Rubrica Un libro Una città. Il libro è «Stradiario genovese. In giro per Genova attraverso una città che non ti aspetti». Scritto da Gianni Priano, illustrato da Simona Ugolotti. Edizioni Pentagora. Fresco di stampa. La scelta della città e il commento sono di Maurizio Puppo.
Brano tratto dal libro:
Vico dell’AMORE
Amore di cosa? Uno si chiede. Che pochi caruggi sono più pestilenziali, per piscio e rumenta, di questo che, tra i tanti, unisce un pezzo di Via Prè a un pezzo di Via Gramsci? Come li vogliamo, noi zeneizi di mezza tacca (impiegatucci, tabaccanti, gestori di baretti minuti, operai, insegnanti, vigili urbani) i vicoli? Ristrutturati, bonificati, derattizzati, bellimbustati, con un paio di affabili poliziotti di quartiere, privati (o alquanto ridotti) di magrebini, senegalesi, nigeriani, ecuadoriani? E via lo sexy shop in Sant’Elena, fuori dalle scatole i kebabari. Ci stiano, al loro posto, la tripperia, il posticino vegano, una bocciofila, la fiorista napoletana, il panettiere di Di Negro, la creperia francese, l’hamburgheria di qualità, due latterie con dentro il Decimonono e il Corrierone, un cinemino d’essai, la pescheria, la mini-libreria, due edicole, il pub dove si suona il jazz ogni venerdi sera, l’enoteca, la farmacia, la piadineria e un piccolo hotel de luxe. Una Prè colorata di azzurrino, rosetto, verde pisello, giallo limone, rosso amarena, arancio carota, viola melanzana, grigio perla, bianco latte. E stipiti d’ardesia. Una statua in ulivo di Edoardo Firpo e una in acciaio di Edoardo Sanguineti. E Vico dell’Amore lo si potrebbe lavare con acqua di mare, prima, poi farlo benedire da don Gino (don Pino, don Rino, don Mino, don Tino), il prete che lottò, in valle Stura, contro un club privè appena avviato. E ammantare il suolo ripulito con nobili ciappe. E dare alle grate un meritato antiruggine. E vasi di lavanda, appesi. E antica luce di lampione, nei tardi pomeriggi invernali. Odore di salsedine, farinata, vino novello che schiuma dalle damigiane dell’Ostaja do Re de dinè. Un gotto 5 euro. Tre gotti 10. Con stussichino de fogassa do Prian de Utri: agrati. Le case, con appartamenti di tutte le misure (rifondate, micropalizzate, deumidificate, ristoricizzate), accattate a peso d’oro dai commercialisti di Busto Arsizio, dalle imprenditrici di Saronno, dagli orefici di Lugano, dai macellai di Monaco di Baviera, dai dentisti di Tortona, dai registi di Milano e Roma, dai giornalisti di Bergamo e Brescia, dai vignaioli di Barolo, dalle psichiatre di Pavia, da attrici e attori di Frisco e Parigi. Ci piacerebbero più così i nostri caruggi fecali, orinati, topivaghi e negri fino all’osso? A noi piccolo borghesi che compriamo alla Ekom e al Basko perché la Coop, Dio bonino, è un po’cara. Voi non so ma io non la voglio una Zena infighettà comme un ciocolattìn. Me la tengo così. Genova, Prè, Vico dell’Amore. E l’amore. A me della città (e della vita, del pensiero, del tran tran quotidiano) piace l’odore ascellare. Come più o meno dice Enrico Testa. E quello della merda dei cani insieme al profumo di una grappa di troppo. Come – precisamente – scriveva Antonio Erbetta.
(Gianni Priano)
COMMENTO DI MAURIZIO PUPPO:
Genova dello Stradiario (Genova fuori orario)
Adesso pare si debba ragionare in termini di popolo vs élites. Va bene. Allora la dico così. Peggio del turista-popolo (cappellino, calzini bianchi, dietro una guida. Subisce passivamente), c’è solo il turista-élite (prepara il viaggio. Veste casual-chic. Legge i libri che bisogna leggere. Sceglie. È consapevole. Fruisce attivamente).
Il turista-élite, se non temessimo di esagerare un po’, potrebbe essere definito il male assoluto. Esempio. Genova fino a un po’ di tempo fa non se la filava nessuno. Un po’ il carattere scorbutico di noi liguri. Un po’ che era sporca, disordinata. Poi boh. Tra un “evento” e l’altro è diventata di moda. Affighettata. Pesto-etnica. Mugugnon-turistica. Al punto che in Francia Le Monde un po’ di anni fa ci ha fatto il paginone: Gênes di qua Gênes di là. E via con l’indotto turistico, “la nostra grande risorsa”, che “andrebbe valorizzata di più”, come dicono i bravi politici. Il francese turista-élite, dopo aver letto il paginone, per preparare il viaggio rompe le scatole indovinate un po’ a chi? A me. “Morisiò (sic), je viens à Genòoova” (pronunciato alla Stanlio e Ollio: con accento sulla o. Non pretenderete mica che un francese cresciuto a parole tronche riesca ad azzeccarne una sdrucciola? Genòooova. Chiuso). Qu’est-ce qu’il faut voir à Genòooova? Cosa bisogna vedere?
