Quale corpo per l’immagine, di Angelo Otero

Con l’articolo di Angelo Otero aggiungiamo un nuovo prezioso tassello al nostro « Mensile » sul Corpo dell’immagine : L’immagine. Una rappresentazione teatrale alle origini del pensiero.

La vecchietta bacia con devozione l’immagine di Gesù. La tradizione iconografica lo vuole vestito di rosso e viola, i colori che simboleggiano il sentimento e la saggezza, la testa aureolata ed anche il cuore, incoronato di spine e sormontato da una piccola croce, la mano sinistra lo esibisce a memoria del sacrificio. Una storia intera in una immaginetta in funzione prescrittiva: Tieni a mente la funzione salvifica del Cristo!

La traduzione in chiave cartacea dell’immaginario di un cristianesimo popolare, una icona bizantina, la foto di un personaggio o di un look o di un modo di vita invidiato assunto a modello nella cultura pop sono materializzazioni dell’immagine, di per sé rappresentazione in absentia di un qualcosa: oggetto, fatto, evento; e come tale appartenente alla sfera della psiche, al pensiero.
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«Psiche», antica nozione filosofica ma anche moderna nozione biologica, intesa di solito come il naturale accompagnamento della vita fisica, possibilmente riconducibile ad essa. «Anima», la denominazione latina di psiche, compromessa da una forte valenza metafisica e romantica, le sue frontiere spinte fino alla religione, fino alla sua ridefinizione ad opera della psicologia analitica ” per la quale i fatti psichici sono reali, esistono quanto la corporeità. Anche se impalpabili e invisibili, essi si “sentono” come la corrente elettrica, non si osservano, ma sono sperimentabili nella loro immediatezza, provvisti di leggi proprie, indipendenti da religione, scienza, filosofia. Nella accezione junghiana, l’immagine è espressione di contenuti inconsci costellati in un particolare momento, anche per effetto di uno stato momentaneo della coscienza che stimola l’attività di materiali subliminali ad essa attinenti. L’interpretazione del suo significato dipende dal mutuo rapporto coscienza-inconscio.

È legittimo interrogarsi sulla natura del pensiero e sulla possibilità di fornire una risposta, dal momento che essa presuppone una indagine scientifica sul funzionamento della mente? Possibile autocomprendersi? E a quali condizioni? Quale ruolo gioca il corpo in questa operazione metacognitiva? In quale misura è lecito parlare di corporeità in ambito psichico?

La nozione ‘corpo’ è stata troppo a lungo logorata, deformata da una tradizione di pensiero che ne ha fatto la sede imprigionante dell’uomo, un muto involucro dell’anima, o anche l’espressione concepibile e sussumibile nell’essenziale attributo dell’extensio. Dal corpo non si può prescindere, la sua preponderante inevitabilità induce al superamento del dualismo cartesiano che vuole il corpo scisso dalla mente. Per quanto nella res del cogitans si legga lo sforzo di assegnare anche al pensiero una sorta di corporeità nella sfera mentale, prevale nella concezione seicentesca la negazione del corpo e la preminenza accordata alla razionalità.

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I nuovi saperi cercano di dare una risposta in termini scientifici ad antichi quesiti filosofici. Tra questi, in primis il problema della conoscenza e l’irriducibile conflitto tra idealismo e realismo che, a partire da Platone e Aristotele ha attraversato tutta la filosofia occidentale: nomi diversi per la stessa guerra egemonica, razionalismo contro empirismo; idealismo contro positivismo, neoidealismo costruttivista contra operazionismo e strumentalismo, filiazioni del positivismo.

Idealismo e realismo: due posizioni contrapposte, scientificamente indimostrabili due questioni indecidibili, da assumere solo come ipotesi.

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Idealismo. L’idealista muove dal presupposto che non esiste alcunché al di fuori della pensabilità e la eleva a criterio unico di conoscenza. Quella che chiamiamo realtà o mondo non è un in sé, ma un sogno elaborato, una idea, risultante delle reazioni del nostro cervello a un qualcosa di esterno che non sarà mai intelligibile e analizzabile; una nostra costruzione, una “realtà inventata”.
[[Paul Watzlawick, The Invented Reality, w. w. Norton & Company, London 1988]]
Il cervello infatti, da sistema chiuso, quindi non in contatto diretto con l’esterno, elabora gli stimoli che gli pervengono dal di fuori nei vari linguaggi dei recettori sensoriali e li transcodifica in impulsi elettro-chimici, l’unico linguaggio che riesce a decifrare, sicché tutta la conoscenza è produzione, attivazione, manipolazione di simboli, elaborazione mentale.

