L’ipocrisia dietro i morti nel Mediterraneo.

La querelle sugli immigrati e sulla svolta del nostro governo e lo scontro con l’Europa sulle politiche migratorie sono la cartina di tornasole di tutte le ipocrisie e le contraddizioni della globalizzazione e degli errori che negli anni hanno portato lo stesso progetto europeo ad un passo dalla fine.

Occorre riavvolgere il nastro su questi nostri anni per riuscire a capire come un fenomeno che è figlio della drammatica evoluzione dei tempi e che richiederebbe politiche di ben altro respiro e che tenessero conto di come il mondo, l’Europa e la stessa Italia abbiano bisogno oggi più che mai di lungimiranza e di raziocinio.
Occorre una premessa, che mi sembra essenziale. C’è una prima ipocrisia di fondo, che ha inficiato e fuorviato la stessa visione, coltivata anche da una certa retorica europeista, su cosa sia l’Europa e a cosa aspiri.

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Il gruppo di Visegràd

Il famoso Manifesto di Ventotene, scritto in complesse circostanze dai prigionieri Spinelli e Rossi e che è considerato come la base dei principi fondanti l’Europa unita, in realtà è andato perduto e quello che si conosce sono differenti versioni relativamente coerenti ma che a volte presentano delle contraddittorietà. Da queste, si evince che i due celebri antifascisti non pensavano ad una Europa dei popoli, come enfaticamente da destra e sinistra si prospetta. Ed in effetti, i trattati che negli anni, dal dopo-guerra ad oggi, sono stati la struttura di costruzione di quel progetto, non sono stati frutto di consultazioni popolari e nemmeno di mediazioni di partiti, ma il risultato di scelte di governi nazionali che avevano legittimamente assunto, innanzi ai propri paesi, le loro responsabilità.
E del resto come hanno ricordato, tra gli altri, nei loro libri Monti (De la démocratie en Europe, scritto con Sylvie Goulard) e lo stesso Napolitano ( Europa, politica e passione, ed. Feltrinelli), il progetto europeo parti in sordina e senza particolari entusiasmi, specie nei partiti rappresentativi delle classi più deboli, si pensi al PCI in Italia che, almeno in una sua fase iniziale, fu fortemente critico verso il “sogno” di Spinelli e Rossi.

La ragione di questo va cercata nella considerazione, oggi demodé, che i popoli non governano ma vanno governati, e del resto pare che sia anche nei desiderata degli stessi popoli. La costruzione quindi degli Stati Uniti d’Europa è un progetto che passa sulle teste delle persone ma nella convinzione, avanguardista e tutta politica, di operare per il bene dei propri cittadini. Probabilmente, le comuni persone avrebbero già in Illo tempore guardato con qualche diffidenza ad una condivisione di diritti e doveri con popoli di altri paesi. Cosa puntualmente accaduta non appena alcuni governi, tra cui quello francese, sottoposero, diversamente dall’Italia, il progetto di Costituzione europea a referendum consultivo popolare. Già allora, era il maggio, giugno del 2005, alcuni paesi tra cui la Francia e l’Olanda, bocciarono la ratifica di quel trattato del 2004 che avrebbe messo su solide basi l’Unione europea e nel nome del pericolo “dell’idraulico polacco che rubava il lavoro a quello marsigliese”, si chiuse la porta ad un’Europa che fosse dei cittadini.

Da li è stato un continuo successo prima degli euroscettici e poi dei veri e propri antieuropeisti, con la conseguenza che sempre più un progetto che sarebbe essenziale per governare meglio la complessità della globalizzazione è stato immiserito al susseguirsi di interessi particolari e nazionali, perdendo ogni sua forza propulsiva ed ogni sua carica di entusiasmo ed innovazione. L’idea di una libera circolazione di persone e di merci su tutto il territorio europeo, l’Erasmus che ha costituito e costituisce un’esperienza fantastiche per tanti giovani per crescere e migliorare, sono stati offuscati da una politica che si è resa sempre più miope. Sono evidenti i molti ed ulteriori errori commessi, dall’estensione dei membri, anche a paesi non ancora pronti ad un tale progetto, agli eccessi ideologici, ma questa è storia ormai comune su cui è inutile tornare.

E’ certo, che dall’irrazionale euforia pro-globalizzazione si è passati ad un altrettanto irrazionale paura della stessa, invocando forme di protezionismo e sovranismo che avviliscono l’economia di ciascun paese, oltre ad avere effetti nocivi sotto tutti i profili incluso quello del confronto culturale sempre essenziale per l’evoluzione della civiltà.

