Il ’68, quando l’obiettivo era cambiare il mondo.

I giovani del Sessantotto erano ovviamente come i giovani di tutte le epoche: spontanei, sinceri, determinati, ingenui e un po’ incoscienti. Tanto spontanei, sinceri, determinati, ingenui e incoscienti da immaginarsi di rifare il mondo. « L’immaginazione al potere », si diceva allora. Quel mondo piaceva poco; e difatti il terremoto sessantottino è stato planetario.

Nelle Università americane è partito già prima dell’anno 1968, visto che due problemi pesavano come macigni sulla sensibilità e le prospettive dei giovani statunitensi : le discriminazioni razziali e la guerra del Vietnam. L’assassinio di Martin Luther King, il 4 aprile 1968, è stato uno shock anche per moltissimi giovani europei. Gli stessi che in autunno hanno affisso nella propria camera da letto il manifesto con l’immagine dei due atleti di colore Tommie Smith e John Carlos, che dal podio della premiazione dei 200 metri  alle Olimpiadi di Città del Messico salutano la bandiera a stelle e strisce col capo chino e il pugno chiuso. Quello stesso mese di ottobre, la vigilia dei Giochi a Città del Messico era stata insanguinata dal massacro di studenti che manifestavano contro il governo (anche vari giornalisti stranieri, tra cui Oriana Fallaci, furono feriti in quell’occasione).

Nanterre
Il maggio francese inizia a marzo.

In Vietnam, il 1968 è cominciato con l’offensiva della guerriglia, che si traduce in una chiara percezione politica: Washington non può vincere militarmente in Indocina. I giovani americani hanno la sensazione di essere mandati a rischiare (e a morire) per nulla. Per i giovani europei, il Vietnam diventa il simbolo del successo di Davide contro il gigante Golia. In Germania (naturalmente la Germania occidentale, visto che in quella dell’Est ogni espressione di protesta veniva respressa con estrema brutalità) i giovani protestano contro la guerra del Vietnam e contro quelle che vengono presentate come le ingiustizie della società nazionale. Anche questo era il 68 : si protestava un po’ contro tutto e contro tutti. In Germania Ovest la protesta studentesca aveva il suo leader in Rudi Dutschke, che se la prendeva in particolare con i giornali. L’11 aprile 1968, una settimana esatta dopo l’omicidio di Martin Luther King, uno squilibrato ha sparato in Germania su Dutschke, ferendolo in modo molto grave. Intanto in Italia ci sono stati, il primo marzo, gli incidenti studenti-polizia attorno alla facoltà di Architettura, a Roma, che alcuni hanno pomposamente definito « battaglia di Valle Giulia ». In Francia il 68 (che il mondo intero conoscerà come « Maggio francese ») è nato il 22 marzo con la protesta studentesca al campus di Nanterre, presso Parigi, dove la direzione ha rifiutato la richiesta dei giovani di sesso maschile di visitare nelle ore notturne la zona femminile del pensionato universitario.

libroQuesto breve e approssimativo giro panoramico della protesta sessantottina aiuta a trovare alcuni elementi di riflessione.

La protesta studentesca è cominciata nelle università, ma la sua portata ha riguardato la società tutta intera. La faccia migliore del Sessantotto è stata quella di un grande movimento modernizzatore. Modernizzazione confusa e contraddittoria, ma pur sempre modenrizzazione. E’ stato come se all’improvviso gli studenti dei paesi occidentali si fossero attribuiti il ruolo di denunciare le ingiustizie della loro società e del mondo intero. C’era del volontarismo, c’era della confusione mentale, c’era della presunzione, c’era dell’utopia, ma c’era soprattutto un dato oggettivo. La generazione del 68 è stata un rivelatore del cambiamento in atto. E non a caso. La generazione del 68 era quella del « baby boom » postbellico, quando in Germania occidentale, in Francia, in Italia, in America e così via l’avvenire aveva il profumo dell’ottimismo, malgrado i dolori e le macerie ereditati dalla guerra. Quando uomini e donne provavano una voglia tutta particolare di cancellare i propri ricordi creando una famiglia e rimboccandosi le maniche per mantenerla. I figli del « baby boom » sono la prima generazione di giovani a conoscere una vera istruzione di massa ai livelli medio-superiori. Questa è una contraddizione del 68 : i beneficiari dell’istruzione di massa (e dunque dello sviluppo sociale) sono stati i più duri nel denunciare i limiti dell’istruzione e dello sviluppo sociale.

