2 e 3 settembre: alla Mostra l’atteso Frantz del francese Ozon

Fine settimana ricco a Venezia 73a: FRANTZ, film di François Ozon intriga e commuove. Il regista francese riesce con maestria ad entrare nell’animo di una società che dopo la fine della guerra è scissa tra colpa e perdono, ma soprattutto spinta verso il desiderio di ricominciare a vivere all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Paula Beer che con il suo sguardo candido e dolce buca lo schermo offre un’interpretazione da Coppa Volpi. SPIRA MIRABILIS di Massimo D’Anolfi, Martina Parenti apre il concorso dei film italiani a Venezia 73 e propone un documentario alto e ricco di suggestive riprese. E ancora altre proposte, tutte interessanti.

VENEZIA 73

FRANTZ di François Ozon

(Francia, Germania, 113’, v.o. francese/tedesco s/t inglese/italiano) con Pierre Niney, Paula Beer, Marie Gruber, Ernst Stötzner, Cyrielle Claire.

Uscita nelle sale italiane a settembre (il 15 probabilmente), in Francia il 7.

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Di produzione franco-tedesca (e non poteva esser che così, dato il suo bellissimo plot, una sceneggiatura a firma Ozon), il film è uno scavo mirabile nei meandri più oscuri della natura umana, un dramma sentimentale itinerante tra Francia e Germania – e le loro culture e civiltà da grandi popoli quali erano e sono – e coinvolgente esistenze il cui desiderio è solo quello di ricominciare a vivere all’indomani della Prima Guerra Mondiale, in un piccolo villaggio tedesco.

Il dramma storico è sceneggiato, come si diceva, dallo stesso Ozon, ed è particolarmente struggente la sensibilità con cui è riuscito a trattare l’argomento: parrebbe aver usato un modo di pensare tipico di quasi cent’anni fa, quando i sentimenti, il rispetto, l’amore, il perdono, avevan ben altro significato.

Girato in b/n per le scene al presente ed a colori per il passato – una sorta di ribaltamento che tende ad sottolineare gli stati d’animo, il modo in cui la vicenda è vissuta, s’avvale di attori perfetti nei loro ruoli di martiri attivi e passivi di un conflitto che ha ‘ucciso’, forse, più persone, dopo che ‘durante’.

Paula Beer, una fidanzata amata e forse ‘tradita’ omo-sessualmente – ma Ozon non ce lo rivelerà mai, fino in fondo, thriller ed ambiguità si intrecciano finissimamente – Anton von Lucke, il fidanzato ucciso (suicidatosi) in trincea e l’assassino (amante), l’efebico Pierre Niney, forse solo ‘colpevole’ d’amore.

Frantz è glossato anche da una musica meravigliosa, sia la colonna sonora originale, di Philippe Rombi, sia i classici come Chopin e la Sheherazade, di Rimsky-Korsakov. Bellissimo.

(Maria Cristina Nascosi Sandri)

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Venezia 73

BRIMSTONE, di Martin Koolhoven

(Paesi Bassi, Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Svezia, 148′) con Dakota Fanning, Guy Pearce, Emilia Jones, Kit Harington, Carice Van Houten

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Non è un film facile, digeribile, da assorbire con serenità; è un film di quelli che restano, duri da guardare e partecipare alla violenza e al dolore, alla sopraffazione e alla forza della speranza che dà nel finale una svolta, malgrado la scelta della protagonista. È in concorso BRIMSTONE di Martin Koolheven, regista originario dei Paesi Bassi (classe 1969), che rilegge gli albori della nazione americana come una epopea della sopravvivenza, nella violenza più atroce, nelle terre più rudi e selvagge del vecchio West. Un racconto di donne subalterne al sistema maschilista nel quale sono in continua lotta per affermare la propria esistenza, nonostante la considerazione ai limiti del nulla. E c’è la Bibbia, in un ciclo che fa dei racconti l’allusione ad una fede che poi diventa parodia di se stessa, nelle brame interpretative di un pastore di anime che sembra il Male nella sua interezza. Capace di reintrpretare i passi biblici a vantaggio soltanto della sua pervesione. _ Una lotta fra bene e male, fra volonta di sopravvivenza e teoria di morte esopraffazione. Ecco perché appare un racconto un po’ blasfemo. Ma il regista ci risponde che non ha voluto esserlo, l’essere blasfemo sta nella rudezza stessa di una vita vissuta in un mondo selvaggio e senza regole.

