La città e gli spettri

Il morbo che minaccia la vita del genere umano sull’intero pianeta sta cambiando il mondo sino ad ora vissuto. In questo reportage di Flavio Brunetti il racconto dell’ansia che tormenta una piccola città del Sud dell’Italia: Campobasso, capoluogo della più piccola regione italiana, il Molise, dove il virus imperversa nelle case per anziani disseminate nei piccoli paesi e dove i tagli alla Sanità Pubblica hanno chiuso tre dei cinque ospedali, sino a poco tempo fa funzionanti e ben distribuiti sul territorio e hanno ridimensionato drasticamente gli altri due, lasciando sconcertata la popolazione che si sente, in questi difficili giorni di dolore e di lutti, abbandonata.
Nuovo dolore nei dolori passati, questi giorni ci ricordano, nelle righe del racconto, il 6 aprile del 2009 e le trecentonove vite spezzate nella notte de L’Aquila (link al reportage con portfolio QUI).

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LA CITTÀ E GLI SPETTRI

Lo sgomento, l’angoscia, il lutto, la debolezza, la tristezza, la diffidenza, lo sconforto, lo smarrimento, il dubbio, l’ansia, la paura… Quella “paura che ti fa tremare e dire – Qui non voglio mai tornare –” mentre, incerto, continuo ad andare avanti nell’eco dei miei passi lungo le strade deserte della città.

Altritaliani Flavio Brunetti

La città, il mondo degli uomini. La città violata, ammutolita, offesa e derisa per la sua fragilità, vinta e vilipesa dalla forza degli eventi naturali.
Indifeso, aggrappato ad una macchina fotografica come per salvarmi, continuo a camminare, a cercare, a scrutare, per trovare forme, che siano il racconto di tutti quegli amari sentimenti che attanagliano la mia anima nella solitudine del silenzio.

altritaliani città e spettri

Non c’è entusiasmo nei miei passi. Non c’è desiderio negli occhi. Non c’è la soddisfazione degli approdi nella tempesta. C’è solo il dolore nel quale inciampo, cado e cado ancora lungo quelle strade dalle quali vorrei subito andare via.
La città degli spettri.

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(L’Aquila San Pietro di Coppito, 8 aprile 2009)

L’ultima volta che mi rapirono gli spettri in una città fu a L’Aquila: il terremoto e trecento e nove morti che ancora si stavano scavando da sotto le macerie delle case dove, ancora vivi alle tre della notte, ognuno nei suoi sogni, stavano dormendo.
E prima ancora, quarant’anni fa sempre gli spettri… ad Avellino, a Napoli con i tremila morti.

città e spettri flavio brunetti altritaliani
(Avellino 27 Novembre 1980)

Ora, invece, quegli spettri hanno invaso tutte le città italiane e sono giunti anche qui, anche nella mia piccola città, ai margini, sconosciuta ai più, Campobasso. Una delle tante, in Europa e nel mondo, minacciate dall’epidemia planetaria.
Qui, da noi, nel Molise, sono pochi i morti, sono stati sino ad ora tredici e speriamo resti sempre fermo così il loro numero. Nell’unico ospedale, altri dieci stanno proprio male, rianimazione, poi un’altra ventina, da settimane, stanno sotto i caschi per respirare. Tra essi anche amici che conosco.

reportage flavio brunetti

E la gente è angosciata per il futuro. Allarmata da questo unico pensiero:

– Come può, questa Regione, la più misera d’Italia, il Molise, affrontare una diffusione più intensa dell’epidemia? Questa terra che per anni ha visto depredare le strutture ospedaliere dagli sprechi, dalle clientele, dalle cordate elettorali e dalle parentele? Questa terra che sa dei bei soldi, chiamati “premi incentivanti”, dati dallo Stato ai medici e ai primari perché se ne andassero subito in pensione anticipata e poi liberi a lavorare presso le cliniche o i laboratori dei privati? Questa terra che ha vissuto la dismissione dei reparti e l’abbandono dei macchinari, la chiusura di interi ospedali, che ora sono vuote cattedrali nel deserto? Questa terra dove il virus imperversa senza pietà sui vecchi alloggiati nelle case per gli anziani disseminate qua e là nei paesi più isolati? Questa terra che sa dei pochi posti esistenti di terapia intensiva che si contano sulle dita della mano e che sarebbero totalmente insufficienti? Come potrebbe questa Regione oggi salvare i suoi cittadini dal male?

