Paolo Ruffilli: Le cose del mondo (Poesie 1978-2019)

In Missione Poesia, Le cose del mondo (Mondadori, 2020), che raccoglie testi di quarant’anni di attività poetica di Paolo Ruffilli e si presenta come un’opera unitaria o meglio, come dichiara lo stesso autore, poematica.

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poesia Altritaliani

Paolo Ruffilli (Rieti 1949) è presente nelle maggiori antologie degli ultimi decenni. Tra i suoi libri di poesia: Piccola colazione (1987), Diario di Normandia (1990), Camera oscura (1992), Nuvole (1995), La gioia e il lutto (2001), Le stanze del cielo (2008), Affari di cuore (2011), Natura morta (2012), Variazioni sul tema (2014). Traduttore e curatore di classici italiani e inglesi, è anche autore di narrativa e saggistica. Il suo sito è www.paoloruffilli.it

Conosco Paolo Ruffilli da diversi anni. Ci siamo incontrati varie volte a Bologna in occasioni di eventi e presentazioni di precedenti suoi lavori e lo ricordo come una persona cordiale e solare. Poeta dai testi brevi esprime in sintesi, ma con accenni stilistici fortemente ritmati, la sua visione del mondo, il suo percorso di vita che si riversa, attraverso le esperienze, nella sua poesia. Felice di ospitarlo come poeta che inaugurerà la nuova stagione 2020 di Un thè con la poesia, a Bologna, presso il Grand Hotel Majestic.

Le cose del mondo (Poesie 1978 – 2019)

missione poesia AltritalianiLe cose del mondo (Mondadori, 2020) raccoglie testi di un quarantennio di attività poetica del suo autore, Paolo Ruffilli e, pur nella suddivisione in sei sezioni, si presenta come un’opera unitaria o meglio, come dichiara lo stesso autore, poematica. Tenuta insieme da una cifra stilistica inequivocabilmente uniforme e da tematiche che solo apparentemente sembrano separate mentre, in realtà, si susseguono seguendo il filo di un discorso complesso e articolato, che ci porta a conoscere la visione del poeta, l’opera è un continuo rimando alle connessioni nate dalle esperienze che legano l’io poetante con la realtà che lo circonda, promuovendone l’esternazione attraverso la parola, in particolare quella della poesia.

In principio è il viaggio, è l’attraversamento, è l’atto vero e proprio di partire che suscita le riflessioni sulla necessità di affrontarlo, sulle paure che insorgono al pensiero di lasciare il noto per l’ignoto, sulle resistenze ad abbandonare una vita comoda e tranquilla per incamminarsi in sentieri tortuosi, sul pericolo immaginato per l’imprevisto al quale la ragione impone i propri freni: All’imprevisto che è legato al moto,/la ragione ha imposto antidoto/di linee rette: orari, termini, binari./Contro i rischi dell’ignoto. Eppure, dice Ruffilli: È proprio andando che si capisce/qual è il rovesciamento di ogni prospettiva mettendoci in relazione con le cose e facendoci capire quali sono quelle importanti anche se ci assale una paura di chissà quali sviluppi,/di non essere capaci [e] a ritornare perché, comunque, scopriamo nel viaggio che la vita ci precede/nel mentre stesso che rimane indietro.

Ora, inutile negarlo, la narrazione poetica intorno al viaggio non può prescindere dagli echi dei nostri grandi maestri, da Omero a Dante – per esempio – narratori di Ulisse e del viaggio in generale – qual è per il secondo la rappresentazione di tutta la Commedia, viaggio d’incontri nella sua discesa agli Inferi e nella risalita tra Purgatorio e Paradiso – e il lavoro di Ruffilli non fa eccezione.  Così una carrozza piena e soffocante, fra gridi, spinte, puzza viene paragonata alle bolge infernali mentre dalla discesa della corsa s’incontra un’ombra tra le ombre che fuggono di scena e lo smarrimento del poeta-viaggiatore trova assonanza tra Dante e Ruffilli in questo testo: Di corsa, inseguendo se stessi,/la propria figura smarrita,/pensandosi in fondo lasciati/soltanto un poco più indietro./E andando lasciati in avanti/metro su metro, in questo/spreco di sé nel mondo fuggendo, intanto mutando in gara infinita/- intravista e perduta – la vita. E anche l’immagine del cupo turbine ventoso e del cupo conto dei morti che/la vita ci riserva indifferente/spesso e volentieri senza riposo non può che rimandarci alle anime che vagano senza riposo nella cantica infernale.

