Inferno, traduzione francese di Danièle Robert: ci vuole coraggio per la bellezza!

Per chi affronta la Commedia rispettando la metrica e la prosodia scelte dallo stesso Dante, la traduzione è una vera e propria sfida. Questa sfida la raccoglie oggi Danièle Robert in una bella edizione bilingue della prima cantica del poema dantesco, l’Inferno, con prefazione e apparato critico, pubblicata dall’editore francese Actes Sud [[Dante Alighieri, Enfer, traduit de l’italien, préfacé et annoté par Danièle Robert, édition bilingue, Arles, Actes Sud, 2016.]]. Proposta a un grande pubblico, la nuova traduzione consente di spingersi sempre di più alla scoperta della bellezza creatrice, della forza, della modernità di questo capolavoro universale. Ce ne parla Michele Tortorici, poeta e autorevole studioso dell’opera di Dante.

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Nei giorni scorsi un vero e proprio avvenimento editoriale di dimensione europea ha portato un improvviso scatto di novità nell’aria sin troppo calma che aleggia durante questa lunga attesa del centenario dantesco del 2021. Non è che in questo periodo siano mancate le iniziative editoriali: in Italia, per citare solo l’esempio che mi sembra più importante, è in corso la nuova edizione critica di tutte le opere di Dante curata da Enrico Malato e realizzata, oltre che da lui, da una schiera di straordinari studiosi. Università e istituti di cultura italiani e stranieri (questi ultimi sparsi un po’ dappertutto) annunciano intanto celebrazioni all’altezza dell’importanza del centenario. Tutto apprezzabile, per la qualità filologica delle nuove edizioni e per la nobiltà delle intenzioni delle quali vedremo i risultati al momento giusto.

Quello che è mancato è stato il colpo d’ala, lo scarto dalla via già segnata, insomma il vero e proprio “avvenimento”. Ora questo “avvenimento” c’è stato: come portata da un improvviso colpo di vento, ecco infatti una nuova traduzione francese della Commedia. Opera di Danièle Robert, la nuova traduzione ci si presenta, non con qualche assaggio affidato a riviste specializzate, ma con l’intera prima cantica del poema dantesco pubblicata in una bella edizione con testo a fronte e disponibile per il più vasto pubblico dei lettori .

Perché mai – mi si potrebbe ribattere – parlare di un “avvenimento” per una traduzione francese della Commedia? Non ce ne sono state forse una ventina nell’ultimo secolo? Certo. E tutte si sono misurate, ciascuna in virtù di una propria e particolare soluzione, con la grande questione del ritmo del testo dantesco. Ci sono state traduzioni che hanno consapevolmente rinunciato a ogni tipo di ritmo attraverso la scelta della prosa. Altre hanno cercato di restituire il ritmo dell’endecasillabo dantesco attraverso la scelta del decasillabo (tra queste la più “impegnata” sul terreno della correttezza filologica nel rapporto fra traduzione e originale: quella di André Pézard, Paris, Gallimard, 1965) o dell’alessandrino: in entrambi i casi con i versi disposti liberamente, senza nessuna struttura strofica. Altre traduzioni hanno cercato di adeguare il ritmo della Commedia alla sensibilità del lettore contemporaneo e hanno scelto i versi liberi (tra queste la più bella tra le traduzioni novecentesche, quella di Jacqueline Risset, Paris, Flammarion, 1985-1990).

Nessuna di tutte le traduzioni francesi si è però misurata nel Novecento con il nodo centrale della questione del ritmo della Commedia: quello della terzina. E, bisogna aggiungere, anche nei secoli precedenti nessuna traduzione lo aveva mai fatto in modo sistematico per l’intero poema così come si propone di fare la traduzione di Danièle Robert.

