Libia, quando la storia ritorna.

Anche se il Mediterraneo non ha più il ruolo centrale che ha avuto in altre epoche storiche, gira e rigira ci ritroviamo sempre lì, ancora una volta il cuore delle maggiori tensioni internazionali resta il Mediterraneo ed in particolare, nelle ultime settimane, il nostro vicino di casa Libia.

Haftar alla testa della Cirenaica da otto mesi assedia quella che un tempo si diceva Tripolitania del suo nemico Serraj. Il quadro geopolitico di questa lotta è particolarmente complesso e coinvolge diversi attori della scena geopolitica.
L’Europa ufficialmente sostiene Serraj ed in particolare, fino ad ora, l’Italia si è schierato con il leader di Tripoli, cosa che ha contribuito ad indurre i francesi a parteggiare per Haftar. Sono evidenti i divergenti interessi economici ed energetici che dividono gli italiani da i loro cugini di Oltralpe.

La guerra italo-turca del 1911

L’uscita degli americani dagli impegni internazionali, specie nel cuore del Mediterraneo, ha ingolosito altri paesi che da sempre hanno mire espansionistiche in quel mare, in primis la Turchia, che nel complesso gioco delle parti di questo scenario geopolitico ha preso le parti di Serraj, contro Haftar, non amatissimo dai sunniti, ma sostenuto dalla Russia di Putin, che proprio insieme alla Turchia sta regolando i conti del dopo Isis in Siria ed Irak.
A dire il vero Sarraj nei giorni scorsi aveva invocato, vanamente, l’intervento militare dell’Europa e poi direttamente dell’Italia, la quale tentenna, affidandosi al tutt’altro che esperto ministro degli esteri Di Maio, il quale ha avviato una mediazione politica che francamente risulta sterile e priva di proposte concrete.
Mentre l’Europa si limita a volenterose dichiarazioni e l’Italia, come detto, tentenna, Haftar ha sferrato un nuovo e forse decisivo attacco a Sirte, la città di Gheddafi, la cui conquista gli aprirebbe definitivamente le porte per Tripoli. Questo ha indotto un non entusiasta Sarraj ad accettare il sostegno di truppe turche. Goffamente il governo italiano, dopo aver rinunciato con l’Europa ai previsti colloqui tra i contendenti del 7 gennaio, ha cercato con il premier Conte di fare incontrare le due parti, solo che lo stesso ha ricevuto prima Haftar (per tre ore), piuttosto che l’alleato Serraj, che irritato da tutto ciò, è ritornato in Libia senza incontrare il nostro Presidente del consiglio. Nel mondo arabo i simboli hanno un valore e per questo la gaffe di Conte sembra imperdonabile.

Erdogan e Putin

Sul terreno quindi si fronteggiano sanguinosamente non solo libici ma anche la divisione russa Wagner e truppe turche. Russia e Turchia storicamente da sempre “nemici” e con confliggenti interessi che nei secoli hanno portato a più di una contesa militare, ma occorre qui non ingannarsi i nemici amici Erdogan e Putin, che in Siria insieme stanno regolando a loro modo le cose, già hanno dato vita ad un bilaterale per far cessare il fuoco in Libia e probabilmente, come sostenuto da diversi studiosi, tra cui il nostro Mario Giro, stanno mettendo le basi per una spartizione di quel paese, nella vecchia Cirenaica e Tripolitania, che realisticamente porterebbe, almeno nell’immediato, ad una pacificazione dell’area, ma che permetterebbe loro, dopo la Siria e l’Irak, di estendere la loro presenza influente nel cuore stesso del Mediterraneo. Neanche all’Unione Sovietica era riuscito ad avere basi in Libia, Gheddafi non l’aveva mai permesso, oggi Putin si accinge a coronare con successo questo obbiettivo.

Per Erdogan, invece, è un ritorno ai fasti che furono dell’impero Ottomano, e mentre in occidente ancora c’è chi si fustiga per le storie coloniali che furono degli anni d’oro dell’Europa. In realtà, senza volersi addentrare in valutazioni etiche o morali o moralistiche, se ci fosse ancora il colonialismo, il quadro geopolitico dell’area sarebbe molto più sereno e chiaro e probabilmente proprio a quei paesi come la Libia, la Siria o l’Irak si sarebbero evitate sventure e lutti, immigrazioni forzate e tragedie con un disastro economico che ha ridotto alla fame tutto il nord Africa.
E’ evidente che per alcuni degli attori di questo scenario se non c’è una chiara volontà neocoloniale, perlomeno c’è il tentativo di modificare gli attuali instabili condizioni geopolitiche dell’area.

