Di Giovanni Capecchi: I Fronti della scrittura. Letteratura e Grande Guerra.

Conoscevamo di Giovanni Capecchi, Lo straniero nemico e fratello. Letteratura italiana e Grande Guerra, del 2013 (Vedi QUI). Libro ricco di sollecitazioni importanti oltre che, per noi triestini, particolarmente significativo per il lungo, empatico capitolo dedicato a Guerra del ’15 di Giani Stuparich, un diario di guerra di cui si apprezza sempre meglio, a mano a mano che passa il tempo galantuomo, la calda umanità.

Grande guerra. Dipinto di Armando Marchegiani

Da febbraio 2017, gli si aggiunge I fronti della scrittura. Letteratura e Grande Guerra (Ed Unicopli), in cui, sullo stesso tema, vengono proposti ulteriori sondaggi. Undici per l’esattezza, con un primo capitolo di inquadramento generale, una sorta di prologo all’intero volume: Le forme, i tempi e i luoghi delle scritture di guerra (con una appropriata valutazione del valore di cesura che ha avuto quella guerra e le sue scritture in relazione a un prima e a un dopo, a un “lungo Ottocento” e un “breve – aggiungo: insanguinato come mai prima nella storia dell’uomo – Novecento”. E poi seguono due assaggi, in prospettiva europea l’uno (perché la Grande Guerra, così terribile com’è stata, ha risucchiato nel suo vortice l’ispirazione e la penna di scrittori di tutte la nazioni), e
di sintesi l’altro della letteratura di guerra, sull’orizzonte dei due conflitti mondiali, in Italia (Paese, in fondo, si stenta a riconoscerlo, non poco guerrafondaio).

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Bisognerà aggiungere, per presentare meglio l’autore, che Giovanni Capecchi, docente di letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia, ha anche il merito, sul terreno di cui ci occupiamo, di aver ripresentato al pubblico dei lettori, in un’edizione ampiamente prefata, L’introduzione alla vita mediocre di Arturo Stanghellini,
ufficiale sul fronte carsico nella Grande Guerra e scrittore di lungo corso con apprendistato vociano, e a tali livelli di  qualità da richiamare a suo tempo l’attenzione di Silvio Benco.

Gli argomenti che Capecchi affronta sono spesso di carattere generale: l’attesa della guerra, dove spicca il ruolo ambiguo e il più o meno effimero entusiasmo di molti intellettuali; l’accettazione, o meno, della sua necessità, a partire dalle motivazioni più diverse; il viaggio verso il fronte; il racconto della prigionia (tematica, aggiungiamo, tanto poco praticata quanto coinvolgente, e dai risvolti – il disinteresse del Paese per i propri prigionieri – quanto mai scabrosi); il ritorno del reduce, che è generalmente un ritorno triste, con grandi difficoltà di reinserimento nella vita civile e, in molti casi, nostalgia per il ruolo che davano le stellette e torbida attrazione per le pratiche della violenza (non è per caso che molti ex-ufficiali, pensiamo solo al ben noto, a Trieste, Francesco Giunta, finiranno per guidare le squadracce fasciste).

Il costante gioco di rimandi tra memorialistica, narrativa e poesia, nei cui ambiti si scelgono le opere di maggiore esemplarità, e le situazioni che il soldato esperisce nel tragico quadriennio della guerra italiana, in una continua dialettica tra il particolare delle vicende individuali e le situazioni che impone di vivere la guerra di massa, aiuta a modellare categorie interpretative utilmente esportabili, a comporre quasi una fenomenologia, in prospettiva letteraria (e con particolare riguardo alle idee, ai sentimenti e alle emozioni), dell’esperienza del fronte.

Detto questo, è evidente la volontà di Capecchi di muoversi tenendo presenti due paralleli ambiti disciplinari, la storia propriamente detta e la storia della letteratura, accettando la difficile sfida di una prassi interpretativa condotta su più terreni, modus operandi reso assolutamente necessario dal particolare settore d’analisi, se consideriamo un contesto in cui la parola dello scrittore, sollecitata, come mai altrimenti, da tremende urgenze esistenziali, si fa insieme testamentaria e”funeraria”, epicedio anche quando assume, canta che ti passa!, tonalità scherzose.

Come scrive giustamente Giovanni Capecchi a proposito degli scrittori che, nei lunghi e polemici mesi dell’interventismo, hanno subodorato (qualche volta auspicato, spesso preparato come “profeti della strage”) l’entrata in guerra del Paese, «la letteratura ascolta», come un percettivo sismografo, «gli schricchiolii che precedono il crollo» (p. 38), e di essi sostanzia il contenuto delle opere.

Impossibile limitarsi, con letture tutte interne al fatto formale, alla parola “tremante nella notte”, se si vuol dare il quadro più appropriato di quella stagione di letteratura, perché è necessario invece riandare senza tregua al referente, ovvero alle esperienze, nella loro concretezza bruta, che una generazione fu obbligata a vivere nell’anticamera della morte.

