Neutralità linguistica e comunicazione inclusiva: diventa ciò che vuoi

Il dizionario francese Robert ha introdotto il pronome personale “iel”, contrazione del pronome maschile “il” e del femminile “elle”. “Iel” è neutro. Usandolo, non dico se la persona di cui parlo è uomo o donna: non dico niente. Il che dovrebbe essere (per i sostenitori della cosiddetta “lingua inclusiva”) il modo di rispettare la libera scelta individuale di riconoscersi in un genere, o in nessuno dei due.

So bene che questa crescente ossessione per la neutralità linguistica (anche se può apparire eccessiva e criticabile) risponde a situazioni che esistono, sono reali e toccano la vita di certe persone. È del tutto possibile nascere uomini e sentirsi donne, o viceversa. La natura umana è complessa e insondabile. So bene che l’intransigenza di molti sostenitori di queste scelte linguistiche (quando è sincera e non un modo di cercare visibilità su temi di moda) nasce da gravi torti storici verso le donne, le persone omosessuali o in generale chi vive situazioni di ambiguità rispetto ai propri orientamenti. È vero, c’è tutto questo.  Eppure a me pare che ci sia il rischio di smarrire qualcosa, in questa ricerca a tutti i costi di una neutralità che non offenda nessuno, e nella rivendicazione di una libertà individuale assoluta, che permetta di scegliere il proprio genere come si sceglie un vestito.

Nel fatto di essere nato uomo (o donna) e non essere l’altro, ho sempre visto un limite, un mistero, una ‘conradiana’ linea d’ombra invisibile e (almeno per me) impossibile da valicare. Ma in quel limite ho sempre trovato una sorta di consolazione. Quella di sapere che non tutto l’universo si riduceva a ciò di cui avevo esperienza diretta: il mio casuale essere nato uomo, il mio apparato genitale, il mio modo di guardare le cose. È sempre stata una consolazione sapere che esisteva l’altro da me. Un altrove tanto vicino da poterlo toccare, ma al tempo stesso inconoscibile. Sono nato uomo. Per quanti pronomi neutri io possa rivendicare, non posso avere (per biologia: non per ideologia) l’esperienza delle mestruazioni, della maternità. Così come (anche se i meccanismi dell’eccitazione sessuale e dell’orgasmo possono essere in parte simili) una donna non potrà conoscere per esperienza diretta l’erezione o l’eiaculazione. Dino Buzzati scrive, in “Un amore”: «la donna (…) gli era parsa sempre una creatura straniera, con una donna non era mai riuscito ad avere la confidenza che aveva con gli amici. La donna era sempre per lui la creatura di un altro mondo, vagamente superiore e indecifrabile».

C’è un momento della vita in cui, come dice Montale, l’inganno diviene palese, in cui si ha appuntamento con il proprio destino e il proprio limite. E in quel destino e in quel limite, se lo si vuole, si può riconoscere la propria identità. Un giorno si è nati e un giorno si morirà. La nostra vita, per quanto essa sia libera e autonoma, si svolge all’interno di determinate condizioni biologiche, psichiche, sociali ed economiche (come ci spiegano rispettivamente Darwin, Freud e Marx). Le nostre esperienze personali, per quanto vaste, resteranno sempre una goccia nel mare infinito delle possibilità. Si è nati di sesso maschile o femminile. Il nostro pensiero è modellato, anche se non ce ne rendiamo conto, dalla stessa struttura della nostra lingua madre. Possiamo vivere tutto questo come un sopruso. Oppure come un destino che ci rende, ognuno a suo modo, unici e irripetibili, e dentro i cui limiti possiamo trovare una nostra libertà.

Ho invece l’impressione che lo spirito del tempo vada nella direzione di voler annullare, in nome di una presunta incoercibile libertà individuale, ogni differenza. Oggi, tra uomo e donna. Ma forse presto anche tra giovane e vecchio (in parte è già così, nel mondo della cretineria pubblicitaria che vuole convincere i vecchi di essere ancora ed eternamente giovani). Domani, forse, anche tra stupido o intelligente, brutto o bello. E che la frase di Friedrich Nietzsche” diventa ciò che sei” si sia riformulata in “diventa ciò che vuoi”: in un mondo il cui il marketing è la nuova religione, e la vita un prodotto a cui si vuole accedere senza limiti.

Ma se all’esistenza si sottrae il mistero dell’altrove, il privilegio della differenza, e il senso del limite invalicabile che ci separa da ciò che non siamo, allora si solleva il velo di Maya della condizione umana. E, tolto quel velo, non resta forse niente altro che il “nada nostro che sei nei cieli” della preghiera blasfema di Hemingway: il nulla.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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