reportage Flavio brunetti

Quella gente, martellata dalla televisione per tutta la giornata, conosce il male, lo percepisce, se lo porta dentro. Se lo porta dentro, quel male, anche se non è stata contagiata, ma non sa dove esso sia, dove si annidi. Non sa in chi e chi sia il suo male.
Questo stesso vuoto mi attanaglia mentre mi aggrappo, come ad una scialuppa che mi salvi, alla mia macchina fotografica lungo le strade deserte della mia piccola città che ora è diventata immensa.

reportage Flavio Brunetti 2020

Le strade deserte e blindate c’erano anche a L’Aquila. C’erano le norme da seguire, i divieti, le transenne, le guardie che ti sbarravano la strada e ti perquisivano. Ma c’erano i muri crollati delle case e delle chiese, i Vigili del Fuoco che puntellavano e che scavavano, le autoambulanze che correvano. Lì vedevi qualcosa, vedevi il nemico, vedevi le pietre assassine ancora sul selciato e le case costruite male.
Ora non si vede niente. Le molecole che vagano non si vedono, nemmeno quelle che ti entrano nei polmoni e ti ammazzano.
Qui non vedi niente. Scuole, niente. Negozi, niente. Sorrisi, niente. Uffici, niente. Persone, niente. Mercati, niente. Hanno messo per giorni e settimane tutti in quarantena. Tutti chiusi nelle loro case. Hanno fatto bene. L’unica speranza di salvezza.

reportage Flavio Brunetti

In giro ci sono solo, qua e là, le file per la spesa, per le Poste o per la farmacia. Ognuno lontano dall’altro. Nessuno parla, per non cacciare il fiato, nessuno parla per fare che l’altro non cacci il suo fiato. Poi ogni tanto incontri qualcuno che torna a casa. La bocca e il naso tappati con la mascherina … ti vede e cambia la sua via.
E poi, per chi muore senza il virus, i funerali … “alla sola presenza dei familiari più stretti…” Anche i funerali sono stati vietati. Solo i familiari stretti possono entrare nelle chiese e nel cimitero chiusi. Deve essere scritta, questa norma, anche sui manifesti.

città e spettri flavio brunetti reportage

E c’è, alla radio, alla televisione e sui giornali chi si vanta con soddisfazione di essere riuscito a organizzare, per la scuola, l’ufficio o l’azienda che dirige, gli artefici della comunicazione a distanza: lo studio o il lavoro al computer, ognuno dalla sua casa, ognuno dalla sua stanza.
Ed è così che ora, di questo virus, ciò che fa più paura è la proposizione, la sperimentazione di una futura società asettica, una società senza anima che il morbo sta dimostrando che potrebbe essere fattibile:
Le scuole senza studenti con i ragazzi prigionieri nelle loro case e i genitori che controllano loro e i loro professori:
– C’è lo sciopero?
– Oggi lezioni da casa!
– Ha nevicato?
– Oggi lezioni da casa!
– L’assemblea?
– Oggi si fa da casa!
Il lavoro? Tutto dal computer di casa con l’inevitabile riduzione del salario e la perdita dello spirito di classe.
Il medico di famiglia? Tutto da casa. Telefono e computer.
Ma quello che più spaventa è l’avere sperimentato l’angoscia collettiva delle sedicimila e passa vittime del morbo e del loro atroce supplizio come controllo sociale.
Oltre le morti e i dolori, ecco l’arma devastante di questo virus. Un’arma micidiale contro l’umanità, intesa non come numero ma come anima, sogni, diritti, speranze, amore.