Per questo viaggio-cammino di vita, più interiore che reale, l’arrivo del treno (metafora dell’occasione irrifiutabile) porta con sé la certezza di un cambiamento e quella tristissima di ritrovarsi solo, straniero tra la gente, laddove l’ancora di salvezza è data proprio da questo muoversi senza ragione per cogliere il modo di resuscitare e vivere un’altra volta.

La seconda parte del libro, Morale della favola, è dedicata al rapporto del poeta con la figlia, prima bambina poi adolescente e alle problematiche legate alla crescita che mettono, inevitabilmente, in contrasto la visione dei genitori con quella dei figli stessi. Qui, il poeta, si accorge d’un tratto che non è più figlio ma padre e questa scoperta sembra collegarsi allo smarrimento della sezione precedente, in un salto temporale dove le paure debbono scomparire per dare sostegno a chi ne ha più bisogno: A un tratto l’ho capito in modo inaspettato/che non sarei più stato, io, il figlio/principe di un regno pressoché assoluto/avuto in pegno eterno da mi madre/e che ero diventato sostegno e protezione,/io, tuo padre […]

A seguire la sezione La notte bianca che porta con sé i segni del bilancio della vita dell’autore, attraversati e conteggiati nell’insonnia e nei sogni rimasti a ricordare: i deserti attraversati, le partenze deboli e incerte sui bersagli, la conoscenza tardiva dell’amore e dei suoi segreti sembrano portare alla consapevolezza che, avanzando sulla via e nella vita, l’energia per affrontarle entrambi si fortifica, se pure avvicinandosi la morte.

Cuore della raccolta sono le due sezioni scritte a mo’ di Canzoniere: la prima (che dà il titolo al libro Le cose del mondo) dedicata alle cose che restano molto più a lungo dopo la morte dell’uomo, se pure soggette comunque a usura, la seconda (Atlante anatomico) dedicata alle parti del corpo. Entrambe utilizzano la forma nomenclativa nell’ordine alfabetico e descrittiva nella precisione sostanziale del senso delle cose e del corpo, utilizzo, dei loro scopi, delle loro relazioni con l’uomo e con la vita stessa. Il nome della cosa diventa così l’oggetto della mente/che è rimato preso e imprigionato… appeso in un sogno… disceso, sciolto e ricomposto/rianimato dalla sua corrosa forma e/riprecipitato nell’imbuto dell’immaginato (anche l’imbuto ci rimanda ancora alla raffigurazione dell’inferno di Dante). Molti sono gli oggetti elencati ma colpisce una particolare attenzione agli oggetti che si legano in qualche modo al mondo della scuola, che è poi il mondo dello scrivere: astuccio, cartella, diario, enciclopedia, gomma, lavagna, libro, matita, vocabolario… come se a chiamarli, in questo immaginario appello essi potessero acconsentire al loro miglior impegno di supportare il poeta- pilota in quest’impresa letteraria: Con il suo pilota/entrando nel sommergibile che è in corsa/per il mare dei piccoli caratteri/sottratti alla deriva dal filo della storia. Alle cose infine, Ruffilli, si affida per porsi domande, le prime domande del libro: cosa fanno quando non sono viste, assumono un atteggiamento di difesa, aspettano di essere prese di nuovo, basta loro sapere che le pensiamo per sentirsi prigioniere? Sembrano domande comunque rivolte all’uomo stesso, alle proprie paure, ai propri condizionamenti.