Realismo. Il realista muove dal presupposto che il mondo esista indipendentemente dal soggetto conoscente e che le cose osservate, nonché le leggi di natura scoperte dagli scienziati, siano direttamente correlate con la realtà. Le teorie corrette descrivono oggetti che esistono indipendentemente dagli osservatori, esse non sono vere o false di per sé, ma operazioni usate per manipolare la realtà a proprio vantaggio, strumenti di apprendimento di ciò che ci circonda, punto di riferimento nel disordinato mondo dell’esperienza.

Nel secolo scorso, il funzionamento della mente coinvolse un altro pool di discipline, anche per effetto degli sviluppi della cibernetica e della biologia che con la scoperta del DNA e gli sviluppi che da essa discesero divenne per le scienze il modello epistemologico di riferimento soppiantando la fisica. Questa rivoluzione comportò sul piano operativo la centralità del problema della componente neuro biologica della conoscenza.
[[Watson e Crick, « Nature », n. 171 del 25 aprile 1953, uno dei numeri più consultati della storia, contenente tre diversi articoli sull’allora misterioso Dna. La doppia elica venne effettivamente visualizzata dopo vent’anni, nel 1973 da Alexander Rich.]]
Così, allo studio della mente strettamente legato al funzionamento del cervello si affiancarono accanto alla psicologia classica l’antropologia, la linguistica e la psicoanalisi anche le teorie psicologiche dell’apprendimento, le neuroscienze, le ricerche sulla I. A. (Intelligenza Artificiale) e la teoria della informazione.

Da questo ampliamento dell’orizzonte conoscitivo discesero: la ridefinizione in sede filosofica del rapporto reale/ideale e di quello anima/corpo, entrambi intesi non più in termini contrastivi ma di reciproca integrazione; la indimostrabilità scientifica dell’idealismo e del razionalismo e la conseguente assunzione dell’uno o dell’altro come una semplice ipotesi di lavoro; il carattere sostanzialmente “primitivo” della interpretazione idealistica, visto i risultati e le implicanze degli studi sui sistemi intelligenti, sull’autopoiesi e la congnizione che sottraggono all’uomo la centralità nell’universo non essendo più il solo essere pensante; l’impossibilità per lo scienziato di non essere realista, dal momento che ogni sua ricerca e indagine procede indipendentemente dalle sue opinioni.
[[John D. Barrow, Il mondo dentro il mondo, Adelphi, 1991]]

Posto dunque che quello che chiamiamo mondo è una elaborazione mentale, una risposta offerta dalle basi biologiche della mente agli stimoli esterni, l’immagine è reale, esiste ma non è visibile, ha una sua struttura corporale, rintracciabile indirettamente nella attività cerebrale, ma non si identifica del tutto con essa. L’odierna riflessione sulla mente avanza l’ipotesi della peculiarità simbolica delle immagini mentali e della loro irriducibilità alle proposizioni. Sulla base di argomenti teorici, ma anche di prove sperimentali tratte dalla neuropsicologia, sono state evidenziate le proprietà spaziali delle immagini, sicché si può affermare con certezza che la loro natura è eminentemente visiva. Il risultato teoricamente più rilevante è il riconoscimento della somiglianza che lega le immagini mentali alle percezioni piuttosto che ai processi alti di pensiero, dal che si evince che l’immagine precede la parola. Viene cosi a cadere la tesi della identità di pensiero e linguaggio che più di ogni altra aveva contribuito all’affermarsi di un’idea artificialista della mente.

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Allo stesso risultato molti decenni prima era arrivato Jung ribadendo la primarietà delle immagini nel processo conoscitivo e insistendo soprattutto sul carattere collettivo delle immagini primordiali, senza tuttavia addentrarsi nella metafisica delle origini e aderire alla credenza di sedimenti mnemestici accumulatisi nel corso della filogenesi.

Sulla stessa linea la ricerca antropologico-strutturale francese, tesa alla individuazione delle strutture antropologiche del mondo immaginale, una delle due maniere di cui la coscienza dispone per rappresentare il mondo, nella impossibilità di una rappresentazione diretta delle cose del mondo.
[[Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, Dedalo 2009]]
Il mondo immaginale è un mondo intermedio, a metà strada tra quello empirico della percezione sensibile e il mondo della intuizione intelligibile; è una facoltà con funzione cognitiva, ha un valore noetico cioè di conoscenza intuitiva e immediata.