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Allora queste strade vuote, innaturali, dove rimbomba solo il silenzio, questi palazzi con dentro la gente che non si sente nemmeno fiatare e che ha paura, questi viali immensi con una sola persona e la sua piccola busta con il pane ci devono far sognare e desiderare che le scuole si affollino di nuovo di voci, che gli uffici non si svuotino mai più, che i mercanti distendano ancora le tende delle loro bancarelle e che urlino a gran voce quello che vendono, che i campi di calcio, i teatri ed i cinema siano sempre stracolmi di gente, che lungo queste strade, che oggi portano l’angoscia nel cuore, tornino a giocare, numerosi, i ragazzini.
“Vivere soli è molto amaro, ma non vivere è un abisso. È il vuoto. Non vivere ha le spine come una catena d’ami, che cade dal cuore e che t’inchioda dentro. Sediamoci presto a mangiare con tutti quelli che non han vissuto. Apparecchiamo lunghe tovaglie e un piatto come la luna dove tutti insieme si mangi ancora.”

La malattia e le parole dette da lontano, nella solitudine, siano solo un triste ricordo da mettere nell’angolo più buio del nostro cassetto, e il sogno di tutti noi, i vivi, sia quello di incontrarci di nuovo viso a viso, di toccarci, di abbracciarci, di baciarci, di sentire le nostre voci sussurrate sulle labbra, di respirare il fiato degli altri, di camminare e danzare insieme.

Testo e foto © Flavio Brunetti

(riferimenti poetici : Dante Alighieri – Pablo Neruda)

LINK YOUTUBE AL SERVIZIO DI TELEMOLISE: IL RACCONTO E LE FOTO DI FLAVIO BRUNETTI “LA CITTA E GLI SPETTRI” (26 aprile 2020)

Nel portfolio le altre foto:

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Flavio Brunetti
Flavio Brunetti vive a Campobasso nel Molise. Vince, come cantautore, l’edizione del ‘93 del Premio Città Di Recanati con la sua canzone Bambuascé, e incide negli anni successivi gli album TU TU TTÙ TU e FALLO A VAPORE (ediz. BMG – Musicultura – CNI) delle sue canzoni. Scrive, dirige e interpreta numerose opere teatrali e musicali tra le quali Storia del Clandestino, L’angelo mancino, Frusta là, Lullettino e Lull’amore. I suoi reportage fotografici hanno meritato esposizioni in Italia, negli Stati Uniti, in Brasile e in Ungheria. Ultime sue pubblicazioni editoriali sono: “Non aprire che all’oscuro”, racconto e catalogo dell’omonima mostra. "Il tempo delle tagliole", romanzo che narra della vita in seminario negli anni ’60.

2 Commentaires

  1. Ho appena letto il testo di Flavio Brunetti. Un testo che ben comunica il dolore, l’angoscia, la desolazione da Campobasso all’Aquila a tante città italiane: città ben definite ”degli spettri” in questo drammatico periodo. Condivido il sogno finale: tornarci a riabbracciare, allo stare insieme oltre la solitudine che oggi ci attanaglia… ben rendono le buone foto che accompagnano il testo. Grazie, Flavio Brunetti e Altritaliani.

  2. Bello questo scritto che sembra emergere da un’epoca futura nelle pagine e nelle immagini di prodotti culturali catastrofisti, americani, slavi, italiani. Buzzati, Fellini, Almodovar, i romanzi di fantascienza: Bradbury, Clarke etc. Dal microcosmo di Campobasso si generalizza nell’ambiente urbano di ogni sito toccato dalla clausura forzata, dalle preoccupazioni, anche economiche, del « dopo ». Proiettati nel futuro siamo tutti anacronistici e non vediamo che le ombre. Eppure questa contingenza ci sta mostrando il ventre della società contemporanea, nel bene e nel male anche quello assoluto. Risalgono a galla gli umori fetidi della cattiva politica, dell’opportunismo, della corruzione delle istituzioni, le manovre delle mafie, dei « furbetti » o dei « rottamatori » da barzelletta che « illuminano » le fattezze del postmoderno. Insieme, l’umanesimo, la sua trasparenza di cristallo complesso, la sua precisione di intenti contro l’arruffismo, l’oscuro,il magma. Figure e simboli che resteranno come segni indelebili di un fenomeno che cade come una profezia antica, una lama sulla nostra povera vita. Intanto: gli animali se la spassano, vivono la natura con le sue regole di rinascenza, perché siamo in primavera e Persefone risale ad abbracciare sua madre. Con questo abbraccio delicato la Natura ci sorride, al di là del pianto.

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