L’eroina è Liz, plasmata dalla bellezza delle terre desolate (fotografate in maniera eccellente), perseguitata da un terribile Predicatore (Guy Pearce, straordinario) diabolico e fanatico, che tradisce la sua stessa fede. Ma Liz è una sopravvissuta, non una vittima – una donna di impressionante forza, che risponde con stupefacente coraggio al desiderio di una vita migliore, che sia lei sia sua figlia meritano di vivere. Senza paura, perché la vendetta è vicina. Liz (Dakota Fanning, superlativa) appare di una dolcezza rara mai dimessa che contrasta con l’inferno cui l’ha relagata il destino. Ma sarà nelle ultime parole del predicatore che brucia la essenza stessa del film: il dolore non è bruciare nelle fiamme dell inferno ma nella assenza di amore.

La violenza del film richiama vagamente l’ultimo Tarantino, ma ci confida pure il regista che il suo West respira anche quello di Sergio Leone.

(Armando Lostaglio)

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VENEZIA 73

SPIRA MIRABILIS di Massimo D’Anolfi, Martina Parenti

(Italia, Svizzera, 121’, v.o. iakota/inglese/svizzero-tedesco/giapponese/francese s/t inglese/italiano)

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Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, coppia di documentaristi, ed anche nella vita – loro è “L’infinita fabbrica del Duomo” (2015) racconto poetico dedicato ai secoli di attività occorsi all’uomo per realizzare e mantenere il Duomo di Milano – aprono il concorso dei film italiani a Venezia 73 con “Spira Mirabilis”.

Gli elementi fuoco, terra, aria e acqua vengono rappresentati attraverso quattro scenari. Il fuoco è visto attraverso la vita e i riti della comunità dei pellerossa Lakota Sioux nella celebre località di Wounded Knee nella riserva di Pine Ridge, nel Sud Dakota. Essi cercano di resistere, nonostante la società li voglia integrare. La terra è vista attraverso il lavoro in una cava di marmo e sulla lavorazione delle statue del Duomo di Milano sottoposte a una continua rigenerazione. L’aria segue a Berna i musicisti Felix Rohner e Sabina Schärer, inventori di originali strumenti musicali a percussione ricavati da strutture di metallo laminato. Infine l’acqua, attraverso le analisi scientifiche di un biologo marino giapponese, Shin Kubota, che da anni studia la “Turritopsis nutricula”, una piccola medusa immortale. La voce dell’attrice Marina Vlady accompagna questo viaggio declamando a tratti il racconto “L’immortale” di Jorge Luis Borges, presente nella sua raccolta “L’Aleph” (1949-1952), testo che porta a riflettere sulla vita e sull’immortalità.

Ne risulta un documentario alto, ricco di suggestive riprese, però di difficile interpretazione se non spiegato, con scene a volte troppo lunghe, altre intercalate da immagini in super8, oppure da visioni ricavate da un potente microscopio sotto la cui lente si osserva la vita delle minuscole meduse. Ne risulta un lavoro un po’ troppo pretenzioso e stancante; per spettatori in grado di resistere alla visione per due ore, talmente curiosi da voler entrare nel cuore delle cose.

