Francesca del Moro e la sua raccolta di poesie “L”

Per Missione Poesia affrontiamo oggi un tema ricorrente in letteratura, quello del suicidio di una persona cara. E lo facciamo attraverso la poesia di Francesca Del Moro che pubblica, a pochi mesi di distanza da ex madre il libro L. Capiamo così che la sua principale arma di difesa dal mondo intero è lo scrivere in versi, il dirci di quel figlio che adesso, in questa nuova opera, si fa presenza con cui provare a riconciliarsi, gestendo l’abbandono, il deserto interiore, lo strazio della mancanza, fino al rimorso di non essere potuta intervenire in alcun modo per salvarlo.

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Francesca Del Moro è nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna. È laureata in lingue e dottore di ricerca in Scienza della traduzione. Ha pubblicato i libri di poesia Fuori tempo (Giraldi, 2005), Non a sua immagine (Giraldi, 2007), Quella che resta (Giraldi, 2008), Gabbiani ipotetici (Cicorivolta, 2013), Le conseguenze della musica (Cicorivolta, 2014), Gli obbedienti (Cicorivolta, 2016), Una piccolissima morte (edizionifolli, 2017, ripubblicato nel 2018 come ebook nella collana Versante Ripido / LaRecherche), La statura della palma. Canti di martiri antiche (Cofine, 2019), Ex madre (Arcipelago Itaca, 2022) e Questo posto buono (edizionifolli, 2023). Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa e ha pubblicato una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Charles Baudelaire (Le Cáriti, 2010) e la traduzione dei Derniers Vers di Jules Laforgue (Marco Saya, 2020). Fa parte del collettivo Arts Factory e del Club Pavese+Tenco insieme a Federica Gonnelli e alla fondatrice Adriana M. Soldini, con le quali ha contribuito come traduttrice e performer ai cataloghi, alle opere di videoarte e alle performance di presentazione delle mostre collettive di arte contemporanea Scorporo (2011), Into the Darkness (2012) e Look at Me! (2013), nonché allo spettacolo Rose gialle in una coppa nera dedicato a Cesare Pavese e Luigi Tenco (2018). Propone performance di musica e poesia insieme alle Memorie dal SottoSuono, con cui ha inciso due brani inclusi nelle compilation Leitmotiv 13 (2013) e Leitmotiv 14 (2014) prodotte da Fuzz Studio e ha partecipato alla realizzazione del primo album omonimo (2016). Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda. Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie associazioni bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere. La sua ultima pubblicazione in poesia è il libro L uscito nel 2024 per le edizioni Gattomerlino/Superstripes.

Conosco Francesca del Moro da diversi anni. Ci siamo incontrate varie volte a Bologna per eventi culturale e letture poetiche. L’ho sempre stimata come un’ottima poetessa, e curatrice di iniziative letterarie. La sua storia di autrice e traduttrice si lega, a un certo punto della sua vita, indissolubilmente alla perdita del figlio. I suoi ultimi libri sono carichi di quell’esperienza del dolore che nessuno di noi vorrebbe provare, e ci coinvolgono in un viaggio empatico dentro il suo sentire, che diventa inevitabilmente anche il nostro. Francesca sarà ospite della rassegna Un thè con la poesia del mese di marzo, insieme ad alte due ottime autrici di cui leggerete gli articoli dedicati, in questa rubrica.