lotta

In Italia e in Francia il periodo a cavallo tra il 1968 e il 1969 è stato un momento strano, in cui nelle università i residui della vecchia goliardia si mescolavano col nuovo e confuso entusiasmo rivoluzionario. C’era un’incredibile voglia di mobilitazione e di trasgressione. C’era una voglia di libertà a 360 gradi. Libertà nei comportamenti e nelle opinioni. Come se una generazione tutta intera provasse di colpo il desiderio di scardinare quella che considerava come una gabbia di vecchie prescrizioni. Il 68 ha rivelato la crisi di una morale costruita su tradizioni senza senso. Una morale bacchettona.

Il 68 è stato dunque il momento della liberazione dei costumi, della liberazione sessuale e soprattutto della liberazione femminile. L’introduzione del divorzio in Italia è figlia del 68. In quel contesto di « voglia di cambiare » si è capito (si è cominciato a capire) quanto fosse assurda la vecchia mentalità che metteva la donna in una condizione di evidenti difficoltà rispetto all’uomo. Una chiave fondamentale della riflessione sul 68 sta proprio in quella che chiamiamo oggi « parità di genere ».

Il terremoto sessantottino è stato un motore di cambiamenti. Tanti cambiamenti, alcuni buoni e altri no. Anche su questo c’è naturalmente da riflettere, visto che il confuso messaggio « anti-meritocratico » del 68 ha avuto conseguenze negative in Italia e in altri paesi europei.

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L’inquietudine de L’Unità

Negli anni successivi il 68, la mobilitazione studentesca è diventata sempre più politica, cosa che ha comportato esperienze straordinarie ed errori talvolta drammatici. L’esperienza straordinaria è stata figlia del desiderio di costruire nuovi rapporti col resto della società. Se mi è consentito un aneddoto personale, devo dire che – a una cinquantina d’anni di distanza – ricordo di aver appreso molto (e molto più che nelle aule universitarie) dalla partecipazione nella mia città, a Novara, alle iniziative dei dipendenti della Scotti e Brioschi per la difesa del proprio lavoro.

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Studenti ed operai uniti nella lotta

Nel capitolo degli errori, bisogna mettere il fatto che quella generazione, decisa a cambiare il mondo, ha putroppo usato alla leggera certi slogan violenti, urlati nelle manifestazioni. Oggi la generazione sessantottina ha secondo me il dovere di dire una cosa chiara alle nuove e alle future generazioni di ventenni: non scherzate mai – neppure a parole – con la violenza ! La forza della democrazia si costruisce con la democrazia e nella democrazia. Questo vale anche quando la democrazia è piena di lacune, di problemi e di ingiustizie. Perché la democrazia è imperfetta, ma non è stato ancora trovato di meglio. Nell’Europa del 1968 lo abbiamo capito il giorno 21 agosto, quando i carri armati sovietici hanno invaso la Cecoslovacchia. Nelle Università occidentali protestavamo, ma potevamo farlo. In quelle dell’Europa orientale la libertà di protestare era un sogno. Anche questa è una lezione di quell’anno incredibile, di esattamente mezzo secolo fa. Battersi per migliorare la democrazia, sì. Sognare di distruggerla, no.

Alberto Toscano

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Alberto Toscano
Alberto Toscano est docteur en Sciences politiques à l’Université de Milan, journaliste depuis 1975 et correspondant de la presse italienne à Paris depuis 1986. Ex-président de la Presse étrangère, il est l’un des journalistes étrangers les plus présents sur les chaînes radio-télé françaises. A partir de 1999, il anime à Paris le Club de la presse européenne. Parmi ses livres, ‘Sacrés Italiens’ (Armand Colin, 2014), ‘Gino Bartali, un vélo contre la barbarie nazie', 2018), 'Ti amo Francia : De Léonard de Vinci à Pierre Cardin, ces Italiens qui ont fait la France' (Paris, Armand Colin, 2019), Gli italiani che hanno fatto la Francia (Baldini-Castoldi, Milan, 2020), Mussolini, "Un homme à nous" : La France et la marche sur Rome, Paris (Armand Colin, 2022)

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