Repressione, democrazia e sinistra.

A proposito delle violenze successe nelle manifestazioni dei gilet gialli a Parigi, fra i diversi gruppi di simpatizzanti ed elettori della sinistra si è aperto sui social un dibattito che a chi non è di quell’area politica, apparirà quanto meno « venusiano ».

A fianco alle diverse analisi sulle ragioni dei gilet gialli e su chi sono e se la loro rivolta è sincera o almeno in parte manovrata da chi ha interesse alla caduta di Macron e magari ad infliggere un nuovo colpo all’Europa, si è palesato con pudore, reticenza e finanche un fastidio il tema, non marginale, della difesa della democrazia e quindi della repressione di queste manifestazioni violente nel cuore della Parigi più cara ai parigini e ai tanti turisti che ogni giorno arrivano ad ammirarla.

Arrivati al tema repressione nel nome della difesa della democrazia, delle sue istituzioni e della gente che va protetta, nel proprio corpo e nei propri beni, si assiste al solito contorcimento dialettico e linguistico di intellettuali o pretesi tali della sinistra, specie fra quei militanti e simpatizzanti di più vecchia data.

Emmanuel Macron

Eppure, a stroncare le velleità rivoluzionarie dei gilet sono arrivate anche le autorevoli parole di chi ha contribuito a fare la storia della sinistra, almeno quella francese, come Cohn Bendit che ne parla come di un movimento sovranista, fondamentalmente reazionario e anche un po’ razzista. E già, curiosamente i gilet dovrebbero essere il movimento dei poveri, di coloro che non arrivano a fine mese, di quelli che non ce la fanno più con le tasse, eppure della comunità araba e di colore nelle loro file neanche l’ombra.

Ogni sabato, da un mese, i cittadini si fanno il segno della croce, metaforicamente parlando, e si barricano in casa a guardare alla tele tutte le distruzioni minuto per minuto. Nella sinistra il tema della salvaguardia dei diritti e dell’incolumità dei cittadini fatica a prendere piede. Per alcuni, non pochi, ammettere che la polizia con ragione debba intervenire anche duramente, costa molto. Dietro a tanta reticenza c’è tutta una storia insurrezionale che dai socialisti agli anarchici ha caratterizzato quel mondo almeno fino alla fine della seconda guerra mondiale. Mai con la polizia, confusa da sempre non solo con il potere, ma con il capitale e poi con gli odiati fascisti, spesso protetti proprio da loro. La sinistra nel suo percorso ha fatto tanto per evolversi, fino a diventare pacifista, democratica, si è data un profilo istituzionale e in tempi recenti ha abbandonato la vocazione oppositoria per l’assunzione di responsabilità governative.

Oggi più nessuno grida che: “Lo stato borghese si abbatte e non si cambia” ma queste reticenze e i conseguenti ragionamenti arzigogolati, sono figli di quella cultura che ha profonde radici specie in coloro che hanno vissuto l’epopea delle grandi ideologie di massa.
Ed ecco che si tentano improbabili distinguo. Chi a sinistra chiede una repressione più decisa viene marchiato a fuoco culturalmente parlando, da amici e compagni, come sostenitore di Putin o di Erdogan, ma la realtà è molto più banale.

Nei “venusiani” dialoghi della sinistra c’è stato chi è arrivato a dire che non è colpa dei gilets jaunes ma dei casseurs infiltrati. Verissimo, ma chi si assume la responsabilità di manifestare, si assume anche la responsabilità di vigilare su chi viene alla manifestazione (un tempo esistevano per questo i servizi d’ordine) e comunque alle prima avvisaglie di incidenti se si è incapaci di reprimere gli infiltrati, gli organizzatori dovrebbero sciogliere l’adunata, non restare in mezzo ad impedire il franco intervento della polizia. Qualcun altro ha fatto notare che a volte le minoranze hanno ragione. E che dubbio c’è! Ma questo non autorizza a tenere incarcerati a casa la maggioranza, mentre fuori divampano incendi, violenze e saccheggi.

La democrazia consente di manifestare, di proporre anche forme dure di disobbedienza civile, esistono gli scioperi, esistono gli estremi scioperi della fame. Gandhi libero’ il suo paese dal colonialismo senza accendere neanche un fuoco per riscaldarsi le mani nelle umide notti indiane.

Parigi Champs-Elysées 24 novembre 2018 – copyright Lucas Cringoli photographe

La polizia, in tutte le sue articolazioni, è stata costituita, da sempre e con qualunque regime, con il preciso compito di prevenire e reprimere le attività criminali. Quando la prevenzione non è sufficiente, come nell’ultimo sabato, dove da subito si è proceduti a perquisizioni e fermi di dimostranti armati di tutto punto per ferire persone e danneggiare cose, occorre reprimere per difendere proprio le persone, la loro libertà e la loro incolumità, per proteggere non solo le attività economiche e i beni di queste persone ma anche il patrimonio (già danneggiato nelle scorse settimane) che è memoria della storia patria francese.

