Elezioni europee. 2019 l’Anno che decise il futuro dell’Europa.

Si parte da una notizia: Un sondaggio promosso dalla Commissione europea dice che più del 65% degli europei credono ancora al futuro dell’Europa Unita. Probabilmente, a favore di questa tendenza, hanno giocato gli enormi problemi e la crisi, non solo economica, che sta vivendo la Gran Bretagna dopo la scela della Brexit. Ma in Italia, viceversa, per la prima volta sono appena il 44% quelli che credono che il paese debba restare nell’Unione. In realtà quelli che vorrebbero uscirne sono solo il 25% ma c’è una gran parte di italiani che si dichiara in dubbio e che non si pronuncia. Solo pochi altri paese come la Slovacchia, la Croazia, la Romania e la Grecia condividono questa tendenza italiana, per tutti gli altri, l’Unione deve restare, esistere e semmai rafforzarsi. Il dato italiano è allarmante per il destino europeo, specie ricordando che il nostro paese, fino a pochi anni fa, era il più entusiasta del progetto e che l’atto costitutivo dell’Unione venne firmato, ormai tanti anni fa, proprio a Roma.

Le Pen e Salvini

A maggio ci saranno le elezioni europee e il malcontento degli italiani potrebbe concretizzarsi in un nuovo straripante successo delle forze populiste, in particolare della Lega di Salvini. In tal senso, diventano importanti queste giornate d’Autunno, quando la Commissione europea dovrà pronunciarsi sulla manovra economica del governo italiano, una manovra che, secondo molti analisti, farebbe saltare i conti pubblici del Paese, con l’altissimo rischio di un’ulteriore sostanzioso incremento del debito pubblico. Il tutto mentre Moody’s ci declassa e si attende a giorni la pronuncia dell’autorevole Standards and Poor. Il parere di queste agenzie di rating, sulla qualità della nostra economia e dei nostri conti, puo’ pesare tremendamente sugli andamenti dei mercati. Già la borsa di Milano da settimane balla paurosamente tra cadute e rimbalzi in un quadro di evidente instabilità e lo spread, ancora lui, schizza dal marzo scorso dai 130 punti agli attuali 300 di media, con evidenti perdite economiche che mettono già in crisi, prima dell’approvazione, i conti della manovra economica faticosamente concordata tra i contraenti leghisti e grillini, in un clima pesante e di diffidenza tra gli stessi.

Negli ultimi anni le percezioni hanno pesato negli orientamenti elettorali più degli stessi dati reali, come hanno dimostrato le vicende degli ultimi anni della nostra politica, la quale sembra scivolare sempre più verso paure e ansie irrazionali, che incidono sui flussi elettorali. Appare evidente che un’eventuale dura bocciatura della commissione europea della nostra manovra, con lo spettro di una troika che venga a sostituirsi al governo per un nuovo piano economico, non farebbe che agevolare queste paure e risentimenti verso le istituzioni europee dando nuova linfa ai tanti che, nello schieramento populista, sognano la scelta sovranista di uscita dall’Unione. A partire da Grillo, che invoca un referendum Italexit, al ministro Savona, per parte leghista, che aspira ad un’uscita finanche dalla moneta unica.

La congiuntura politica internazionale e l’abile mossa del cavallo del governo potrebbero quindi far esplodere il progetto europeo con controverse ricadute.
E’ lecito considerare che l’Europa sia oggi il campo di battaglia su cui, senza il bisogno di aerei e carrarmati e di distruzioni e morti, si sta consumando una guerra che vuole stabilire o ristabilire nuovi o vecchi equilibri geopolitici.

L’aperta ostilità di Trump verso l’Europa e in particolare contro la cancelliera Merkel, come i costanti contatti tra Putin e la Lega, con Salvini ospite a Mosca all’incontro della locale Confindustria, la dicono lunga sul facile retroscena che sovraintende la crisi dell’Europa a poco meno di un anno da un voto che diventa cruciale.