Il teatro di guerra.

I solleciti di Serraj all’Europa e poi alla stessa Italia sono stati sostanzialmente delusi. Eppure i legami e gli interessi europei ed italiani in particolare, nell’area sono evidenti. Solo nel 1911 l’Italia e la Turchia si contesero sanguinosamente la Libia, che fu poi anche nostra colonia nel periodo del regime fascista senza voler risalire fino all’antica Roma e alle tante tracce di quell’archeologia presenti anche nei territori dove oggi è Sirte.
Ma proprio i solleciti di Serraj, come hanno evidenziato molti opinionisti e studiosi, tra cui il direttore di La Stampa, Molinari, dimostrano che, per avere voce in capitolo e poter concretamente partecipare ad accordi e trattative per riappacificare il territorio, occorre essere militarmente sul campo e ad oggi l’unica cosa italiana che sfiora questa definizione è la presenza di un ospedale da campo, troppo poco.

Dietro il fallimento dell’Europa ci sono divergenze e interessi particolari di singoli paesi. L’energia libica fa ancora gola e se Sarkozy con la complicità inglese, sfruttò le primavere arabe, per destabilizzare il paese cosi da ottenere due cose: da una parte regolare i propri conti personali, pare oggi chiaro il sostegno economico di Gheddafi (diventato uno scomodo testimone) alla sua rielezione a presidente della Francia, dall’altra per minacciare ancora una volta gli interessi economici italiani nell’area a favore del proprio paese.
Berlusconi non tenne la barra, dopo aver criticato l’intervento anglo-francese, anche sollecitato da un non brillantissimo Obama (troppo ingenuo nel credere nella riuscita di quella primavera), finì per adeguarsi a quella scomoda guerra che fu ad origine anche dei mali attuali dei nostri vicini libici.

Ma oltre al piccolo ospedale sulla costa libica l’Italia ha qualcosa di molto più importante, la presenza di Eni e di numerosi progetti infrastrutturali, dighe, strade, ponti ed altro, che sono un motivo di ricchezza e di interesse che rischiano di essere pregiudicati dalla presenza e dalla spartizione dei nemici amici Erdogan e Putin, senza considerare il ruolo francese a favore di Haftar in contrasto con la stessa Europa.

Serraj e Haftar

Senza fare gli ideologici e tanto meno i moralisti è chiaro che la perdita di quelle risorse sarebbe un ulteriore colpo per il ruolo già modesto dell’Italia nello scacchiere internazionale, senza contare il danno economico smisurato che ne deriverebbe alle già esangui casse del nostro paese. Ma a questo va aggiunto che una perdurante guerra indurrebbe molti a fuggire da quel teatro insanguinato e a cercare, da profughi, il proprio destino altrove ed ancora una volta in o verso l’Italia, con una Europa che anche sul tema emigrazione non appare capace di stabilire delle regole certe e comuni.

Probabilmente l’Italia avrebbe dovuto intervenire prima, il non farlo paradossalmente favorirà la guerra, ci potrebbe costringere a nuove emergenze umanitarie e sicuramente determinerebbe nuovi ed ulteriori danni economici al nostro paese. Il rischio di restare paralizzati, per motivi culturali, innanzi allo spettro interventista non potrà che generare nuove piaghe per noi ma anche per gli altri, certo non per le mire espansionistiche di Turchia e Russia.

ENI in Libia

Se l’Italia vuole dire la sua e se vuole difendere i propri interessi, con quelli di tanti lavoratori e di una comunità italiana ancora fortemente presente nella nostra ex colonia, c’è solo un modo, che farebbe risparmiare anche al nostro ministro degli esteri tanti inutili tour tra Egitto, Libia ed altri paesi, mandare truppe regolari, sul territorio per poi, a pieno titolo, partecipare ai trattati che Erdogan e Putin si accingono a scrivere sulla pelle dei cirenaici di Haftar e i tripolitani di Serraj.

Del resto lo sapeva anche il nostro Cavour, quando decise di partecipare alla guerra in Crimea (ancora una volta russi e turchi), che pure non coinvolgeva direttamente in sé interessi italiani, in alcune fasi storiche, come questa, occorre mandare soldati per poi partecipare alla pace, con i frutti e vantaggi che ne derivano per tutti.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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