Il problema filosofico della conoscenza viene formulato in termini di scienze della cognizione, grazie alla risposta che cognitivismo, connesionismo ed enazione hanno dato agli antichi interrogativi filosofici.

La computer science, o scienza cognitiva, nata sulla base di numerosi presupposti teorici, si configurò sin dal nascere come un dominio di sapere assolutamente trasversale: sei discipline sistemicamente correlate tra loro
[[Schema grafico tratto da Tabossi, Intelligenza naturale e intelligenza artificiale, Il Mulino, 1988]]
per l’analisi dei processi conoscitivi e lo studio delle possibili forme di rappresentazione delle conoscenze che la nostra mente opera in continuazione

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Il cognitivismo. Al suo interno, spesso identificato con esse, c’è il cognitivismo che, nella sua formulazione originaria, mantiene le distanze dallo studio scientifico del sistema nervoso centrale e dallo studio sociale e culturale della conoscenza per ritagliarsi l’indipendenza dalle altre discipline e crearsi uno proprio campo di indagine: il livello rappresentativo. Le sue origini storiche vengono fatte risalire all’era cibernetica degli anni 40-50, periodo in cui le scoperte e i risultati scientifici ebbero stupefacenti implicazioni tecnologiche, tra cui le più significativi per la neo-disciplina: la possibilità di utilizzare la logica matematica per descrivere le operazioni del sistema nervoso, e l’invenzione dei computer digitali, macchine in grado di elaborare l’informazione ricevuta.
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Tra il comportamentismo, che dichiara impossibile la mente come oggetto di studio, e le neuroscienze, che esplorano la mente come attività cerebrale puramente neurofisiologica, il cognitivismo indaga la mente come funzionamento in base a una ipotesi di lavoro che assume il modello computazionale: l’analogia tra la operatività della mente e quella di un software. I processi di pensiero vengono studiati con un approccio informatico, scandagliati, parcellizzati in item e step: il sistema complesso ridotto in unità minime in modo da essere implementate. Mente e software immettono informazioni provenienti dall’esterno (input), le eleborano e le traducono in informazioni più complesse ossia in rappresentazioni dotate di significato, organizzate tra loro in reti proposizionali e cognitive (output). La mente dipende dal cervello, nello stesso modo in cui l’esecuzione di un programma di istruzioni simboliche dipende da un computer; e pertanto può essere compresa da chiunque voglia partire dai principi basilari della computazione e seguire le spiegazioni step-by-step.
[[P. N. Johnson-Laird, the Computer and the Mind, Harward Univerity Press, 1988]]
Da qui lo sviluppo di due filosofie, una di taglio materialistico che riduce la attività della mente alla attività cerebrale, l’altra che invece apre a una filosofia della mente che rigetta la prospettiva riduzionistica.

Il fine ambizioso delle scienze cognitive, il progetto forte di realizzare l’Intelligenza Artificiale non si è ancora realizzato, – si realizzerà mai? – resta tuttavia in piedi, in tutta la sua validità, la psicologia cognitiva che ha sconvolto non pochi capisaldi delle psicologie tradizionali: la nozione ingenua dei cinque organi di senso ha ceduto il passo ai recettori sensoriali, molto più numerosi; il binomio pensiero-linguaggio sostituito dalla nozione di pensiero come rappresentazione. Alla base del processo cognitivo sono stati individuati tre tipi di rappresentazione mentale alla luce dei quali il processo cognitivo risulta completamente ridefinito:

– le proposizioni, le unità formative di base, al posto delle idee;

– le procedure, le regole di condizione-azione, al posto della produzione delle idee;

– le immagini mentali intese come condizione per la produzione di rappresentazioni analogiche. Queste ultime riassumendo le informazioni spaziali e loro conservazione nel tempo, sono la condizione della memoria.

Restringendo il discorso alle immagini possiamo dunque dire che esse garantendo la continuità sono le condizione indispensabile per la memoria, senza la quale non si darebbe vita psichica né costruzione della identità di ogni individualità pensante.

Nonostante le numerose e significative conquiste, il cognitivismo presenta limiti vistosi: il modello computazionale con il suo riduzionismo non affronta i rapporti problematici tra coscienza, mente e sé, usa il cervello come un calcolatore e tratta i processi cognitivi come un qualcosa che non può essere portato a livello cosciente, pena la perdita di velocità e efficacia. Una tale impostazione rende superflui per la cognizione la coscienza e il sé.