Dopo la perlustrazione attentissima delle cose la sezione successiva, l’Atlante anatomico, assurge invece – attraverso una sottile vena di ironia – a contraltare di una lotta che il poeta intraprende con il proprio corpo. Ecco che bocca, caviglia, cuore, cervello, seno, ascella… vengono smembrati dalla loro forma unitaria e raccontati oltre che con dovizia di particolari, appunto anatomici, attraverso detti, motti, luoghi comuni che li ricordano suscitando spesso anche movimenti erotici che li accompagnano. Ogni parte del corpo – dice il poeta – chiede di essere/stanata e nominata scaldata/sottratta al vuoto, ripresa, rianimata e, attraverso la parola, viene amplificato non solo il loro esistere ma ogni senso che li riguarda: vista, gusto, udito, odorato, tatto.

Infine, nella sezione che conclude il libro, Lingua di fuoco, oltre a ribadire che il nominare le cose riproduce la loro essenza, Ruffilli affonda le sue armi nella necessità di un uso della parola che sia visionario e racconti verità. Le domande poste a chiosa di tutta l’opera sono domande esistenziali, interrogativi che resteranno in gran parte senza risposta ma che è necessario porsi. Con la poesia viene dato corpo all’ombra, figlia del segno, vengono potenziate la meraviglia e la carica vitale nella sintesi espressiva, ma le domande restano e sono tante, eccone alcune: Qual è il colore/che più tace/nell’urlo del silenzio?… Da dove nasce,/prima ancora/di ritrovarci nata,/tutto quello che/-senza saperlo-/siamo già stati?… Che sia laggiù/la nostalgia del mare/nella sua essenza/di cosa inconquistata/compresa a stento/tra le sponde,/camaleonte/di velluto e raspa/di celeste e di smeraldo/di blu inchiostro e nero,/la zona misteriosa/e non contaminata/da cui proviene/insieme con la vita/tutta la schiera/di mostri e di fantasmi/dispersa e trascinata/dall’onde?

Alcuni testi da: Le cose del mondo

Le cose

Le persone muoiono e restano le cose
solide e impassibili nelle loro pose
nel loro ingombro stabile che pare
non soffrire affatto contrazione dentro casa
perché nell’occuparlo non cedono lo spazio
vaganti come mine, ma nel lungo andare
il tempo le consuma senza strazio
solo che necessita di molto per disfarle
e farne pezzi e polvere, alla fine.

***

Eccolo, il nome della cosa:
l’oggetto della mente
che è rimasto preso e imprigionato
appeso nei suoi stessi uncini
disteso in sogno, più e più inseguito
perduto dopo averlo conquistato
e giù disceso sciolto e ricomposto
rianimato dalla sua corrosa forma e
riprecipitato nell’imbuto dell’immaginato.

***

Nell’atto di partire

Nel porsi in viaggio, prese le distanze
e tutte le misure per quello che si può,
considerato l’angolo di fuga, l’impulso
di deriva andante dentro il vuoto…
la curva sghemba della deiezione,
lo scarto imprecisato del destino.
All’imprevisto che è legato al moto,
la ragione ha imposto antidoto
di linee rette: orari, termini, binari.
Contro i rischi dell’ignoto.

***

È proprio andando che si capisce
qual è il rovesciamento di ogni prospettiva.
Perché, restando fermi, sfuggiva in pieno
che è una questione del tutto relativa.
Avanti e indietro… qui e là… più o meno,
ma sui riferimenti sempre circostanti.
È il movimento a darci in dote la speranza
mettendo in relazione noi stessi con le cose
e fa presenti a un tratto le ignote e le distanti,
rendendo le vicine subito vacanti.

***

Fermi da tempo, già, fuori stazione
su una carrozza piena e soffocante:
gridi, spinte e puzza nelle bolge.
Che, se non altro, è un test illuminante
e illustra in scena, svolge la funzione
di termometro e di spettro di misurazione.
Sì, dà conto bene, in presa fulminante,
e nonostante il suo valore di campione,
dello stato inerte, sordo e delirante
di tutta quanta la nazione.

Bologna, 9 febbraio 2020

Cinzia Demi

P.S.: _cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo in fondo a questa pagina un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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