Presente a Parigi il libro di Francesco Saraceno: “Oltre le banche centrali”. Alcune valutazioni economiche.

La pubblicazione del libro “Oltre le banche centrali: inflazione, disuguaglianza e politiche economiche” di Francesco Saraceno (Professore di economia alla LUISS e a Sciences Po) nell’agosto 2023 (LUISS University Press) è opportuna in quanto avviene dopo che i dogmi sull’indipendenza dai governi delle banche centrali sono stati rivisti in seguito al covid e alla guerra in Ucraina.
Quest’indipendenza era tra l’altro rappresentata dalla scelta di Francoforte anziché l’allora capitale Bonn come sede della Bundesbank, sul cui esempio era stata di nuovo scelta Francoforte anziché Bruxelles come sede della Banca Centrale Europea. E quest’indipendenza difendeva e difende il suo compito prioritario di non aumentare oltremisura la circolazione monetaria per mantenere stabili i prezzi, compito al quale alla Federal Reserve a Washington si affianca di norma (tra gli altri) quello degli sviluppi ai fini del migliore mantenimento dell’occupazione.

Francesco Saraceno

Ecco allora che la Federal Reserve ammette a questo fine una leggera inflazione da domanda, ossia dovuta alla maggior domanda di prodotti che ne stimoli l’aumento di produzione e dunque dell’occupazione, mentre la BCE sia per quella da domanda che per quella da offerta (contrazione di questa che ne aumenta i prezzi) cerca ancora di mantenere prioritaria la stabilità dei prezzi e, perciò, il contenimento della circolazione monetaria. Ed ecco allora che dichiara che i rialzi dei tassi d’interesse a questo fine sono decisi anche per prevenire gli ulteriori rischi di aumenti dei prezzi dovuti alle minori quantità delle fonti energetiche da est in seguito alla guerra in Ucraina.

La rigidità di queste politiche monetarie è inoltre apparsa tantopiù necessaria quantopiù sono scomparse le altre rigidità del passato: parità con il dollaro come moneta di riferimento; parità delle monete con l’oro o gli altri sistemi di riferimento (diritti speciali di prelievo ovvero accordi di Bretton Woods, ecc.), e ha dunque mantenuto i sistemi stabili anche evitando o contenendo le svalutazioni competitive (decise o di mercato) e, per reazione, i rialzi dei tassi competitivi oltremisura che a loro volta danneggiano ulteriormente la fiducia degli investitori nei sistemi stessi.

Ma tanto questa rigidità è stata cieca di fronte alla quantità monetaria in più rispetto a quella per lo scambio di beni e servizi che serve, oltreché per gli investimenti, a incentivare la domanda e dunque la produzione di questi beni e servizi e, così, l’occupazione (“in soffitta” Keynes e la curva di Phillips: relazione inversa tra variazioni di salari e prezzi e tasso di disoccupazione), quanto per sostenerla i monetaristi (Friedman) hanno attribuito ad altre cause le precedenti crisi: come la grande depressione in USA fino al 1931, dovuta altresì al mancato sostegno della FED alle banche nel dare loro la liquidità che evitasse il panico e dunque la sfiducia sfociata (indipendentemente dai tassi d’interesse) nei fallimenti.

Rigidità, infine, che quando è venuta meno dopo che erano venute meno anche le altre (parità dei cambi parzialmente sostenute anche con il ricorso alle riserve della propria banca centrale, dilatazioni – anche come conseguenza della guerra del Vietnam- dei deficits e debiti pubblici oltre i criterî di allora legati ai PIL, crisi petrolifera, ecc., dunque dilatazione dei tassi d’inflazione e interesse fino a due cifre), per reazione ha costretto la FED (Volcker) dal 1981 (con Reagan) a combattere l’inflazione prima della recessione che così a quel momento ha aggravato ancora la disoccupazione (curva di Phillips intanto impolveratasi!). La “moderazione” del sistema (inflazione controllata, perciò tassi d’interesse ragionevoli, conseguenti investimenti, occupazione) è allora apparsa in un arco di tempo più ampio, in coincidenza con un’ulteriore globalizzazione dell’economia fino al punto di accomunarne di più i principî, come quello dell’indipendenza anche della Banca d’Italia dal Governo (1981), e a fortiori i principî nella zona europea destinati poi a convergere verso l’Euro (anche la moderazione aveva dimostrato di avere tuttavia le sue ombre, per esempio nel periodo di stagflazione in Giappone).

