Non è mai facile decifrare la politica italiana, orientarsi lungo quelle che un tempo si chiamavano le “convergenze parallele” dei suoi tortuosi percorsi. L’attualità non sfugge a questa regola, soprattutto quando si parla di Berlusconi.
Nel pieno della bufera mediatica, alimentata dallo scandalo di Arcore, il primo ministro si è rivolto ai telespettatori sostenendo che ci sono forze che lottano contro i suoi tentativi di riformare l’Italia, un paese che ha un preoccupante debito pubblico. È vero, tante volte lo abbiamo scritto, che il principale problema dell’Italia è il debito pubblico. Tuttavia, nel suo intervento Berlusconi ha lasciato intendere che quel debito sarebbe stato contratto dai governi di centro-sinistra e dai comunisti negli anni Ottanta. Tecnicamente non si può negare che ci siano stati governi di centro-sinistra, con Craxi, negli anni Ottanta; né che, nello stesso periodo, il Partito comunista governò realtà locali che contribuirono all’aumento della spesa pubblica. Tuttavia, guardando alla sostanza del discorso del primo ministro, il contenuto del suo messaggio è a dir poco fuorviante, almeno in considerazione del significato attuale di centro-sinistra e centro-destra.
Alla luce di questo esempio, viene da chiedersi come racconteremo, fra trent’anni, ciò che accade oggi in Italia. C’è una domanda che tutti si fanno: Berlusconi è completamente screditato – perlomeno agli occhi delle persone non faziose e di buon senso – oppure no? Nessuno può negare che ci sia una qualche volontà persecutoria nei suoi confronti e che l’abitudine a pubblicare documenti giudiziari sia nefasta. Inoltre, occorre stare attenti a evitare un moralismo sterile. Tuttavia, l’impressione generale è che la credibilità di Berlusconi sia in bilico.
Non è inutile ricordare, a proposito di faziosità e buon senso, le note diplomatiche dell’ex ambasciatore statunitense a Roma, Spogli, raccolte in un memoriale di congedo dal suo mandato: «Il lento ma costante declino economico dell’Italia compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell’arena internazionale». «La sua leadership manca di una visione strategica». «Silvio Berlusconi, con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata di parole ha offeso quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader europeo» (fonte Wikileacks).
Possiamo considerare queste note come il frutto di uno sguardo esterno e imparziale? Quindi considerare irrimediabile il deterioramento della reputazione del primo ministro? Non è facile rispondere in modo definitivo. Il tema dello screditamento di Berlusconi è probabilmente più tortuoso di quanto non dicano le note di Spogli. Ad esempio, tra le strane convergenze della politica italiana possiamo annoverarne una molto recente: il caso di Fini e dei finiani. C’è, infatti, un passaggio che sfugge alla logica.
Quando Fini si allontanò dal governo, lo fece per diverse ragioni ma alzò i toni soprattutto su due questioni: 1) l’inclusione forzata di donne giovani e avvenenti nelle liste del Popolo della libertà (si ricorderà la polemica innescata dalla finiana Sofia Ventura); 2) l’ospitalità riservata a Gheddafi durante un vertice a Roma (si ricorderà che Fini, indignato dopo aver atteso per ore il dittatore libico, andò via sbattendo la porta). Ebbene, proprio mentre è scoppiato lo scandalo dei festini ad Arcore e Gheddafi ha ordinato di sparare sulla folla di Bengasi, un gruppo di finiani ha deciso di abbandonare Fini e tornare a votare in Parlamento a favore di Berlusconi. Come spiegheremo questi fatti fra trent’anni?
Molto probabilmente, i percorsi della politica italiana sono più tortuosi di quanto non si creda. Di certo è che le forze del Paese convergono pericolosamente le une contro le altre, ma in questo scontro s’innescano, in modo paradossale, continui travasi da una parte all’altra.
Ciò non accade, ovviamente, fuori dalle stanze del potere, dove le posizioni sono molto più definite. Tuttavia anche nella piazza il quadro non si fa immediatamente più chiaro. Negli Stati moderni come quelli
del Nord Africa, il disagio sociale prende la forma della rivolta contro la leadership al potere. In uno Stato post-moderno come l’Italia, il conflitto si consuma diversamente, assumendo la forma dello scontro televisivo e del killeraggio mediatico. Ciò non vuol dire che non vi siano chiare forme di protesta. In Italia ci sono diversi segnali d’impegno politico: si pensi, ad esempio, al dissenso espresso da alcuni precari in difesa dell’Università salendo sopra i tetti, oppure all’orgoglio delle donne e al disagio espresso da molte elettrici di centro-destra.
Occorre però riconoscere, per essere realistici, che i rivoli della protesta sociale procedono in modo carsico e, quando affiorano, si disperdono nell’oceano dell’indifferenza comunicativa, dove la sovrapposizione delle voci prevale sulla turnazione del dialogo e del confronto politico.
Di buono in tutto ciò è che non scorre sangue vero. Ciò potrebbe favorire una risposta forte e tranquilla, come diceva Mitterand, al dubbio che ancora oggi aleggia nell’aria.
Emidio Diodato