(Andrea Curcione)

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VENEZIA 73

NOCTURNAL ANIMALS di Tom Ford

(Usa, 115’, v.o. inglese s/t italiano) con Jake Gyllenhaal, Amy Adams, Michael Shannon, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher, Laura Linney

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Tom Ford si conferma autore e regista di grande talento. Non solo per la riconosciuta visionarietà. Per la ricerca artistica di composizione della inquadratura (i corpi delle due donne stuprate ed uccise su un divano di velluto rosso in pieno deserto è un fotogramma da antologia). Ma anche per la sapiente costruzione del plot. Per la direzione degli attori, in grandissimo spolvero. Per le invenzioni cinematografiche. Per i vari livelli di lettura possibili dell’opera (raffinata la coniugazione del celeberrimo detto secondo il quale la vendetta va servita fredda, a distanza di 20 anni nella specie). Assolutamente da non perdere.

(Catello Masullo)

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FUORI CONCORSO

THE BLEEDER di Philippe Falardeau

(Usa, Canada, 101’, v.o. inglese s/t italiano) con Liev Schreiber, Naomi Watts, Elisabeth Moss, Ron Perlman, Jim Gaffigan, Pooch Hall.

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Del regista canadese Philippe Falardeau avevamo apprezzato la pellicola “Monsieur Lazhar” (2011) adesso alla Mostra di Venezia viene presentato, fuori concorso, il suo ultimo film “The Bleeder”, (letteralmente, l’ emofiliaco) l’appellativo col quale veniva chiamato il popolare pugile del New Jersey Chuck Wepner (qui interpretato con bravura dall’attore Liev Schreiber) che divenne famoso tra i pesi massimi negli anni Settanta perchè resistette 15 round contro il più grande pugile di ogni tempo, Muhammad Ali. La sua è stata una vita difficile. La sua storia, sia sportiva che privata, fu alquanto turbolenta, tuttavia ha ispirato la serie Rocky, che ha registrato incassi record di miliardi di dollari. Nei suoi dieci anni sul ring Wepner subì due K.O., otto rotture del naso e 313 punti di sutura. Le sue lotte più dure furono quindi fuori del ring, dove condusse una vita epica fatta di continui litigi e separazioni con la moglie Phyllis (l’Elizabeth Moss, conosciuta dalla serie “Mad Men”) droghe, alcol, donne spregiudicate, incredibili successi e drammatiche cadute. Un film sul pugilato, ma soprattutto su un pugile vero degli anni Settanta, girato con uno stile alla Cameron Crowe, dove la musica, il design, gli abiti allora di moda sono ricreati con attenzione. Bravi tutti gli attori comprimari, da Ron Perlman nella parte del “coach” di Wepner, alla barista Naomi Watts, in una parte breve ma intensa. Da vedere.

(Andrea Curcione)

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Cinema nel giardino

IN DUBIOUS BATTLE di James Franco

(Usa, 110’, v.o. inglese s/t italiano) con Bryan Cranston, Ed Harris, James Franco, Josh Hutcherson, Nat Wolff, Robert Duvall, Sam Shepard, Selena Gomez.

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L’attore e regista statunitense James Franco (che nel 2014 aveva presentato a Venezia l’adattamento del romanzo di Cormac McCarthy “Child of God”) adesso presenta alla Mostra del cinema l’ultimo suo lavoro “In Dubious Battle” tratto dal romanzo di John Steinbeck “La battaglia” (1936). Nel periodo della Grande Depressione, nei campi di mele della California, 900 lavoratori stagionali insorgeranno contro i proprietari terrieri dopo essere stati pagati solo una frazione dei compensi concordati. Il gruppo si animerà di una vita propria, più potente dei suoi singoli membri, e più spaventosa. Capeggiati dallo sventurato Jim Nolan (l’attore Natt Wolff) lo sciopero si basersà sul suo tragico idealismo, sul “coraggio di non sottomettersi mai, di non cedere”. James Franco interpreta il ruolo di Mac McLeod un giovane comunista che lotterà nei campi a fianco dei lavoratori sfruttati. Un’ottima fotografia (Bruce Thierry Cheung) e un buon montaggio, compreso un favoloso cast di comprimari, da Ed Harris a Robert Duvall, Sam Shepard, Bryan Cranston e Vincent d’Onofrio fanno di questo film un’opera intensa e drammatica. Da vedere.

(Andrea Curcione)

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