E’ evidente che Trump e Putin vogliono la fine dell’Europa.
Infatti, la fine del “sogno europeo” renderebbe, gioco forza, tutti i paesi, che compongono l’Unione, in un mondo che, piaccia o no, è globalizzato, molto più deboli ed esposti al gioco di influenza politica delle super potenze (Russia, Stati Uniti e Cina), nonché ciascun paese molto più vulnerabile verso quelle potenze economiche e finanziarie “globali” a partire dai colossi informatici, i nuovi re, che guidano piattaforme come Google, Amazon, Alibaba, ed altri. Colossi che bene o male, fin qui sono stati contenuti, a volte finanche penalizzati, da una Europa che cerca di farsi interprete delle regole di un mercato libero e competitivo.
Non è un caso che a Mosca Salvini sia arrivato a dire che lui in Russia si sente a casa e finanche più sicuro che in Europa. Un affermazione che tradisce la sua aspirazione ad un paese che lui vorrebbe più nella sfera russa che europea, una questione di feeling, che manifesta l’adesione ad una cultura, direi un’ideologia, sovranista che vede in Putin, più ancora che in Trump, l’autentico garante.

I sovranisti. Il gruppo di Visegrad

In gioco è la democrazia e il sorgere di due nuove ideologie quella globalista e quella sovranista, che ribaltano i vecchi canoni della politica. Sovranisti certo i populisti e una parte della destra e finanche dell’estrema sinistra, impegnati nella strenua difesa di imprese e industrie che sempre più sono esposte ai vantaggi o svantaggi di un mercato senza frontiere, ma esistono anche forze di destra e sinistra che remano contro questa aspirazione alla chiusura. In Italia basta pensare a Forza Italia e al Partito Democratico che sembrano essere gli unici baluardi di peso, per le prossime elezioni europee, in difesa della continuazione, magari con un rilancio del progetto dell’Unione.
Dicevamo in ballo è la democrazia, perché è evidente che il fallimento sostanziale dell’Unione, imporrebbe un ritorno a politiche internazionali regolamentate attraverso una spartizione del mondo tra le tre attuali super potenze. Sarebbe il ritorno di politiche neocoloniali ed anche i singoli paese europei sarebbero costretti a piegarsi alle volontà spartitorie, finanche predatorie dei nuovi leader mondiali.

L’esistenza e la resistenza dell’Unione europea diventa essenziale non solo per il mantenimento delle conquiste realizzate negli ultimi settanta anni nel continente, a partire dalla pace, ma anche per essere ago della bilancia nelle complesse evoluzioni geopolitiche che hanno costituito gli scenari mondiali di questi ultimi decenni. Ma per fare cio’ occorrerebbe alle istituzioni del vecchio continente, un autentico scatto di reni, la presa di coscienza dell’importanza di un rilancio del progetto, uscendo da una meschina linea difensiva nella quale si sono cacciate ormai da diversi anni.

Salvini ha avuto l’indubbio merito, con la sua intransigenza, di mettere a nudo le contraddizioni della limitatezza attuale del progetto europeo. Giocando sulla paura, in buona parte irrazionale, dell’immigrazione, ha evidenziato come questo tema in Europa venga trattato in modo burocratico, ipocrita e privo di visione. Sono emersi gli egoismi francesi e non solo, basti pensare al gruppo di Višegrad. Egualmente, sui vincoli di bilancio, dove sono emerse delle contraddizioni di trattamento che per il singolo cittadino, magari poco informato, sembrano incomprensibili. Se Salvini ha questo merito ed argomento forte, l’Europa dovrebbe correre ai ripari, dimostrando di avere visione lunga. Uscendo dai troppi lacciuoli tutti economici e voluti dai tedeschi e dal nord Europa con una ostinazione che dimostra scarsa versatilità e capacità di adattarsi alle evoluzioni storiche del mondo.

In vista della sfida decisiva, l’Europa deve dimostrare finalmente il reale valore dell’Unione, uscire da una posizione ostinatamente difensiva e soltanto ottusamente attenta ai conti e rompere quegli schemi che rendono facile il lavoro di critica e che alimentano il risentimento populista e popolare e proporsi come forza che sola e unica puo’ davvero difendere i cittadini europei nel loro insieme, proponendosi un rilancio del suo progetto che richieda un maggiore spazio alla democrazia, con un parlamento che possa decidere, riducendo i poteri di veto di ciascuno paese, una tecnica questa che favorisce solo gli egoismi nazionali. Probabilmente andrà rivisto anche la composizione europea. Come possono convivere nell’Unione anime cosi diverse? Dove confliggono aspirazioni agli Stati Uniti d’Europa e chi, come il gruppo Višegrad, costruisce solo muri e senza alcun conto del trattato di Schengen mira solo alla difesa ostinata della propria frontiera ed interesse?
Urge una Europa con più passione e meno tecnocrati.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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