Abbandoni scolastici e l’abbandono della scuola

In Italia l’abbandono scolastico negli ultimi due anni si è ridotto. Nel 2022 eravamo in Europa al terzo posto, secondo i dati di uno studio dell’Osservatorio sulla Povertà Educativa Openpolis, dietro Romania e Spagna. Oggi siamo quinti avendo scavalcato anche l’Ungheria e forse a sorpresa la Germania. Il tasso di abbandono precoce degli studi in Italia è oggi assestato all’11,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno lasciato gli studi prima del tempo. Giusto per soddisfare la probabile curiosità dei lettori, possiamo aggiungere che secondo gli studi dell’Istituto Openpolis i paesi che hanno minore dispersione scolastica sono nell’ordine la Lituania, Polonia, Grecia, Slovenia e Irlanda, il che dimostra che la ricchezza non è tutto nella vita.

Questo progresso, tuttavia, non deve farci sentire né fieri né soddisfatti, tutt’altro.

In primis, per la percentuale altissima in considerazione della popolazione scolastica e poi anche perché in questo dato ancora una volta emerge la netta separazione tra il nord e il sud del Paese.

Sono 10 le regioni con un tasso inferiore alla soglia del 10%, prevista nell’ambito europeo dalla Commissione che, per il nuovo anno, si è posto l’obbiettivo complessivo di una riduzione dell’abbandono scolastico al 9%: Lombardia (9,9%), Veneto (9,5%), Emilia-Romagna (9,5%), Abruzzo (9,3%), Molise (8,3%), Friuli-Venezia Giulia (7,7%), Lazio (7,4%), Umbria (7,3%), Marche (5,8%) e Basilicata (5,3%). Come si può notare 6 di queste si attestano anche al di sotto della nuova soglia prevista. Ma di queste regioni, se togliamo la Basilicata e il Molise, nessuna appartiene al meridione.

Il divario appare consistente se si pensa che l’abbandono scolastico in Puglia è del 14,6%, appena un decimale meno della Sardegna che arriva al 14,7%, in Campania si arriva al 16,1% e in Sicilia addirittura al 18,8%, il doppio che in Lombardia.

Di queste ore è la notizia che in Terra di Lavoro in Campania un bambino su tre non frequenta la scuola. Il che dimostra come questi dati sono probabilmente anche più ottimistici di quanto uno studio capillare dei territori evidenzierebbe.

Lo stesso Osservatorio rileva altresì che il 51% degli occupati tra i diciotto e i ventiquattro anni ha al massimo una licenza di scuola media, avendo rinunciato ad ulteriori offerte formative. Dato di comparazione fornito dalla Eurostat che in Europa è l’equivalente della nostra Istat.

Dietro questo degrado c’è un tema politico: Quanto investe la politica sulla istruzione? Negli ultimi anni è emerso un dato allarmante: Secondo l’Osservatorio di Cittadinanzattiva il 54% degli edifici scolastici non ha il certificato di agibilità. Un fatto che emerge ad ogni crollo dei nostri fatiscenti istituti scolastici, salvo poi essere dimenticato dopo un paio di giorni di frettolose cronache televisive.

La penuria di immobili usufruibili a scopo didattico ha portato al paradosso che nel paese con la più bassa crescita demografica di Europa, si abbia per un totale di 460.000 bambini la disponibilità di 17.000 aule, ossia una media di 25 scolari per classe cosa che ha fatto parlare di sovraffollamento delle aule quasi fossimo ai tempi dei babyboomer degli anni Settanta.

In questo senso non appare nemmeno chiarissimo quanti fondi economici pubblici si intendono investire per il miglioramento dell’edilizia scolastica e questo malgrado ci sia la ghiotta occasione dei fondi europei del PNRR.

