Con Olmi, il cinema italiano perde il suo ultimo grande maestro.

Con Ermanno Olmi se ne va l’ultimo della « vecchia guardia », quella che aveva fatto grande il cinema italiano nel mondo.  Ci ha lasciato ieri 7 maggio 2018 nella sua terra d’adozione, Asiago luogo del cuore come lui amava dire. Parlare di lui è parlare di una gran parte della nostra storia recente, mostrata in immagini indimenticabili e che fanno parte dell’universo cinematografico di noi tutti. Con Olmi ci siamo identificati e molto, nelle sue pellicole a cominciare da « L’albero degli zoccoli » film che, apparso sugli schermi nel 1978, vinse a Cannes la Palma d’oro, come miglior film della rassegna, rimettendo il cinema italiano nel posto nel quale c’era sempre stato.

Tutta la sua produzione cinematografica è intessuta di una poetica asciutta, priva di concessione alla bellezza estetica in quanto tale.  Nel citato « Albero degli zoccoli » ci si entra come chi, curiosi di un mondo (quello contadino) forse soltanto immaginato, lo si ritrova intatto, come preservato dal lento marcire del tempo. Per lui, credente, la « retta via » segnata dalla parabola evangelica non era soltanto una bella fiaba. Ha  foderato i suoi protagonisti di una fede che, seppur semplice, era quello spartiacque che serviva a distinguere il bene dal male, operazione tutt’altro che facile.

Venezia, attraverso il suo Festival, ha saputo riconoscere i molti meriti del regista bergamasco, assegnandoli, nel 1988 il Leone d’oro per il miglior film a « La Leggenda del Santo bevitore » tratto dall’omonimo breve racconto di Joseph Roth ed impersonato dall’attore Rutger Hauer. Alle sciagure di tutti i tempi, quelle delle guerre, Olmi ha dedicato due pellicole. La prima « Il mestiere delle Armi » è un piccolo-grande affresco dove ci ha raccontato quanto avvenne nel lontano 1562 quando le armate lanzichenecche di Carlo V scesero in Italia per minacciare lo Stato Pontificio, difeso da Giovanni De Medici, detto Giovanni dalle bande nere. L’altro « Torneranno i prati« , ultimo suo film, girato nel 2014, racconta di una storia realmente accaduta durante la Grande Guerra sul fronte Nord Orientale, tra le montagne venete, dove giovani soldati italiani e austriaci vissero le loro più atroci giornate.

A Bassano del Grappa nel Vincentino aveva avviato, nel 1982, il progetto Ipotesi Cinema per la formazione di giovani autori cinematografici, che ora porta avanti la figlia a Bologna.

Con la scomparsa di Olmi ci sentiremo un po’ più soli. Quel suo modo di raccontare l’Italia, attraverso personaggi la cui semplicità è anche la nostra, ci ha permesso di ritrovare quella nostra storia di cui non sempre se n’era vista la faccia e che fa parte parte della nostra misura. Appena stemperata dalla fede dei suoi protagonisti, la storia degli Italiani da lui raccontata ha trovato, forse, la sua ricompensa in una speranza, per un domani, che  ci si augura sia sempre migliore. Ed è in fondo anche questo il suo testamento spirituale.

Massimo Rosin

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Massimo Rosin
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.

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