Sanremo 2020: non l’ho visto e mi è piaciuto.

Non ho visto Sanremo, quindi ci tengo a dirvi cosa ne penso. La canzone (come il calcio, il ciclismo, la cucina) è una componente essenziale della nostra cultura popolare. Il festival di Sanremo è, secondo me, una cosa bellissima. Se resta un festival di canzoni. Popolari, brutte, belle, spesso un po’ scemette; ma ogni tanto capaci di intercettare le evoluzioni della società. Come fu, in modo clamoroso, nel caso del Blu dipinto di blu (tutti credono si chiami Volare, ma il vero titolo è quello) di Modugno: canzone che annunciava l’Italia del boom. O più tardi Vasco Rossi con la sua Vita spericolata: tutti a ridere, e invece era la descrizione perfetta dell’Italia di provincia degli anni Ottanta (la stessa raccontata nei libri del grande Pier Vittorio Tondelli). O ancora Amedeo Minghi con il suo trottolino amoroso (e du-du-da-da-da). Geniale variazione del paroliere Panella sul farfallone amoroso mozartiano (anzi lorenzodapontiano). E incarnazione perfetta di una specie di estetica da lozione e calendario di barbiere con le donne nude, capelli tinti, motel per coppie clandestine dove si mangia anche discretamente.

Quando Sanremo è quello, e riesce a raccontare, a rappresentare il proprio tempo, è una cosa grande. Invece Sanremo come catechismo, dispensatore di morale, pulpito per prediche, usato come strumento educativo, ha in sé qualcosa di sinistramente chiesastico e autoritario. Diventa uno strumento di manipolazione (anche se in buona o ottima fede; del resto, ogni predica è sempre in buona fede) e soprattutto una palla gigantesca. Basta prediche. Non bastavano i preti?

Siccome non ho visto né la prima né la seconda serata, e non vedrò le altre, ci tengo a farvi sapere che ne penso. Fiorello secondo me è penoso. Animatore da villaggio vacanze « tutto pagato », compagnone da pacche sulle spalle che prende in giro tutti, tipico capetto della compagnia che si tromba la più figa (già questa sarebbe ragione sufficiente per detestarlo e possibilmente punirlo) e fa ridere le professoresse giovani con scemissime battute salaci, fa i saltini sugli sci e pare ignorare l’assurdità dell’esistenza. Il vuoto, l’insensatezza delle cose. Il nulla eterno leopardiano e lo spaventoso silenzio degli spazi infiniti di Pascal. Fiorello non è il male assoluto, quello no. Sarebbe troppo. Un simile titolo può certamente essere attribuito agli orrori della storia e ai Pooh; e in minor misura a Claudio Baglioni, a suo modo emblema della banalità del male di cui tanto bene ci ha parlato Hannah Arendt. No, Fiorello non è il male assoluto. Ma il suo sfrenato dinamismo canzonatorio umilia l’umanità. Un mondo senza Fiorelli (non è un errore: è plurale) è possibile.

Non ho visto neanche questa serata, e ci tengo a farvi sapere che ne penso. Su Benigni, in società, se si è di sinistra e borghesi-riflessivi, con profili socioculturali avanzati, quelli che piacciono a Corrado Augias per capirci, si può scegliere tra due cose da dire.
1. “Straordinario. Commovente. Porta al grande pubblico la Costituzione, il Cantico dei Cantici con grazia e leggerezza. Fa pedagogia. Un mito”.
Oppure 2. “Ah quanto era bravo una volta, quando era sovversivo e faceva tele-vacca, adesso purtroppo è diventato un’istituzione”. Questo vi basta per sostenere la conversazione. Se siete di destra caciarona, direte invece: « Comunista a 300.000€ a serata, vergogna! » E chiuso. Invece la cosa è diversa. E cioè che Benigni non ha mai fatto ridere (almeno non me), nemmeno quando era effettivamente un po’ più spontaneo, profilo matto del villaggio toscano, e meno trombone. È sempre stato uno che in apparenza si diverte molto a sentirsi parlare, perché quando lo fa gli scappa da ridere; ma non si capisce perché. Era già un trombone in potenza anche quando non lo era, insomma.

Invece Mika che a voi snob fa schifo è bravissimo. Un cantante. La Vanoni a me piaceva prima e pure adesso che è imbalsamata. E se sentite parlare ancora di meritocrazia (merito-mia-zia) in un paese che invita la donna di un famoso calciatore perché come titolo ha quello di essere donna di un famoso calciatore, smettetela di dire che non bisogna fare la rivoluzione. Altroché se ci vuole. (Una qualunque).

Non ho visto né questa né le altre serate, e ci tengo a farvi sapere cosa ne penso. Bugo (o come belin si chiama): “con Morgan c’è una GRANDISSIMA intesa”. Morgan: “Bugo è un GRANDISSIMO artista”. Cantano. Morgan gli cambia le parole della canzone dicendo più o meno che l’altro è uno stronzo ingrato. Bugo istericamente prende e se ne va. Fine dell’esibizione e tocca a un altro. Seguono accuse reciproche e affermazioni del tipo: « basta, bisogna ricominciare da » (da cosa? Metteteci una cosa a caso: da Greta, dalle Sardine, dalla Nutella). Insomma, in due minuti di Sanremo, tutta la storia della sinistra italiana. Per me, aria di casa. Applausi ai compagni Morgan e Bugo per questa ricostruzione storica così precisa.

Puppo Maria De Filippi

Non ho visto nessuna delle 5 serate, non ho ascoltato una sola canzone, e ci tengo a dire cosa ne penso. Mi è piaciuto abbastanza. Tra le canzoni ce ne son di belle. Solo che non c’è “una cosa che durerà”. I fior ch’io faccio, ahimè non hanno odore, canta Mimì (nella Bohème. Dove sennò?). E i fior che fa questo Sanremo, ahimè, non hanno odore. Ecco.

Sezione prediche: bellissima e bravissima giornalista palestinese parla di violenza sulle donne (giustissimo) e non cita nemmeno per sbaglio qualcosa sulla condizione delle suddette donne nel mondo islamico da cui proviene (il diffusissimo delitto d’onore, di cui noi italiani sappiamo qualcosa, visto che giuridicamente è stato abolito, assieme al matrimonio riparatore, quando io già sospiravo, per lo più invano, dietro le femmine). Benigni è come il papa o Scalfari: direi che non c’è da aggiungere altro. Bugo e Morgan hanno fatto la sit-com “storia della sinistra italiana in due minuti”: ricostruzione impeccabile. Fiorello e Amadeus sono cresciuti nei non-luoghi dei villaggi turistici e si vede. E come dimostra la foto, Fiorello non ha inventato niente.

Adesso il problema è un altro: finito ‘sto accidenti di Sanremo, cosa si fa? Toccherà mica tornare a occuparsi di politica? E tutto sommato: non vi sembra che vi siano analogie non indifferenti tra Amadeus e Zingaretti? Almeno una c’è: decidono tutto gli altri e loro ridono sempre.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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