italia che in Francia ritengono maggiore la parte di commercio e servizi (rispettivamente: 43% e 47% di opinioni) e, rimanendo pressoché simile quella dell’industria (35% e 33%), minore la parte di agricoltura, allevamento e pesca (22% e 21%); secondo gli italiani rispetto ai francesi, inoltre, nella tipologia di imprese sono più numerose quelle piccole e medie con 10-249 addetti (47% a fronte del 40% di opinioni) e quelle micro con meno di 10 addetti (40% a fronte del 35%), e meno numerose quelle grandi con oltre 250 addetti (13% a fronte del 25%); queste differenze di stime aumentano tra i laureati sia in Italia che in Francia, poiché sono da loro valutate come più numerose le imprese piccole e medie (rispettivamente: 51% e 44% di opinioni) e, rimanendo pressoché simile la parte di quelle micro (41% e 36%), sono da loro valutate come meno numerose quelle grandi (rispettivamente: 8% e 20%).

Le diverse risposte in Italia e Francia, tra l’altro, sui settori con i maggiori fatturati confermano che sono stati scelti per l’indagine i campioni di popolazione più generici, su cui si vedono anche gli effetti delle propagande sui temi attuali. Ad esempio: sulla transizione energetica: il 14% degli italiani a fronte del 19% dei francesi ritiene che il proprio Stato interviene meglio degli altri Paesi (e rispettivamente il 37% a fronte del 28% ritiene peggio), il ché può essere forse conseguente alle esposizioni e soluzioni decise da maggior tempo in Francia; alle quali conseguono anche le diverse opinioni sulla dipendenza energetica dei rispettivi Paesi dall’estero: riconosciuta maggiore di quella di altri Stati dal 51% degli italiani e dal 23% dei francesi (e riconosciuta minore rispettivamente dal 10% e dal 25%) in conseguenza della guerra in Ucraina; e alle quali conseguono pure le diverse opinioni sulla sicurezza delle centrali nucleari: ritenuta sufficiente dal 44% degli italiani e dal 53% dei francesi, mentre quella dell’energia nucleare non è ritenuta tale dal 35% degli italiani e dal 28% dei francesi.

Agricoltura biologica

Più ottimisti appaiono gli italiani (61%) rispetto ai francesi (53%) sulla ripresa dell’industria manifatturiera dopo la pandemia e, di riflesso, più sfavorevoli allo spostamento di sue aziende all’estero (81% e 74%). Più critici, invece, appaiono i loro giudizi sulle aperture dei rispettivi mercati del lavoro alle donne, poiché di loro li ritengono più aperti rispetto ad altri Paesi il 12% a fronte del 32%, e le stesse considerazioni valgono per gli immigrati (25% a fronte del 35%), i disabili (14% a fronte del 27%) e gli LGBT (13% a fronte del 27%). Più critici sono inoltre gli italiani (53%) rispetto ai francesi (42%) sullo stato della formazione per le aziende.

Nei rapporti bilaterali, gli italiani si sentono più collaborativi dei francesi nei settori delle tecnologie energetiche (rispettivamente: 22% e 18% di opinioni) e della ricerca (21% e 14%), e meno collaborativi in altri settori come la moda, l’agroalimentare o la cultura (27% e 34%). A loro (30%) appaiono più determinanti che ai francesi (13%) i tentativi di questi d’acquisire i loro settori strategici.

Riguardo ai rapporti bilaterali, infine, il trattato del Quirinale appare più conosciuto in Italia che in Francia (41% e 23% di opinioni), e le conseguenti collaborazioni sono auspicate dagli italiani rispetto ai francesi di più nel settore energetico (28% a fronte del 20% di opinioni), di meno nei flussi migratori (20% a fronte del 27%) e nelle politiche ambientali (20% a fronte del 23%).

Tutte queste sensazioni, pur essendo assai spesso (come ha precisato Pagnoncelli) lontane dalla realtà economica, non possono tuttavia non essere considerate come altri incentivi nello sviluppo di questa sia ai livelli nazionali che a quelli bilaterali ed europei. Ad esempio: ai ritardi in Italia nelle politiche di transizione energetica si è già cominciato a rimediare con quei piani industriali a lungo termine descritti da Monti per le aziende del suo settore, con i quali è posta fine alla sfiducia dei decenni scorsi sulla tipologia delle nuove centrali con i loro requisiti di sicurezza, e per i quali l’accelerazione è ora imposta anche dalla maggiore presa di coscienza della necessità delle alternative almeno parziali alla dipendenza dalle fonti energetiche russe ed estere; e ciò contemporaneamente alle riduzioni delle residue contrarietà all’eolico e al fotovoltaico, e sempre insieme alla riduzione degli utilizzi delle materie tuttora inquinanti; e ciò, infine, con gli ulteriori incentivi tra cui quelli fiscali da parte delle politiche industriali nazionali e dell’UE; ai ritardi nella maggiore inclusione delle donne nel mondo del lavoro rimane necessario rimediare con una più incisiva politica della famiglia, che comprenda le maggiori infrastrutture (asili, scuole, ecc.) necessarie a questo fine, e inclusa nei PNRR; così, secondo Munari, si contrastano almeno in parte anche i cali di natalità, ossia l’invecchiamento, mentre la formazione dev’essere caratterizzata dalle risorse maggiori per i giovani all’ingresso del lavoro (in proposito è stato anche ricordato il contributo di BNL BNP Paribas alla cattedra comune della LUISS e di Sciences Po dal prossimo anno academico).

Tanto nelle sensazioni di maggiore importanza quanto in quelle più immediate rimane allora necessario ridurre (come ha osservato Severino) quegli errori di percezione che continuano a distinguersi sia in Italia che in Francia: ad esempio quelli secondo cui l’industria italiana sarebbe meno competitiva di quella tedesca, o quelli secondo cui alcune entità di capitali sarebbero disponibili presso le banche anziché sui mercati internazionali (errori menzionati da Munari); oppure quello in Francia secondo cui il principale ambito di collaborazione a seguito del trattato del Quirinale sarebbe la gestione dei flussi migratori, dovuto sia ai pregiudizi che (come ha osservato Lazar) alla scarsa informazione di questo trattato data in questo Paese.

Come, allora, il “mulino bianco” fa credere al 50% dei 1000 intervistati italiani che l’agricoltura è il principale settore economico per fatturato, e come la sensazione di discriminazione di donne e immigrati nel lavoro in Francia non è sempre quella delle stime (secondo le osservazioni di Lazar), così mancano altre certezze su alcune traiettorie economiche nell’immediato futuro: prevarranno di più quelle dell’UE o rispettivamente quelle di Montecitorio e del Palais Bourbon con i conflitti interni e le loro conseguenze in aggiunta o reazione a quelle (inflazione, crisi di approvvigionamenti, ecc.) del conflitto in Ucraina?

Lodovico Luciolli 



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Lodovico Luciolli
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