Il turista-élite non corre rischi: pretende il meglio. Esige le cose belle e intelligenti. I ristoranti “tipici”. La via resa celebre dalla canzone (“Via del caaaaaampo…”), e adesso (decisione recente) il largo nel borgo di Boccadasse intitolato a Camilleri. Perché la fidanzata del commissario Montalbano abita(va) lì. Atto necrofilo di promozione turistica: Camilleri quasi non aveva ancora esalato l’ultimo respiro che ne veniva sfruttato razionalmente il decesso. (Una volta, tanto per dire, avremmo aspettato che ne so, 48 ore, prima di gettarci sulle spoglie del defunto. Adesso nemmeno quelle).
Insomma, de André in via del Campo (“c’è una graziooosa”) e Camilleri fresco defunto (se così si può dire) rappresentano già un bel percorso genovese ideale del turista-élite.
Se il turista-popolo può rivelarsi critico e disfattista, nella sua ignoranza localistica (“quello che volete ma qui in Cambogia l’amatriciana fa schifo, lo dico sempre io che bene come in Italia non si mangia da nessuna parte”), va detto che il turista-élite non tollera che la sua vacanza (lui dirà “viaggio”) sia meno che “straordinaria”. Unica. Esclusiva. A me chiedono di segnalare gli itinerari “senza turisti” (bravi furbi: appena ci andate, secondo voi cosa diventano?), « fuori dai sentieri battuti » (e giù citazioni pedanti e inopportune, da profilo Facebook, di Robert Frost, “io scelsi la strada meno conosciuta…”). In quel caso faccio così: prendo Google e digito una cosa del tipo “mangiare abbastanza male Genova”. Le prime tre cose che escono, le consiglio ai miei amici francesi, dicendo loro: è cosa da eletti, roba da conoscitori, palati fini. Per pochi. Loro sono entusiasti. Merci Morisiò. Ah ouais tu vois. Il faut s’y connaître!
Al ritorno mi dicono: merci, c’était S U P E R! Perché nel milieu sociale del turista -élite è obbligatorio che le vacanze (pardon, “i viaggi”) siano fantastiche. Essi (i turisti-élites) comprano un prodotto (per di più caro come il sangue) e quel prodotto non è Genova o che ne so io; è il prestigio sociale del loro viaggio. Come diceva il bravo Marc Augé (etnologo, antropologo, qualcosadicomplicatologo insomma), il turista (anche quello, come me, che si crede viaggiatore) cerca solo di ri-trovare qualcosa che corrisponda a ciò che già conosce.
Se invece volete non sapere dove andare (citazione di Baglioni involontaria. O almeno preterintenzionale), Genova la ri-trovate, o la perdete di vista, la smarrite, non la trovate, in questo libro. «Stradiario genovese». Scritto da Gianni Priano e illustrato da Simona Ugolotti. Edizioni Pentagora. È appena uscito. Io non l’ho ancora letto e mi è piaciuto moltissimo. Me ne vado per le strade strette scure misteriose (diceva il poeta. Campana. Quello matto). E qui ci sono le strade di Genova. Genova vecchia ragazza (pazzia vaso terrazza). Genova di dolori misteri e strade che non portano da nessuna parte (perché cos’è il centro di Genova se non un labirinto senza senso e senza scopo come la vita e l’universo dei silenzi eterni di Pascal). La Genova dove stava Nietzsche (ma non ditelo, sennò ci fanno la targa per sviluppare il turismo superomistico), che da Salita delle Battistine andava a Villetta Dinegro. Dove le studentesse vanno a prendere il sole con la camicia aperta sulla pelle sudata e gli uomini a cercare quello che non trovano nel mondo che hanno già (ma non ditelo sennò fanno il villaggio del turismo voyeur). E il Baciccia con il Giuanìn che gioca a carte e beve vino e bestemmia il signore Iddio. Le strade dove puoi girare per ore e giorni e per sempre per non sapere dove sei, la Genova negra delle poesie di André Frénaud e delle mattine nei giardini mal frequentati, quella che non piaceva mica tanto a Montale (che ci era nato), e per niente a Dickens; che a noi genovesi piace un giorno sì e uno no. Soprattutto quello no. Le strade dove non tutto è bello e non tutto è santo. Dove non tutto è « super » e impacchettato pronto all’uso come esige il turista-élite nel suo viaggiare intelligente. Le strade che ci parlano di miserie e di Gesù, di odor di piscio e di impiegati, puttane-sante e Madonne impigliate, di un Dio debole che forse ci vuol bene (anzi senz’altro), ma ormai è passato tanto tempo e cosa ci vuoi fare? Anche nelle strade genovesi, Dio è invecchiato e vorrebbe la pensione. Solo che per via delle riforme deve aspettare. E allora lo vedete anche voi che è vero? Si cammina, per lo stradiario genovese, non per trovare: ma per ri-trovare quel che non abbiamo mai avuto. Per dire, come Caproni: non c’ero mai stato, mi accorgo che c’ero nato.
Maurizio Puppo
«Stradiario genovese» (di Gianni Priano e Simona Ugolotti, Pentagora)