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Il connessionismo per voler tener conto del rapporto tra coscienza, mente e sé, si presenta come indirizzo di ricerca più complesso e articolato, già a partire dal suo modello della mente, supposta come una rete caratterizzata dall’interagire di proprietà emergenti. A differenza del modello cognitivo che prevedeva la manipolazione dei simboli in modo lineare-sequenziale, la mente è vista come un sistema di neuroni auto-organizzantisi in rete. Il modello reticolare consente di spiegare in modo esemplare il sistema di relazioni neuronali nel funzionamento del cervello stesso che si rivela un sistema altamente cooperativo, ristrutturantesi in progress e mai in modo definitivo, attraverso le relazioni e la collaborazione tra neuroni.
[[Marvin Minsky, La società della mente , Adelphi, 1989]]
Interessante la caratterizzazione che Minsky propone per il Sé con la S maiuscola, visto come identità centralizzata ma non personale: una società di idee, ciascuna delle quali svolge una funzione nei confronti dell’altra. Ogni comportamento, dal più semplice al più complesso, può essere scomposto in componenti dotate di specifiche e vicendevoli funzioni. Ma queste funzioni non si sa a cosa ineriscano. Ciononostante, la ragione pratica ci costringere a ipotizzare spiegazioni che sappiamo non essere vere.

Un discorso a parte merita la ricerca neurobiologia condotta negli anni Sessanta da Maturana e Varela. Con alle spalle una diffusa indagine sul cervello ad opera di varie scienze, essi estesero il discorso sulla conoscenza alle sue radici biologiche. Non più conoscenza ossia discorso in astratto, ma cognizione ossia indagine scientifica multidisciplinare in cui la cognizione è vista come autopoiesi : i sistemi viventi concepiti come processo, anziché spiegati attraverso il rapporto con l’ambiente. Da questo approccio alternativo all’intendimento delle radici biologiche del comprendere scaturì la crisi della certezze abituali sull’umano. Due esempi tratti da esperimenti.

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Un punto guardato fisso, se spostato con criteri prestabiliti, scompare dal campo visivo: nelle zone della retina da cui si diparte il nervo ottico esiste un punto cieco, ma noi non vediamo di non vedere. Viene simulato un gioco di luci che l’osservatore percepisce come un’ombra azzurro-verdastro, mentre all’esame delle lunghezze d’onda la stessa luce, inaspettatamente, risulta essere bianca. In breve, gli stati di attività neuronale innescati da diverse perturbazioni sono determinati in ciascuna persona dalla sua struttura individuale e non dalle caratteristiche dell’agente perturbatore. Ciò vale per l’esperienza visiva come per qualunque altra modalità percettiva.

NOI NON VEDIAMO I “COLORI” DEL MONDO, VEDIAMO IL NOSTRO SPAZIO CROMATICO. OGNI ESPERIENZA DI CERTEZZA È UN FENOMENO INDIVIDUALE.

Quella che riteniamo essere una rappresentazione del « mondo là fuori », è una permanente produzione di un mondo attraverso il processo stesso del vivere. Intesa come fenomeno biologico, la cognizione è frutto di una circolarità e complessità di sistemi autopoietici, in grado comunque di mantenere la sua identità nel tempo, in forza del suo stesso operare.

L’enazione. Non ci si può rapportare alla mente senza la biologia. L’enazione è l’indirizzo scientifico di ricerca che, sulla base di un approccio neurobiologico al processo cognitivo, consente di pensarlo nei termini di una stretta relazione tra azione e agente. Il neologismo è un calco linguistico mutuato dal verbo inglese ‘to enact’, riferito alla rappresentazione di uno spettacolo e alla promulgazione di una legge fu introdotto da Varela: la inscindibilità della legge dal promulgatore come il corrispettivo giuridico della impossibilità di considerare il processo cognitivo a prescindere dallo agente ossia impossibilità della mente di prescindere dal corpo. Siamo corpi pensanti, non sostanza pensante come voleva Cartesio, la conoscenza è azione incarnata, incorporamento, embodiment. Non c’è un mondo con qualità prestabilite.
[[F. Varela, E. Thompson, E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza, Feltrinelli, 1991]]
Considerare il mondo come prestabilito e l’organismo quale sua rappresentazione o adattamento ad esso è una forma di dualismo. L’estremo opposto del dualismo è il monismo. L’enazione si propone come via intermedia “… i processi cognitivi sono una enazione, cioè sono la produzione creativa del mondo che viene ritagliato da quello sfondo che è il mondo della vita. Ciò rende l’attività cognitiva visibile e analizzabile, in quanto i processi mediante i quali opera rivelano le sue interne strutture nel momento in cui la realtà è usata, manipolata, trasformata. »[[ ibidem]]