L’indipendenza delle banche centrali non vieta loro, tuttavia, di rimediare ai problemi locali. Come la FED era per esempio intervenuta con la liquidità nel 1970 nella crisi della compagnia ferroviaria Penn Central, o nel 1974 in quella della Franklin National Bank di Sindona (o in quella della Chrysler, anche se criticata per i relativi successi che tuttavia hanno evitato danni maggiori, tra cui la sfiducia e il panico), così gli interventi di storia recente insieme ai Governi nella crisi dei subprimes hanno ugualmente evitato danni maggiori. Bruxelles e Francoforte continuano a distanziarsi, ma come i circuiti di crisi sono divenuti dappertutto subito contagiosi, così ogni reazione non concordata tra l’UE e la BCE (mantenendo il più possibile la stabilità monetaria) li alimenterebbe ormai anziché ridurli o spegnerli. Così è stato al momento della crisi della Grecia (il mancato aiuto o l’uscita dall’Euro sarebbe stato dannoso oltreché per i greci, di riflesso e non solo politicamente perfino per i tedeschi che sono al centro del sistema integrato), e così Draghi è infine giunto alla dichiarazione del “whatever it takes” alla BCE per iniettare con l’acquisto di titoli le liquidità come ossigeni al corpo complessivo sfiatato poi anche dal covid.

Nel frattempo le integrazioni e interdipendenze anche all’interno dei sistemi del credito hanno altresì eliminato le distinzioni tra banche di deposito e banche d’affari e i rispettivi corpi normativi (esempi: 1999: abolizione ai tempi di Clinton del Glass-Steagall Act del 1933; in Italia: “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” del 1994 che viene dopo la Legge bancaria del 1936 che aveva separato gli istituti “di credito ordinario” e quelli di “credito a medio e a lungo termine”, e che precede il “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” del 1998), originariamente con l’intenzione di estendere la circolazione monetaria all’interno dei sistemi stessi, e successivamente con quella di far crescere gli altri organi (Consob come gli organi equivalenti in Europa) nella vigilanza delle intermediazioni finanziarie, moltiplicatesi con l’espansione dei fondi e delle rispettive società che le determinano.

Tutto ciò, ancora più integrato non solo negli ambiti della BCE o dell’UE ma in quello occidentale, non ha tuttavia impedito il rischio che nel 2007-2008 la crisi dei subprimes, effetto dei ridimensionamenti reciproci delle speculazioni immobiliari e di quelle dei contenimenti dei tassi, s’integrasse pure (come poi il covid) dappertutto; rischio allora (come l’estensione dei fallimenti bancari sull’esempio della Lehman Brothers) in gran parte evitato con quello d’un rialzo dei tassi tale da danneggiare non solo i debitori paralizzando il sistema, ma il sistema stesso in preda al panico per le ulteriori speculazioni al ribasso dei capitali: i quali, diminuendo così, avrebbero potuto a loro volta ancora alimentare la speculazione al rialzo dei tassi. E fino al “crack” che, anziché del sistema, è stato successivamente quello delle altre banche che erano maggiormente contagiate da questo virus speculativo (esempio: le filiali di quelle straniere negli USA come il Credit Suisse fino al suo danno totale, o come altre costrette a pagare altri conti anche fiscali lì).

Ecco dunque che in ambedue le parti dell’Atlantico la manovra dei tassi da parte delle banche centrali per contenere la circolazione monetaria e così l’inflazione, anche rimanendo queste banche indipendenti, si è dimostrata ancora di più insufficiente che nel passato senza il coordinamento con le altre manovre degli organi governativi: esempi: la spesa pubblica negli USA per le infrastrutture e dunque l’espansione produttiva; i sostegni ad individui e imprese economicamente paralizzati dal covid affinché lo fossero solo provvisoriamente; e poi, anche a fronte della riduzione dei titoli di debito comprati dalla BCE per non ridurre la circolazione monetaria, i finanziamenti dell’UE nelle nuove forme e quantità (PNRR ecc.), secondo i fabbisogni geografici, per riossigenare i sistemi produttivi anche con i nuovi incentivi strutturali necessari.

