Le elezioni di Settembre

La “pillola di Puppo”. Le elezioni italiane imminenti fanno pensare a una partita di calcio in cui una squadra si presenta al completo, con undici giocatori; e l’avversaria invece solo con metà squadra. L’altra metà è fuori dal campo, a fare squadra a sé invece di giocare assieme agli altri.

La squadra a ranghi completi è il centrodestra (o destra tout court, se preferite). Somma di forze abbastanza diverse tra loro. Forza Italia è istituzionale, padronale,  europeista. La Lega plebea, liberista, anti-statale. Fratelli d’Italia è un partito nazionalista e statalista, erede della storia del MSI, cioè del movimento post-fascista della storia repubblicana (quindi meno liberale e più sociale, rispetto ai suoi sodali). A differenza degli altri, è sempre rimasto all’opposizione del governo Draghi, il che gli ha certamente fatto guadagnare consensi nell’elettorato più antagonista. Anche i rispettivi leader sono diversi. Silvio Berlusconi è la riedizione imbalsamata di un’epoca trascorsa: Dallas ritrasmesso su TikTok. Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono due veri capi politici in competizione tra loro, di cui il primo però in evidente declino, e la seconda (abile comunicatrice, buona organizzatrice, primo ministro in pectore) in piena ascesa. Nonostante tali differenze, questi partiti si sono coalizzati su un programma di destra simile a quello dei repubblicani americani, con un po’ di spesa pubblica in più: protezionismo economico, difesa dei valori tradizionali, riduzione delle tasse, controllo dell’immigrazione. Dal loro punto di vista, hanno fatto benissimo a coalizzarsi.
Il sistema elettorale (vituperato persino dai suoi promotori) assegna poco più del 60% dei seggi in modo proporzionale, e il resto (221 su 600) in collegi “uninominali”, dove è eletto chi ha più voti. Se da una parte c’è un solo candidato che raccoglie i voti di più partiti, e dall’altra tre o quattro in competizione sullo stesso elettorato, l’aritmetica (che ha la testa dura, proprio come certi politici) favorisce il primo. Questo meccanismo premia chi si allea, e permette a chi lo fa di trasformare una maggioranza relativa di voti in una maggioranza assoluta di seggi. La destra lo ha capito e si è adeguata.

Salvini e Meloni+Berlusconi – La Destra

Invece, le forze che si oppongono alla destra (e qui arriviamo alla squadra che si presenta in campo in ordine sparso, ognun per sé), nonostante questa solare evidenza, non sono riuscite a trovare un accordo. Il partito principale di quest’area, il PD, aveva due opzioni : l’alleanza con il Movimento 5 Stelle (in continuità con il secondo governo Conte) o quella con l’area liberal-democratica, presidiata da due suoi fuoriusciti: Calenda con Azione, Renzi con Italia Viva. Enrico Letta, segretario del PD, sperava di riuscire a realizzarle tutte e due, nel cosiddetto “campo largo”. Invece, entrambe le alleanze sono saltate. A quella con i 5 stelle, personalmente, ho sempre guardato con perplessità (non piacendomi l’antiparlamentarismo delle loro origini, una certa cultura forcaiola e il trasformismo della loro pratica). Però questa alleanza, pur per me indigesta, adesso sarebbe stata utile e anzi provvidenziale, almeno per limitare la vittoria della destra e darsi un’identità più orientata a sinistra e quindi più facilmente leggibile per l’elettorato.  Invece, la caduta del governo Draghi (abbandonato dai 5 stelle) ha portato alla rottura. L’alleanza con il centro è saltata anch’essa. Calenda ha ritenuto che il PD si sia allontanato troppo dall’« agenda Draghi » (l’araba fenice: che vi sia, ciascun lo dice, dove sia, nessun lo sa) a causa dell’alleanza con piccole formazioni alla sua sinistra (Verdi, Sinistra Italiana). E alla fine si è unito a Renzi in una formazione di centro che, come la protagonista di un film di Bertolucci, ballerà da sola.

Il PD, saltate le principali opzioni di alleanza, ha stilato un programma moderatamente  orientato a sinistra (maggiore regolazione del mercato del lavoro, ambientalismo, diritti civili e di cittadinanza). E ha puntato su una contrapposizione frontale con Fratelli d’Italia: o di qua o di là, bisogna scegliere. Paventando il famoso pericolo fascista che (assieme a quello comunista) è motivo ricorrente della retorica delle campagne elettorali italiane. Questa tattica accentuerà la polarizzazione dei voti su queste due formazioni. L’idea di Letta mi sembra questa: massimizzare il risultato del PD (presentato come baluardo contro il nuovo fascismo) e nello stesso tempo spostare il più possibile il baricentro del futuro governo di destra proprio verso la formazione di Giorgia Meloni. Nella speranza che questo ne diminuisca la credibilità internazionale, lo indebolisca e apra la strada verso un nuovo governo di coalizione, sulla falsariga di quello Draghi. Magari guidato da un esponente giudicato più presentabile, come potrebbe essere Tajani, di Forza Italia, ex presidente del parlamento europeo.

Calenda e Renzi – Il Terzo Polo

La speranza di Calenda (e Renzi) è più o meno la stessa: rendersi indispensabili come “réserves de la République” se il governo guidato da Giorgia Meloni, sotto l’urto della congiuntura economica e dell’inesperienza del suo gruppo dirigente, dovesse durar poco.

Ma quale sarà il risultato di tanto cerebrale tatticismo? Se la destra va oltre il 45% dei consensi (probabile), e conquista la gran parte dei collegi uninominali grazie alla frammentazione del fronte avverso (dato direi certo), potrà ritrovarsi con più dei due terzi dei seggi parlamentari. Matematica docet. Quindi non solo saldamente in sella come maggioranza di governo, come è giusto se questa sarà la scelta degli elettori. Ma anche in grado di realizzare autonomamente le riforme costituzionali (che richiedono appunto la maggioranza dei due terzi), quali ad esempio il presidenzialismo, antico cavallo di battaglia della destra. Il presidenzialismo non è un’apocalisse in sé (lo adottano due tra le più antiche democrazie mondiali : Stati Uniti e Francia. Ed era sostenuto da uno dei padri costituenti, Piero Calamandrei). Ma una riforma presidenzialista fatta in autonomia da una coalizione che al suo interno ha estimatori dell’Ungheria di Orban e della Russia di Putin, con una schiacciante maggioranza parlamentare, potrebbe rappresentare un passo verso una democrazia più plebiscitaria che liberale.

Letta – la Sinistra

Il pericolo « fascista » è un riflesso condizionato, spauracchio agitato per mancanza di argomenti e per far paura. Invece, la prospettiva di una maggioranza clamorosa regalata per dabbenaggine a una destra a trazione nazionalista, con spericolate simpatie per i regimi autoritari, è concreta. Basta saper far di conto per vederlo. Una prospettiva che, con meno egolatria (in questo Calenda ha vinto la gara con distacco), si sarebbe potuto evitare. Gridare al fascismo non serve a niente, se non a convincere chi già è convinto di suo, e a galvanizzare la parte avversa.
Stipulare un’alleanza elettorale tra forze di centro-sinistra, identificando un denominatore comune, sarebbe servito eccome. Altroché. Se  è vero che Dio acceca coloro che vuol perdere, mi sa che gli elettori di centrosinistra (tra cui il sottoscritto: del resto, nessuno è perfetto) stavolta sono messi male.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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