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La condizione di essere-nel-corpo è decisiva per l’orientamento cognitivo. Al corpo va riconosciuto un ruolo importante nel formarsi della mente, così pure all’ambiente. Corpo e ambiente hanno una origine co-dipendente, poiché il processo cognitivo si sviluppa a partire dagli accadimenti materiali in cui si viene a trovare. Ogni processo logico o cosciente porta un’immagine, un segno, un simbolo. Se si pensa ad una persona, si configura non proprio quell’immagine, ma un segno equipollente a quella persona, cioè si registrano, si confrontano delle immagini, delle espressioni mentali. L’intero della realtà organica, organismica, materiale, percettivo-emotiva, psicologica dell’uomo è legato alla necessità di comunicare con l’esterno e con se stesso e ciò è possibile solo attraverso immagini. L’uomo si trova incastrato, per quanto cerchi di autoriflettersi, non gli torna la realtà dell’intero, ma tornano a lui solo un canovaccio di immagini, è come se non avesse la possibilità di tornare indietro costantemente. Ogni interazione psichica avviene attraverso modulazioni di immagini. Tutto il pensiero dell’uomo è sempre dialettica di immagini. Alla base del pensiero ci sono le immagini. Le possiamo esplorazione alla maniera di Hillman, andando in cerca delle basi poetiche della mente ricercandole negli archetipi (immagini primordiali), nei miti (successione di archetipi che si fa storia), negli dèi (personaficazioni del mito), o chiedere alla maniera di Tommaso apostolo di “toccarle con mano”, osservandone la parte incorporata in 3D, grazie alle le tecniche più sofisticate che la medicina nucleare è in grado di offrire.

Angelo OTERO


P.S. Angelo Otero (Napoli 1945), già ordinario di storia e filosofia nei Licei, si occupa da molti anni di linguaggi non verbali, iconologia, linguistica, antropologia, psicologia analitica e scienze cognitive.

All’insegnamento trentennale, caratterizzato da una intensa attività sperimentale ispirata alla unitarietà dei saperi e alla « trasversalità », ha fatto seguito un quindicennio che lo ha visto diffondere in qualità di formatore le sue strategie didattiche in svariati laboratori di semiotica del cinema e del teatro e in corsi di riqualificazione professionale destinati sia a docenti che ad allievi di scuola superiore.

Cantante ed esperto della canzone napoletana, nonché cultore della lingua letteraria e della letteratura sei-settecentesca, ha tenuto vari seminari sul tema in Italia e all’estero.

E’ autore di « Helen e l’altro » (2001), tragicommedia in due atti e dell’atto unico « 2013 » Odissea dello strazio » (2003), pièce satirica nella quale un disorientato Pulcinella dice la sua sulla condizione assurda in cui attualmente versa il nostro Paese; di « Scarde d’ammore » (2005) liriche e di un romanzo storico, « Il fuoco sotto la cenere » (2009) Libreria Dante & Descartes, una restituzione a tutto tondo della Napoli seicentesca nell’età viceregnale spagnola.

Da coautore, « Il tema che problema » (1991), una applicazione del metodo informatico alla linguistica, per sciogliere scientificamente il nodo della composizione scritta, tallone di Achille per tutti gli studenti, e « Grammatica della comunicazione », ispirata al modello circolare retroattivo e a quello connessionistico della mente.


Angelo Otero collabora con il portale Il Mondo di Suk il cui scopo è di far conoscere in Italia e all’estero la creatività e il talento di Napoli.

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1 COMMENTAIRE

  1. Quale corpo per l’immagine, di Angelo Otero
    Come sempre l’autore, ben noto a Napoli, ci colpisce e ci « stende » con la sua cultura trasversale.
    Vorrei solo aggiungere che tutto ciò che nell’articolo ha detto con erudizione, è dentro il suo romanzo di esordio Il fuoco sotto la cenere, affresco potente ,al contempo realista e visionario, di vite di donne ed uomini nel ‘600 napoletano che con le loro vite fanno la storia, quella dei vinti soprattutto, e raccontano la materia e l’anima di un tempo in modo monumentale

    patrizia cotugno

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