Lido di Venezia. Sembra quasi che le opere cinematografiche proposte in una Mostra così prestigiosa servano soltanto per far discutere e riflettere coloro che di cinema si nutrono e ci lavorano, o semplicemente lo amano come la propria vita. Opere che passando in queste sale dagli schermi giganteschi, ci attraggono al punto che, fuori da questo contesto, sembra che perdano quasi della loro utilità. Vige qui una prossemica di appartenenza, una casta di privilegio, che attornia di fascino anche opere non proprio eccellenti: come “Looking for Grace” dell’australiana Sue Brookse (peraltro unica donna in concorso) che fuori di qua assumerebbe carattere di scarsa originalità. E’ questo un film concepito a forma ciclica, a cerchi concentrici che ritorna sugli eventi quotidiani mediante i diversi punti di vista dei protagonisti.
Quanto al film del giovane californiano Cary Fukunaga, “Bestie senza nazione” (pure in concorso) ci riconduce alla tragica contemporaneità di quanti africani premano alle porte dell’Europa per sfuggire da quell’inferno: un continente senza più nazioni che è l’Africa. Sia da spunto questo film, che affronta la tragedia dei bambini-soldato (eccellente il piccolo protagonista Abram, meritevole della Coppa Mastroianni all’attor giovane), da monito alla comunità internazionale che sappia guardare finalmente con occhi di solidarietà. La conferma ci viene proprio dal giovane regista, il quale avverte “l’urgenza di una soluzione, pur parziale del problema.
Guerre etniche e di religione, traffico di armi e di diamanti, mondi di miseria avvolti in una natura straordinaria”. Il film in qualche sequenza evoca il capolavoro di Coppola “Apocalypse now”, ma forse è un po’ azzardato l’accostamento.
Spotlight di Thomas McCarthy ci conduce invece nel traumatico mondo (da analisi psichiatrica) della pedofilia perpetrata in questi decenni da numerosi sacerdoti di Boston, la città più cattolica d’America, episodi insabbiati da media e società civile per volontà di un potere ecclesiastico marcatamente improvvido verso gli indifesi bambini del sottoproletariato o di famiglie finite, ritenuti sopravvissuti: una storia vera che rende omaggio al coraggio del giornalismo d’inchiesta, genere quasi in via di estinzione; ottima sceneggiatura brillantemente interpretata da attori (italo-americani) come Stanley Tucci e Mark Raffalo. “Ma quali reazioni si attenderà all’uscita del film in Italia, col Vaticano, visto che è una storia vera il cui nefasto “insabbiatore” (il cardinale Law) oggi ricopre un ruolo proprio a Roma?” – “Magari ce ne fossero” -auspica il regista alla nostra curiosità in conferenza stampa. – “Sebbene rimango pessimista che qualcosa accada, e sperando che il Papa lo voglia vedere”. E ribadiamo che “il nuovo corso imposto da Papa Francesco tende proprio a scalfire i vecchi poteri , anche di omertà e di insabbiamento”. “Credo – ci risponde – che il Papa vorrà davvero cambiare le cose, sebbene i poteri consolidati ne ostacoleranno il cammino; se ci saranno risultati arriveranno col tempo”.
Altra breve intervista al regista italo-francese Xavier Giannoli, per il suo esteticamente valido Marguerite, opera ambientata nella Parigi anni Venti, in piena nascita dei movimenti avanguardisti. Ma la protagonista è una aristocratica avvinta dal sacro fuoco del canto. Ma si dà il caso che lei cantasse male e alle sue esibizioni nel suo castello, per beneficienza, gli invitati sogghignano; ma lei lo ignora. E’ straordinaria la protagonista sospesa fra l’innocenza e l’ambizione di sentirsi diva. “Eppure lei si può permettere di credere nella frase (del film) “esistere vuol dire insistere”: è straricca da poter persino sognare e realizzare di cantare in teatro pur non avendo (inconsapevolmente) talento. “Una dimensione – ci fa capire il regista – che può persino apparire “antistorica”, ma per me necessaria per parlare d’amore, di una donna che amava il marito non del tutto ricambiata. Una donna che ha comunque sfidato le convenzioni borghesi del tempo”.
Una riflessione va al film in sezione “Orizzonti” del brasiliano Gabriel Mascaro, Boi Neon: film dai contenuti presuntuosamente antropologici di una realtà contadina e selvaggia; qualcuno all’uscita asseriva: ma come fanno a passare le selezioni film talmente inutili? Il bello di una Mostra è anche questo.
Infine su The Danish girl di Tom Hooper. Breve incontro con il protagonisti : Eddie Redmayne.
Eddie Redmayne, protagonista del capolavoro “The Danish girl” di Tom Hooper (finora il piu acceditato al Leone d’oro), non è attore qualunque; e non perché abbia già un recente Oscar in vetrina per “La teoria del tutto”, ma perché ha modi genuini da vera star. Abbiamo ancora le lacrime agli occhi per la visione del meraviglioso film in concorso, diretto da un ottimo Tom Hooper (peccato per quel foulard in volo del finale…) e si concede per qualche battuta, dopo avere tenuto banco, applauditissimo, in conferenza stampa.
E’ il primo trans della storia, siamo nell’Europa degli anni ’20, riesce a sdoppiarsi nelle personalità maschile (prima) e femminile (poi): “Non è stato facile il duplice ruolo, ed adeguarlo in quella epoca ha avuto ulteriori difficoltà. Ho comunque parlato a lungo con molti trans, disponibilissimi a lasciarmi carpire utili indicazioni per immergermi nella personalità di Lili Elbe, ritenuta all’epoca da manicomio.” Una capacità di trasformismo nella quale un ruolo straordinario ha avuto la coprotagonista Alicia Vikander, adorabile e geniale, moglie impareggiabile che lo ha amato fino alla fine, assecondando la scelta di rischiare la vita per raggiungere il suo obiettivo: essere donna. “Lili ha avuto un amore infinito dalla moglie, nel finale dice appunto: ma che ho fatto per meritare tanto amore? Sono onorato di avere avuto questo ruolo, stimo tanto il regista Hooper, resto incuriosito ed affascinato da questa avventura. »
Auspichiamo riconoscimenti per questo film e per questo attore maestoso.
Armando Lostaglio
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