Ciò non significa però che Capecchi abdichi ai metodi e agli ambiti dell’analisi filologica: nel capitolo Scritture e riscritture di guerra, mettendo in rilievo i passaggi che conducono dalle annotazioni di trincea all’opera nel caso di Stuparich, Stanghellini, Frescura, Ungaretti, il bisturi filologico si muove altrettanto agilmente che, in altre parti del libro, lo strumentario interpretativo di impronta storico-ideologica.

E tutto ciò in uno stile che rende le pagine di agevole leggibilità, senza nulla perdere in densità di contenuto, in coerenza con quell’impegno pedagogico in cui Capecchi, chi lo conosce sa di cosa parlo, si mette tutto in gioco.

Anche qui, come nel volume precedente, un medaglione dedicato a una figura di scrittore-soldato, Renato Serra, mettendo a fuoco, in questo caso, il suo breve ma denso «diario di trincea». «I quattordici giorni trascorsi al fronte», spiega Capecchi, attento a trarre dal caso
particolare conclusioni di carattere generale, «consentono a Serra di capire che esiste una distanza abissale tra la guerra immaginata e quella reale» (p. 97). Tema canonico della letteratura di guerra, che trova nel caso di Serra pieno riscontro, e spiega perfettamente le riflessioni amare, talvolta disperate, di soldati, spesso ufficiali di buona cultura (quelli di cui racconta le res gestas, e le illusioni e il nobile ardimento, l’antologia di Adolfo Omodeo Momenti della vita di guerra) che, accorsi sotto le armi seguendo un antico miraggio risorgimentale, provano lo strazio di una guerra anonima, meccanizzata, senza onore né gloria: «né baionette,/ né canzonette,/ tutti assetati,/ tutti affamati,/ tutti sfiniti,/ istupiditi/ dalle granate,/ per la trincea e la diarrea …», come scrive un poeta giuliano, Camber Barni, assai poco noto ahimè al di là dell’Isonzo.

In conclusione, consigliando caldamente la lettura del libro a coloro che si interessano alla
letteratura nata dalla “prova del fuoco”, per dirla con Carlo Pastorino, non resta che augurarsi che Capecchi voglia ancora scavare in un terreno dove ormai si muove come a casa.

Fulvio Senardi
Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione

Il libro:

Giovanni Capecchi: I fronti della scrittura
Letteratura e Grande Guerra
Edizioni Unicopli, Milano 2017
pp. 244, euro 20

L’Autore:

Giovanni Capecchi è Professore associato di Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia. Tra i suoi volumi: Lo scrittore come cartografo.Saggio su Marcello Venturi (2007), Voci dal “nido” infranto. Studi e documenti pascoliani (2011), Lo straniero nemico e fratello. Letteratura italiana e Grande Guerra (2013), Le ombre della Patria. Capitoli ottocenteschi tra Foscolo e Carducci (2015).

Link interno:
1914-2014 RACCONTARE LA GRANDE GUERRA: LA VOCE DEGLI SCRITTORI
Primo Piano Altritaliani in occasione del Centenario della Grande Guerra con numerosi contributi che vi invitiamo a scoprire.
Dossier a cura di Giovanni Capecchi e Fulvio Senardi

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Fonte dell’articolo:
Il Ponte rosso, rivista di informazioni di arte e cultura – Trieste
Scaricabile gratuitamente a questo link: www.ilponterosso.eu
Numero 27 – settembre 2017
Iniziamo con piacere, a partire di questo mese, una collaborazione con Il Ponte rosso, che mensilmente ospiterà un articolo pubblicato su Altritaliani.net e cortesemente ci consentirà di pubblicare sulle nostre pagine un articolo prodotto dal giornale la cui sede sta Trieste.

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Fulvio Senardi
FULVIO SENARDI ha insegnato nelle scuole e all’università in Italia e all’estero. Attualmente presiede l’Istituto Giuliano di Storia Cultura e Documentazione di Trieste e Gorizia. Oltre a numerosi saggi di argomento storico-letterario, traduzioni e curatele, ha firmato varie monografie. Fra di esse: Il punto su d’Annunzio (1989); Gli specchi di Narciso: aspetti della narrativa italiana di fine Millennio (2001); Il giovane Stuparich – Trieste, Firenze, Praga, le trincee del Carso (2007); Saba (2012). Sua la curatela di miscellanee che raccolgono gli atti di Convegni promossi dall’Istituto Giuliano: Scrittori in trincea. La letteratura e la Grande Guerra(2008); Riflessi garibaldini – Il mito di Garibaldi nell’Europa asburgica (2009); Silvio Benco, «Nocchiero spirituale» di Trieste (2010); Scipio Slataper, il suo tempo e la sua città (2013); Profeti inascoltati. Il pacifismo alla prova della Grande Guerra (2015)

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