L

Francesca Del Moro pubblica, a pochi mesi di distanza da ex madre (Arcipelago Itaca, 2022), L (gattomerlino, 2024). Si tratta di due opere consequenziali, che affrontano la stessa tematica, ma da due punti di vista differenti. L’autrice porta dentro di sé il peso di una grave perdita, quella del giovane figlio morto suicida. La sua principale arma di difesa dal mondo intero, in tutte le sue componenti, è lo scrivere. Lo scrivere in versi. Nessuno può sentire l’urlo che esplode ininterrotto dentro di lei. Nessuno può ridarle quel figlio che ha deciso di allontanarsi per sempre da lei, quel figlio che resta una costante voce da ascoltare e con cui confrontarsi, quel figlio che adesso si fa presenza con cui provare a riconciliarsi, gestendo l’abbandono, il deserto interiore, lo strazio della mancanza, fino al rimorso di non essere potuta intervenire in alcun modo per salvarlo. Ed ecco, dopo le frustate sulle ferite sanguinanti dello sgomento di ex madre, ecco affacciarsi le poesie di questo nuovo capitolo della scrittura di Francesca Del Moro, poesie che tentano un gesto di cura: È di altri la vita che ci resta/È per proteggerli/Lieve cura dire noi.//Noi superstiti. Hanno un andamento pacato queste poesie, fluiscono volutamente come un unico corso d’acqua nel suo letto originario, un corso che non ha affluenti né deviazioni, un corso in cui affiorano acque limpide, chiare come la lucida esposizione di come sono andati i fatti, in un percorso dal monte al mare, un percorso lineare d’acque chete in superficie, se pure scosse da correnti sotterranee di sentimenti contrastanti. Ci prova l’autrice a mostrare il suo rasserenarsi a tratti, il suo quasi sorridere a certi gesti quotidiani, il riprendere lento del soffio della vita. Non è così semplice: Non ho più forza/stasera, non ho fiato./Così smetto/di parlare con mia madre/della cena, del weekend/dei rincari, della tinta per capelli. /“Io sto aspettando solo di morire”/dico. “Lo so” risponde/e non aggiunge nulla.

È un raccontare. È un raccontarsi. Noi siamo spettatori di questo teatro dalle luci spente, fioche a volte. Strizziamo gli occhi per vedere le forme di certe scene; aguzziamo l’udito per ascoltare i dialoghi semi nascosti fra i versi, o quelli immaginari tra chi resta e chi non c’è più; attenti, cerchiamo di capire cos’è successo veramente, il racconto dei vicini, gli sguardi e i gesti dei genitori di Francesca, la vicinanza degli amici. Non vorremmo arrenderci al nostro non essere adeguati a questa drammaturgia, al nostro non essere preparati ad affrontare il dolore, quando si presenta, al nostro non esserlo mai. Eppure continuiamo a leggere questi testi-fiume, a farci bagnare dalle gocce che schizzano a ogni metafora intuita, a ogni similitudine azzeccata, a ogni rima che sonoramente si leva in questo canto. Cosa ci resta addosso? Provo a dirlo.

Intanto la sensazione di una rincorsa verso la morte, supportata dall’elencazione quasi chirurgica delle forme che questa può assumere per decidere di lasciare la vita, e che ritroviamo sparse tra i testi: per impiccagione, per soffocamento, gettandosi nel vuoto, sparandosi un colpo in testa… qui, non posso fare a meno di pensare a Pinocchio, a quel romanzo che pesca dal fiabesco, dove per il burattino si prospettano continuamente nuove forme di morte, come se la sua vita fosse un continuo apprendistato per quel mestiere: appena nato da quel pezzo di legno, resterà solo, rischiando di morire di fame, di freddo, o bruciato dal fuoco del camino… e così andrà avanti, in situazioni sempre più terribili: mangiato da Mangiafuoco, impiccato dai ladri, legato a una cuccia, fritto in padella, mangiato da un pescecane. Senza considerare che la prima storia del burattino finirà proprio con la sua impiccagione, al quindicesimo capitolo, storia che successivamente Collodi riprenderà e nella quale, comunque, il protagonista continuerà questa corsa verso la morte.

Non so di preciso perché mi viene in mente l’analogia tra le poesie di Francesca Del Moro e il testo collodiano. Immagino perché alla fine il burattino Pinocchio, se pure per lasciare il posto al bambino, muore veramente, decide di morire per fare spazio a suo alter ego. Nel libro di Del Moro non c’è un alter ego del figlio ma c’è lei stessa che, dopo aver perso la sua identità in ex madre, tenta di ritrovarla, decide di darle di nuovo una forma, un peso, una valenza. Foss’anche attraverso il riconoscimento definitivo della perdita, la nascita di un nuovo rapporto con il figlio, fatto di colloqui nella stanza rimasta com’era, o sulla lapide alla Certosa dove il gesto di carezzare il marmo, cambiare i fiori, baciare la foto segnano i rituali di passaggio da quel liminare tra la vita e l’altrove dal quale, chi riesce a tornare, sarà per sempre segnato dalla consapevolezza di ciò che ha visto o sentito: come l’autrice, che su quella soglia, su quel liminare ci passa molto tempo e che, magari nei suoi sogni, prova ad attraversarla per desiderio di rincontrare il figlio: La mia gatta lo sa/che ora sono sulla soglia/non mi molla un istante/mi si accuccia sopra/stende bene le zampe/mi trattiene.