Le ipocrisie non contribuiscono ad elevare le prospettive europee e nemmeno a dare lustro al nostro paese. Si sente dire che l’immigrazione è stata causata: dalle guerre promosse da Sarkozy contro la Libia, vero; dalla destabilizzazione del Medioriente, dopo l’infelice stagione delle primavere arabe, vero. Ma andrebbe aggiunta che l’Africa è al collasso anche per la più dura carestia che si ricordi a memoria umana, certamente figlia anche di una difficile situazione climatica, su cui occorrerebbe aprire un ulteriore dibattito, ma non è questa la sede. Andrebbe ricordato che il trattato di Dublino, che ci costringe a prendere gli immigrati, fu voluto da Berlusconi e dall’allora ministro degli interni Maroni della Lega. Sono molte le cause dell’impasse attuale, e le responsabilità, logica vorrebbe, andrebbero condivise fra tutti i protagonisti di questo dramma.

Parlare di rifugiati politici ed emigranti economici è un ipocrita eufemismo. Chi scappa dall’Africa non lo fa alla ricerca di un mondo migliore, cerca semplicemente di salvare la pelle anche a rischio di un viaggio al limite del possibile, lo fa perché non ha alternative. Dire come fanno oggi Di Maio e Salvini, che bisogna fermarli sulle coste per impedire che anneghino è un’ipocrisia, non possono fermarsi, perché se si rischia l’annegamento partendo, non partendo la morte per fame, guerra, malattia è certa.

La realtà è che c’è bisogno di più Europa con governi nazionali dallo sguardo lungo. L’Europa è un continente vecchio in crisi demografica, che ha bisogno, davanti alla evoluzione del lavoro e dell’economia, di un crescente numero di manodopera. Come avvenne nell’America del New Deal, quando furono gli immigrati a dare sviluppo a quel paese (specie con straordinarie realizzazioni infrastrutturali), mettendo in opera gli investimenti necessari al rilancio dell’economia e della produttività.

Le politiche protezioniste sono suggestive per chi teme nell’immediato la chiusura del proprio posto di lavoro o la delocalizzazione, ma tutto questo non cambia la realtà di un mondo che per sua natura, con l’evoluzione informatica e l’insorgere di nuovi modelli economici, deve sempre più confrontarsi su scala mondiale. La vera questione non è fare finta che non ci sia la globalizzazione, ma di governarla. Idem per l’Europa. Non dovremmo essere a questo punto. L’Europa dovrebbe proporsi anche per motivi di vicinanza, di sostenere ed indirizzare lo sviluppo del continente africano (sempre più sfruttata dalla Cina), creando sempre più cooperazione, non dovrebbe sequestrare le navi delle Ong, che hanno svolto e svolgono un lavoro di indubbio valore umano e che sono un esempio di cosa sia la solidarietà, dovrebbe aprire le porte ad un’organizzazione dei flussi emigratori, nella consapevolezza che nessuno lascia il proprio mondo per puro divertimento.

Provocatoriamente direi che l’Europa tutta dovrebbe farsi carico del trasporto in sicurezza di questi disperati, che paradossalmente a noi tornerebbero utili.

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Uscire dagli egoismi sovranisti che sono espliciti per i paesi dell’est e per il nostro governo, ma che sono aimé impliciti anche in quei paesi, che con troppo poco coraggio sostengono il progetto europeo, come la Francia o la Germania, è fondamentale. Si tratta di una battaglia di civiltà che è essenziale anche per la costruzione di una comune idea e sentimento europeo, ma è anche una battaglia su cui si decide l’autorevolezza geopolitica di un soggetto che dovrebbe e potrebbe pesare molto più nel contesto internazionale. Il risveglio anti-populista mondiale, contro i vari Trump e Putin, per non parlare dei nostrani populismi, parte da qui.

Se l’Europa fallisce non ve ne sarà un’altra dei popoli, questa è un’ennesima ipocrisia. Chi come Salvini invoca una “Lega dei popoli” dovrebbe spiegarci con quali premesse, visto che i suoi possibili partner, come Orban o la Le Pen, hanno già chiarito che non vi sarà alcuna solidarietà.

Quello che nessuno ha il coraggio di dire, al cospetto di popoli sempre più chiusi nelle proprie, spesso irrazionali, paure ed egoismi, è che bisogna seriamente costruire istituzioni europee che siano capaci di superare il sovranismo nazionale e che questo va fatto anche a costo di rinunciare ad alcuni paesi che troppo frettolosamente hanno aderito ad un progetto a cui non credevano sinceramente. Cio’ va fatto anche a costo di non compiacere ad alcuni paesi guida, come la Germania. Non si puo’ essere amici di Visegràd, tutelato dalla Merkel, e contemporaneamente pretendere che Orban non sia Orban. E’ come chiedere di avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Seule une Europe redéfinie géographiquement sur de Valeurs partagées et des Politiques Communes pour les défendre, permettra de répondre aux graves défis évoqués par cette clairvoyante analyse, de les relever et de véritablement préserver les acquis des modèles économiques et sociaux nationaux auxquels nous sommes attachés .
    « Mais comme la vie est lente et comme l’espérance est violente « disait Apollinaire dans un des plus beaux poèmes de la langue française
    L’effort sera long et aussi l’attente des hommes de bonne volonté …

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