Se allora storicamente, dov’era sempre stata considerata indipendente, la Banca Centrale poteva sempre meno agire da sola con la sua principale competenza nei tassi e dunque nella circolazione monetaria tra gli estremi della stagflazione e dell’inflazione corrosiva dei valori della moneta e dei risparmi, non poteva e non può nondimeno sottrarsi alle altre sue competenze a difesa degli stessi valori, come la vigilanza tramite le banche centrali nazionali o locali degli Istituti di Credito, distinguendo per esempio le crisi di questi salvabili da quelle insalvabili (es.: “Silicon Valley Bank”, con la sproporzione di depositi ossia di sue passività a fronte dei suoi crediti ossia di sue attività con le “start up”). Né i suoi rialzi dei tassi per contenere l’aumento dell’inflazione avrebbero difeso meglio il sistema produttivo se fossero per esempio contemporaneamente mancati anche al livello delle famiglie gli incentivi fiscali vari di risistemazione o sostituzione dei beni quotidiani più obsoleti (o l’assegno energia per l’aumento delle bollette).

Banca Centrale Europea

Dunque, la vigilanza della Banca Centrale sul credito non può che rimanere costante, anche per evitare che la sua riduzione o assenza porti poi a tassi ancora più drastici: come li aveva giustificati per esempio Paul Volcker, a capo della Federal Reserve nel 1979-87 con Carter e Reagan Presidenti, dopo che Arthur Burns, lì nel 1970-78, li aveva ritenuti meno efficaci contro l’inflazione, un pò per non scontentare Nixon un pò per la maggior convinzione sugli altri provvedimenti. E soprattutto perché tra le cause della crisi c’erano state la svalutazione del dollaro dopo l’abolizione della sua parità con l’oro, lo shock petrolifero e tutte le contingenze che confermavano l’insufficienza della politica monetaria per uscirne (tra cui le sopraccennate crisi di Penn Central, o Franklin National Bank e Chrysler a rischio di panico).

Prossima presentazione a Parigi

E questa vigilanza deve rimanere costante anche con le dichiarazioni periodiche dei suoi responsabili sulle stime di previsione di variazione dei tassi in funzione del contenimento dell’inflazione le quali, se alimentano altre speculazioni (svalutazione effettiva dei debiti con l’inflazione e dunque convenienza ad aumentarli, tassi “future”, ecc.), devono comunque rimanere obiettive nello scenario in cui di fronte alle crisi esterne (guerre come in Medio Oriente e shocks petroliferi negli anni 60/70) quelle interne, anche con ulteriori provvedimenti di bilancio (tassazione delle multinazionali, armonizzazioni fiscali, ecc.), rimangono controllabili con il rispetto reciproco nell’interdipendenza degli organi diversamente responsabili delle politiche economiche.

Anche con gli ulteriori dettagli storici e tecnici, e anche con gli ulteriori scetticismi sul monetarismo puro, Saraceno sollecita dunque (con argomenti che fanno eco a quelli di Jean-Paul Fitoussi) delle riflessioni di piena attualità.

Lodovico Luciolli

PS: Il libro di Francesco Saraceno è già stato presentato a Parigi alla Maison de l’Italie – CIUP a novembre scorso e alla libreria italiana La Tour de Babel.

IL LIBRO:
Oltre le banche centrali: inflazione, disuguaglianza e politiche economiche
di Francesco Saraceno.
Roma: Luiss University Press, 2023 – 197 p.
18€ cartaceo; 9,99€ formato ebook
Scheda e descrizione del libro sul sito dell’editore 

L’AUTEUR: Francesco Saraceno est directeur adjoint du département des études à l’OFCE-Sciences Po. Il est responsable de la filière economics and public policy du master affaires européennes à Sciences Po, et directeur académique du European Affairs Program de la Northwestern University et de Sciences Po. Il enseigne l’économie européenne à Sciences Po et au Luiss Institute for European Analysis and Policy (LEAP) dont il est membre du conseil scientifique.

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