Opera di Miguel Barcelo'

Ora, la terzina non è un elemento accessorio, non è uno degli aspetti che contribuiscono a determinare il ritmo della Commedia : è quel ritmo ; anzi, si potrebbe dire che essa è quel poema. Dante l’ha inventata apposta. Inventata: sì. È vero che spesso gli studiosi di metrica fanno derivare la terzina dantesca dalla stanza del serventese composta da tre endecasillabi monorimi più un quinario con una nuova rima che diventa quella dei tre endecasillabi della stanza successiva, e così via. Ma è una derivazione molto alla lontana: quella stanza di serventese può aver suggerito a Dante uno dei possibili modi dell’incatenamento delle stanze; del tutto danteschi sono invece l’esigenza di legare questo incatenamento al numero tre e la straordinaria novità di avere inserito l’elemento della catena, non alla fine, ma all’interno della stanza. Quando una stanza finisce, la nuova c’è già, era già lì – nella rima intermedia – dentro a quella che la precedeva: chi ascolta questo metro prova con l’udito la stessa sensazione che prova con la vista chi vede arrivare sulla battigia le piccole onde che il mare vi porta in una giornata di calma: la cresta della nuova onda si alzava già dentro l’onda che si è appena depositata sulla sabbia e così via. Il poema dantesco, proprio per la forza della terzina, diventa così un succedersi di onde ritmate basate sul numero prediletto dal poeta, il tre.

La costruzione della Commedia si fonda su questo ritmo e ne è determinata. Il più attento (e, a distanza di più di un secolo dalle sue ricerche, ancora non superato) studioso della sintassi dantesca, Giuseppe Lisio, ha verificato che, dei 3422 periodi distribuiti nelle 4711 terzine della Commedia, “soltanto 208 non terminano se stessi o parte intera di sé col metro”[[Giuseppe Lisio, L’arte del periodo nelle opere volgari di Dante Alighieri e del sec. XIII. Saggio di critica e di storia letteraria, Bologna, Zanichelli, 1902, p. 114.]] : una deviazione dallo standard di poco più del 6% che non soltanto non smentisce, ma conferma che la Commedia è il ritmo della terzina, il periodare di Dante (si potrebbe persino dire: il pensare di Dante) coincide nel poema con il succedersi di onde delle terzine.

Danièle Robert

Ecco perché allora ho parlato di “avvenimento” a proposito della traduzione della Commedia da parte di Danièle Robert: perché questa eccezionale traduttrice[[Danièle Robert (a parte le altre sue traduzioni di testi latini – per le quali ha ricevuto premi prestigiosi – e di autori inglesi e italiani contemporanei) è già nota a chi si occupa di letteratura italiana del Due e Trecento per una sua attentissima e bella traduzione delle Rime di Guido Cavalcanti: Guido Cavalcanti, Rime, traduit de l’italien, présenté et annoté par Danièle Robert, Senouillac, vagabonde, 2012.]] si è voluta, una volta per tutte, misurare con questo nodo centrale della questione del ritmo nella Commedia. E, trattandosi di un nodo complicatissimo, ha voluto, invece che scioglierlo, tagliarlo con una decisione non meno risoluta di quella con la quale Alessandro Magno, secondo la leggenda, avrebbe tagliato con la sua spada il nodo di Gordio. Bando a tutti i “trucchi” o i “travestimenti” con i quali, nella storia delle traduzioni francesi della Commedia dal sedicesimo secolo a oggi, in molti hanno tentato di trasferire da una lingua all’altra l’incatenamento della terzina. Danièle Robert ha scelto la soluzione al tempo stesso più facile e più difficile: ha tradotto il poema con le terzine dantesche: quelle che, incatenate con la rima interna, acquisiscono, come ho detto prima, il ritmo di “onde”. “Onde”, in questo caso, di décasyllabes e héndecasyllabes liberamente alternati per rispondere meglio – lo spiega lei stessa nell’Introduzione – alla irripetibile varietà ritmica dell’endecasillabo italiano.