E se in Pinocchio, è forte la dimensione cristologica, come dice Manganelli: pensiamo a Geppetto, falegname e padre putativo; ai capelli azzurri della Fatina che ricordano il velo della Madonna; a Mangiafuoco visto come un Erode; alle invocazioni di Pinocchio quando appeso alla Grande Quercia e in procinto di morire, chiama il padre, proprio come Cristo in croce quando pronuncia la frase “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato…”, e, se pure in L le stazioni della via crucis, rappresentate da altrettanti sogni, sono dodici e non quattordici, non è difficile paragonare il cammino dei sogni a quello sul monte Calvario, dove la madre perderà il figlio, in una dimensione di drammaticità reale, in un racconto, biblico o poetico che sia, dell’accaduto… che fermerà per sempre sul calendario una data esatta, un’ora precisa.

Ebbene, e questa è un’altra cosa che ci resta ancora, quella narrazione, della data, quell’ora vengono fermate da Francesca Del Moro anche nelle pagine dei suoi libri, attraverso la poesia che ha, e non è un caso, una caratteristica vitale grazie al suo modo di essere autentica, di essere costruita proprio sulla ricerca della verità, sulla riflessione che porta allo scavo interiore capace di toccare il buio più profondo. Ma ci vuole coraggio per farlo, un coraggio di sguardo che si deve essere capaci di fare e, soprattutto, di sostenere.

Chiudo questi brevi e non facili pensieri sull’opera, con una riflessione di Massimo Recalcati, scritta in occasione dell’uscita di un’antologia dedicata alla scrittura femminile, nella quale sono raccolti testi di ben quindici poetesse che sono morte suicide, riflessione che calza perfettamente anche a questo lavoro: “Il gesto estremo del suicida, come quello del poeta, discrimina radicalmente il mondo umano da quello animale. Ma se nel primo la vita viene incenerita dal non senso, nel secondo si prolunga lo sforzo di riportare la vita dal suo abisso di non senso all’apertura misteriosa del senso. La poesia […] si avvicina all’orrore della Cosa ma non si lascia pietrificare da questo orrore. Lo trasforma in un dire che sa custodire il silenzio, senza ridursi al silenzio, che sa generare un atto senza desiderare la morte.”

Alcuni testi da: L

Sera d’agosto
ogni stella che cade
porta il suo nome.

***

Ho messo
la sua elle al collo
la accarezzo
mille volte al giorno
è il mio segno di pace.

***

La barca non si è ancora
staccata dalla riva.

Lui è salito per primo
e mi ha preso la mano.

Gli anni scorrono nell’attimo
del mio passo sospeso.

***

Il cancello, le statue che piangono
i volti d’epoca, la foto della bimba
i giochi, i fiori, i genitori
quando muoio tutto questo finirà.

Il marmo e rose nuove tra le mani
la scala alta e il piccolo giardino
il suo sorriso a picco sui miei occhi
quando muoio tutto questo finirà
quando muoio tutto questo finirà.

***

Non sono qui
e non me ne sono andata.

Sto nell’invisibile
linea di confine.

Ugualmente
attratta e impaurita
dalla morte, dalla vita.

***

Passo dalla sua stanza
così pulita, ordinata.
Romanzi, filosofia
politica, teatro, teatro.
Marx, Leone, Morricone
Kubrick, Eduardo.
La stanza accarezzata
da un raggio di sole
d’autunno. La stanza
dove non studierà più
dove non dormirà più.
La stanza come l’ha lasciata
così pulita, ordinata.

Cinzia Demi
Bologna, marzo 2024

Sito di Francesca Del Moro

P.S.:
_cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani.
https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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