Va aggiunto che a contribuire al degrado della nostra offerta formativa si aggiunge la circostanza di una scarsa valorizzazione del personale scolastico e in primo luogo del corpo docente, che deprezzato negli anni economicamente, oggi un insegnante guadagna grosso modo come un operaio non specializzato, il mancato riconoscimento del merito dell’insegnante, malgrado qualche tentativo operato dalle riforme scolastiche che si sono succeduto nel tempo, con di fatto un misconoscimento dell’opera, spesso meritoria, degli insegnanti e addirittura una perdita di quel prestigio che ancora nel secolo scorso si riconosceva ampiamente al professore.

Ai casi oggi di villania di studenti di ogni grado si aggiunge quello dei genitori degli stessi pronti ad aggressioni morali se non fisiche nei confronti di quei docenti che devono valutare lo spesso insufficiente grado di preparazione dei ragazzi.

Il maestro, un tempo esempio di autorità se non di autorevolezza, era sì temuto dai ragazzi ma spesso anche amato, così da restare nella memoria di ognuno come un soggetto fondamentale nella propria evoluzione esistenziale oltre che istruttiva.

La realtà è che la scuola di oggi vive in una confusione totale. A volte si pretende che questa si sostituisca all’educazione familiare, dando sempre meno rilievo all’aspetto istruttivo, si nega ogni valore ad uno studio considerato, a mio avviso a torto, nozionistico ma in realtà sin dalla infanzia delle elementari i bambini sono oggi disabituati a scrivere a fare di conto sostituendo il loro sforzo mnemonico con calcolatrici e computer. Sul piano anche della formazione educativa, tolta ogni divisa, allentata ogni disciplina, si assiste a studenti che non si distraggono più per sussurrare innocenti battute, ma a ragazzi letteralmente ipnotizzati dai telefonini, senza che alcun serio provvedimento sia preso a qualsivoglia livello dal corpo dei docenti.

Di recente un amico professore di filosofia mi diceva che al liceo dove insegna, gli studenti arrivano al suo corso sonnolenti, assenti e tanto accadeva perché fino a notte fonda in molti di loro guardavano sui telefonini le serie TV. Il bravo professore aveva segnalato la cosa ai genitori che gli avevano risposto con sorriso innocente: “E noi cosa possiamo farci?”  al che amaramente il professore aveva risposto: “I genitori – e dopo una pausa piena di stizza aveva aggiunto – i genitori”.

Ecco quello che infine manca e lì la colpa non è della politica, o della fatiscenza delle scuole e nemmeno delle storiche diseguaglianze italiche, è unicamente nostra, è la perdita di autorevolezza sia del corpo insegnante sia di una gran massa di genitori. Sia i primi che i secondi faticano a farsi carico, e non senza qualche ragione, di un loro preciso dovere, quello di essere responsabili. Del resto, non si è insegnanti o genitori per caso e nell’assumersi questi ruoli occorre prendersi oneri ed onori, felicità e noie.

In tanti temi il nostro occidente e in specie l’Italia sembra aver perso il senso della misura. Occorre ritrovare il senso della serietà, una cosa che oggi fa dibattito per esempio in Francia proprio sulla scuola, occorre ricordare che aver esteso l’obbligo scolastico ed aver garantito a tanti una istruzione nel corso dei decenni della nostra Repubblica è stato un merito, ma occorre riflettere su una scuola dove bisogna promuovere tutti, dove chi insegna non gode più di alcuna considerazione né economica né sociale, dove i genitori sono a priori sempre per i figli anche se questi sbagliano e sbagliano molto. Una scuola dove si fa tutto tranne che acculturarsi, tranne che apprendere, dove pare del tutto marginale sapere se la scoperta dell’America è avvenuta nel 1492 o forse no? Quella era l’Unità d’Italia!

Insomma, la scuola deve tornare ad essere maestra di vita ed essere anche il sacro luogo dove s’impara la storia, la geografia, la letteratura, la lingua, la Matematica, la biologia ma anche a pensare, ad avere un sano senso critico sulle cose del mondo e dell’umanità.

Riconoscendo, finalmente, a chi insegna non solo gli oneri ma anche gli onori.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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