Naturalmente questa scelta – la più facile e diretta – poteva comportare il rischio di una traduzione, per così dire, archeologica o, persino, imbalsamata, mummificata in un linguaggio determinato dalla scelta metrica piuttosto che dalle necessità dello sviluppo narrativo del poema: un linguaggio sedimentato, non vivo, non aderente alla diversità delle situazioni continuamente cangianti proposte dal poema. Qui stava la grande difficoltà, capace di allontanare per secoli i traduttori da questa soluzione. Danièle Robert sfugge però a questo rischio perché, oltre che traduttrice, è una eccezionale ascoltatrice e conoscitrice di musica[[È forse utile ricordare qui la bella biografia di Billie Holiday: Danièle Robert, ‎Les Chants de l’aube de Lady Day‎, ‎Cognac, Le temps qu’il fait, 1993, una biografia che mostra in ogni pagina una straordinaria passione – e una pari conoscenza – da parte dell’autrice verso il ritmo musicale.]]. Nelle sue orecchie ha tanta musica e non ha avuto quindi nessun problema a trovare senza forzature la “musica delle parole” [[Mi permetto di usare qui un’espressione che costituisce il titolo di un mio recente volume di studi letterari, Michele Tortorici, La musica delle parole. Come leggere il testo poetico. E altri saggi, Roma, Anicia, 2015. Nel saggio che dà il titolo a questo libro affronto, per l’appunto, il tema del ritmo nel testo poetico.]] delle quali aveva via via bisogno. Nei versi di Danièle le “onde” delle terzine non hanno mai traccia di goffaggine e neanche del minimo impaccio. Si susseguono anzi con una fluidità talmente naturale che il lettore ne resta quasi sorpreso: si potrebbe dire che non crede alle sue orecchie.

Inferno, Canto XIX, opera di Gianni Testa

Ma c’è di più. Nella traduzione di Danièle Robert la “musica delle parole” si lega spontaneamente con uno stile anch’esso specchio fedele di quello dantesco: fedele persino quando la stessa forma originale di Dante presenta difficoltà non lievi per il lettore italiano. Fedele come una copia? No. Danièle Robert non copia, reinventa. E lo fa con una straordinaria vitalità creativa.

Per avere un primo esempio di questa vitalità non c’è bisogno di aspettare: esso si trova già nel primo verso: “Étant à mi-chemin de notre vie”, con la novità assoluta di “mi-chemin” al posto del “milieu du chemin” di tutte le traduzioni novecentesche[[Nel Novecento solo una traduzione, la prima, non usa l’espressione “milieu du chemin”, ma “moitié de ma route”: è quella di Amédée de Margerie, La Divine Comédie de Dante Alighieri, traduction en vers français, accompagnée du texte italien, d’une introduction historique et de notes explicatives en tête de chaque chant, Paris, chez Bray et Retaux, 1900. Per uno studio completo delle traduzioni francesi della Commedia nel Novecento, si veda: Martine Van Geertruyden, “Le traduzioni francesi della Commedia nel Novecento”, in Critica del testo (Roma), XIV (3, 2011), pp. 203-226. Nel nostro secolo un’altra importante traduzione non usa l’espressione “milieu du chemin”, ma “moitié du chemin”: è La Comédie. Poème sacré (Enfer. Purgatoire. Paradis), édition bilingue. introduction, traduction et postface de Jean-Charles Vegliante, édition bilngue, Paris, “Poésie/Gallimard”, n° 480, 2012.]], non soltanto restituisce con precisione il ritmo di “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, ma introduce il poema con un’espressione avverbiale propria di un lessico corrente, discorsivo, che corrisponde perfettamente alla scelta dantesca del livello “comico” del linguaggio. Non affronto qui, perché non è il luogo, la grande questione di questa scelta dantesca, scelta che fu di stile e di vita, se è vero (come è vero) che a essa corrispose l’abbandono della composizione delle due grandi opere dottrinali che Dante stava allora scrivendo, il De vulgari eloquentia e il Convivio. Ma prendo spunto da questo collocarsi della traduzione di Danièle Robert allo stesso livello lessicale dell’originale per ricordare altre grandi manifestazioni di quella vitalità creativa della quale ho parlato.

Penso alla scelta coraggiosa e bella di Danièle Robert relativa a un altro primo verso, quello del VII canto, il famosissimo “Pape Satàn, pape Satàn aleppe!”: qui la nostra traduttrice approfitta dell’incertezza interpretativa del verso per reinventare con coraggio e impertinenza l’originale in un “Pape Satàn, pape Satàn ahi!” che le consente di acquisire sì il senso dell’“aleppe” dantesco (la prima lettera dell’alfabeto ebraico che quasi tutti i commentatori, in particolare gli antichi, interpretano come espressione di dolore), ma anche di introdurre con la massima naturalezza la serie delle rime di questa terzina iniziale e della successiva. Ci vuole coraggio per la bellezza: e difatti qui il risultato è bellissimo.