Quando si reprime non dovrebbe esserci differenza tra Erdogan, Putin e Macron. La repressione è repressione (eticamente non esiste una cattiva repressione e una buona) e la sua definizione è quella di: esercizio di una forza prevalente nei confronti di chi esercita atti o delitti finalizzati al sovvertimento dell’ordine pubblico, al danneggiamento di persone e di cose”. Reprimere ha anche l’indubbio scopo di impedire per il futuro il ripetersi di nuove aggressioni perpetrate da dimostranti violenti.

Reprimere è un metodo non un fine. E’ certo che i fini di Erdogan, Putin e Macron sono ben diversi fra loro. Non è banale dirlo, visto quello che si legge nei social, che i primi due reprimono anche manifestazioni pacifiche e il semplice dissenso solo allo scopo della conservazione delle proprie dittature, Macron se reprime, per ora non con grandissima efficacia, è solo per proteggere i cittadini francesi, la società e le istituzioni democratiche.
Una cosa lapalissiana, specie se si considera che in Francia, nel nome della democrazia, si sono mozzate teste ed in Italia per il ripristino di questa non si è esitato ad appendere a Piazzale Loreto di Milano per i piedi il dittatore, l’amante e i suoi principali gerarchi.

24 novembre Parigi
Copyright Lucas Cringoli photographe

Questo sostegno all’attività di polizia, che per tutti è scontata e che dovrebbe essere un assunto per tutte le forze democratiche al fine di rassicurare i francesi e non solo, viene invece, per una consistente parte della sinistra, elusa in estenuanti distinguo e dissertazioni sulle parole, se fosse, ad esempio, accettabile l’espressione “buonista” per accusare l’immobilismo della polizia nel sabato precedente. Se questo termine fosse o meno di destra, come se il punto fosse questo e non i roghi che divampano al centro di Parigi. Tutte astrazioni compulsioni e appunto contorcimenti per non dire che è finanche banale che la polizia debba difendere lo stato democratico e i suoi cittadini con ogni mezzo da un orda di centinaia di violenti che bruciano e saccheggiano negozi, case e automobili, per liberare i cittadini barricati ogni sabato nei loro appartamenti, per consentire a chi lavora, anche di Sabato, di poter rientrare a casa in sicurezza.

E’ un vecchio vizio di una vecchia sinistra, questo pudore imbelle ed ipocrita, questa mancanza di realismo, che alla fine lascia proprio alla destra (che spesso origina queste violenze) non solo termini più o meno efficaci come il “buonismo” ma finanche parole come ordine pubblico, repressione, libertà, patria, sicurezza, responsabilità, rispetto e tante altre ancora.

Questo caso dei social e della sinistra è la cartina di tornasole che spiega il perché tante persone ed elettori si siano allontanati da una sinistra, che appare incapace di sfuggire alle sue astrazioni, sia quando parla di povertà, di periferie, di istruzione, di lavoro, che quando parla appunto della difesa dei propri valori, di protezione della comunità democratica. I comuni cittadini, quelli che non si perdono in avventurose dissertazioni semantiche, ma che magari il sabato vorrebbero uscire con i propri figli, senza vedersi bruciare la propria auto, forse acquistata a rate, hanno difficoltà a capire tanto contorsionismo dialettico.

Oso dire che la sinistra di oggi dovrebbe avere il coraggio di proporre (come avvenne, con le dovute differenze, negli anni di piombo contro le Brigate Rosse) una contro-manifestazione a sostegno del vivere civile, della libertà, contro la violenza e a sostegno delle istituzioni democratiche, altro che l’analisi del temine “buonismo”.

Poi, è evidente che il compito della politica è capire fenomeni quali furono i « Forconi » da noi alcuni anni fa e oggi i « Gilet Gialli » in Francia, cercando di dare risposta ad un malessere sociale che indubbiamente esiste e cercando di sottrarre chi, in buona fede, esprime questo disagio anche in forme così estreme, dalle strumentalizzazioni di forze populiste ed estremiste, come la destra lepeniana e non solo, che puntano al sovvertimento proprio dell’ordine democratico.

È certo che la sinistra deve riavvicinarsi molto più a quei cittadini che soffrono oggi di uno stato di diseguaglianza e lo deve fare proprio con l’arma della mediazione politica, in primis ricostruendo la sua credibilità, facendosi anche veicolo di cultura e coscienza politica della quale assenza beneficiano i populisti di turno, ma per farlo bisogna uscire da salottiere dissertazioni astratte e cercare di entrare nella realtà delle cose, magari cominciando a chiamare le cose con il loro nome senza farsi prendere per questo da crisi epilettiche.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Sono pienamente d’accordo con Nicola Guarino. A forza di semplificazioni politiche si è arrivati a visioni totalizzanti. Qual’è l’universo mentale e sociale verso il quale queste ‘rivolte’ avanzano ?
    Detto ciò i democratici devono ristudiare il proprio vocabolario e la capacità di analisi del sociale. L’ultima campagna elettorale è stata una summa di errori, un capolavoro di retorica non persuasiva.

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