Lo stesso si può dire del difficilissimo attacco del canto successivo, l’ottavo: “Io dico, seguitando, ch’assai prima”. Qui Dante usa – e sottolinea – una originalissima tecnica di flashback[[Una tecnica talmente originale per quell’epoca che i contemporanei di Dante non l’hanno capita e si sono affannati a spiegare l’incipit di questo canto con la leggenda secondo la quale il poeta avrebbe composto i primi sette canti a Firenze e avrebbe usato questa formula per sottolineare la ripresa dopo molti anni della composizione del poema.]] ed era assolutamente necessario non trascurare nella traduzione il senso forte delle due parole chiave “seguitando” e “prima”: quest’ultima, per altro, in opposizione all’espressione “al da sezzo” che conclude l’ultimo verso del canto precedente. Danièle Robert, dopo aver assicurato l’ultimo posto nell’ultimo verso del canto precedente all’avverbio “enfin”, colloca in questo primo verso dell’ottavo canto, le due parole chiave nella stessa posizione dell’originale: “Disons, pour continuer, que bien avant”; “pour continuer” resta subito dopo il verbo e “avant”, collocato in fine di verso, continua, nella lingua francese, a contrapporsi all’“enfin” del canto precedente come in una straordinaria eco della lingua italiana.

Mappa dell'Inferno di Sandro Botticelli

È impossibile, naturalmente, seguire passo passo le soluzioni che via via Danièle Robert ha adottato per seguire il ritmo dantesco e restare fedele al suo linguaggio. Ma voglio segnalare, in conclusione, ai lettori italiani e francesi di godere la lettura del XXV canto nei due testi a fronte, l’originale e quello tradotto. Il XXV non è uno dei canti più famosi; ma è uno di quelli nei quali la fantasia dantesca si esprime nel modo più sfrenato e, qui sta il bello, in gara diretta ed esplicita con Ovidio (“Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio”, scrive appunto il poeta al v. 97). Perché qui sta il bello? Perché Ovidio è uno dei poeti amati e tradotti da Danièle Robert e perché, forse davvero trasportata da questa sua passione ovidiana, la traduttrice raggiunge qui uno dei vertici della sua doppia abilità ritmica e lessicale. Uno dei canti più difficili della Commedia diventa così, nella traduzione di Danièle Robert, una specie di spartito per una danza alla quale il lettore sente di dovere in qualche modo partecipare: scommetto che i lettori con l’orecchio musicale più fine si alzeranno dalla sedia per muovere i loro piedi al ritmo dantesco di questa traduzione che, insisto, è davvero un “avvenimento” culturale di dimensione europea.

Michele Tortorici
Da Roma

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Michele Tortorici
Michele Tortorici, originario di Favignana (l’isola più grande dell’arcipelago delle Egadi all’ovest della Sicilia), vive a Velletri, vicino Roma. Uomo di scuola, studioso di storia della letteratura italiana, è poeta e saggista (Cavalcanti, Dante, Petrarca, Leopardi). Dopo la sua prima raccolta di poesia, 'La mente irretita' (Manni, 2008), pubblicata in Francia con il titolo 'La Pensée prise au piège' (Vagabonde, 2010), tradotta da Danièle Robert e con testo a fronte, ha pubblicato altri libri di poesia :' I segnalibri di Berlino' (Campanotto, 2009), 'Versi inutili e altre inutilità' (Edicit, 2010), 'Viaggio all’osteria della terra' (Manni, 2012). Nel 2013 ha fatto il suo esordio in narrativa con il romanzo breve 'Due perfetti sconosciuti', in francese 'Deux parfaits inconnus', tradotto da Danièle Robert (Chemin de ronde, 2014). Nel 2016, ha pubblicato 'La musica delle parole. Come leggere il testo poetico e altri saggi' (Editoriale Anicia). E altri ancora: https://www.ibs.it/libri/autori/michele-tortorici

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