L’antifascismo? È dare la parola, non toglierla.

Senza pretese di voler strafare : vi sbagliate, se credete di difendere la democrazia liberale dai suoi nemici (che ci sono, eccome) diventando come loro. Autoritari, intolleranti, dispotici. Siete « antifascisti» ? Certo. Lo sono anche io. Perché sono un sostenitore della democrazia liberale, con tutti i suoi difetti. Della democrazia liberale mi piacciono (con i suoi quadri grigi, le luci gialle, i suoi cortei) la separazione dei poteri, lo stato di diritto, il governo delle leggi e non quello degli uomini (che sempre si trasforma in abuso), il garantismo. E forse più di ogni altra cosa mi sembra importante la libertà di scegliere come vivere, amare, scopare, morire, con il solo limite rappresentato dall’identica libertà dell’altro da sé. Non c’è libertà senza giustizia, è vero ; ma ogni giustizia senza libertà è una prigione. Un inferno concentrazionario. E non voglio che un’idea (nemmeno quella più giusta del mondo) possa monopolizzare lo stato e la cosa pubblica e la vita delle persone. Non credo alle parate e poco (pochissimo) alle bandiere. A santi ed eroi preferisco uomini e donne da marciapiede, i traditori e gli imboscati mi interessano ben più dei martiri. Agli altari delle patrie o delle chiese, preferisco le stanze degli amanti clandestini, i bar con il flipper, le osterie da ubriaconi. Nulla di più lontano dal fascismo. O da altre dittature. Che sono tutta una storia di retorici paraponziponzipò.

Lo scrittore Céline

Ma proprio perché sono antifascista, vorrei che ai fascisti o presunti tali non venissero negati quei maledetti diritti e quelle sporchissime libertà in cui credo. Poche settimane fa al salone del libro di Torino, voi (ragazze, ragazzi, figlie mie, figli miei) avete chiesto (e tutt’ad un tratto, il coro !) di non dare spazio a un piccolo, stronzissimo editore di estrema destra. Che aveva pubblicato un libro-intervista a quel figuro di Salvini. In questi giorni di maggio a Genova, avete invocato la proibizione di un comizio di CasaPound. Lo so : voi pensate (ragazze, ragazzi, figlie mie, figli miei) di essere nel giusto, di montare la guardia alla democrazia. Di essere degli eroi (e gli eroi son tutti giovani e belli). Invece io credo proprio di no. Vi voglio bene, ragazze e ragazzi miei, una a una, uno a uno. Ma più che eroi, mi sembrate (scusate) scemi, e le vostre proteste di un’intolleranza sciocca. È proprio cercando di impedire agli « antidemocratici » di parlare che la democrazia liberale rischia di finire per realizzare il loro obiettivo, trasformandosi anch’essa in regime autoritario. E così facendo, credendo di operare il (proprio) bene, la democrazia opera invece il (proprio) male, rovesciando il paradosso del Faust goethiano e realizzando il pronostico di Lenin: preparando cioè la corda a cui i suoi nemici desiderano impiccarla. E temo che questa tattica suicida non sia solo frutto di un errore: ma che realizzi invece una pulsione inconscia. Di chi ha un superego libertario e democratico ma un es autoritario, intollerante e gerarchico. In nome del superego, si realizza il desidero dell’es. (L’io, come al solito, se lo prende in quel posto). Siete democratici ? Benissimo. Allora, considerate la vostra semenza : non è necessario essere « fascisti » per sapere che esiste un’area culturale e politica di « destra radicale » più complessa e variegata di quanto vi è stato raccontato. Giusto (sacrosanto) sanzionare proclami razzisti e violenti. Ingiusto pretendere invece che quell’area culturale e politica non esista, che sia ridotta al silenzio, che non abbia voce.

Voi dite (sfogliando nel manuale delle frasi fatte): il fascismo non è un’opinione, è un reato, e chiuso il discorso. Ebbene, ragazze, ragazzi : nulla di più « fascista », nel senso che voi date al termine, del considerare » chiuso » un discorso. La Costituzione, dite? Certo. Vieta la ricostituzione del « disciolto partito Fascista ». Due leggi ordinarie (Scelba, Mancino) hanno declinato quel dettato costituzionale sul fascismo vietandone ogni «apologia». Questa la legge. Ma la conoscete la storia? Nella nostra storia repubblicana c’è stato, per cinquant’anni, in parlamento, un movimento che nel simbolo, nel nome, e nell’agire, si richiamava esplicitamente alla Repubblica di Salò : il Movimento Sociale Italiano. Vittorio Foà (ebreo, socialista, partigiano) a Giorgio Pisanò, senatore missino e anzi fascistissimo disse una volta : « Se aveste vinto voi io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore. Questa è una differenza capitale ». Volevate Pisanò in galera ? Avete sbagliato indirizzo. La democrazia liberale si distingue dal fascismo o ogni altro regime autoritario proprio perché non imprigiona i suoi nemici per le loro idee. Non vive di paura del nemico, non si considera perennemente sotto assedio. Accetta di dare spazio alle idee. Ed è pure un po’ puttana (sarà forse questo, a rendermela cara). Perché ospita nel suo letto non solo chi la sostiene convintamente, ma anche chi la critica e si propone di rovesciarla e distruggerla. Fascisti, rivoluzionari stalinistii, anarco-insurrezionalisti. Ha ospitato in parlamento per anni chi, come Marco Rizzo, comunista con nostalgie staliniane, dice cose così: « quella che oggi chiamano democrazia è la dittatura di un’esigua minoranza sulla larghissima maggioranza del popolo » e ha celebrato Stalin dicendone « Terrore dei fascisti e dei falsi comunisti. Onore e Gloria a te!!! ». Volete mettere fuorilegge Rizzo ? Io no. A me interessa ascoltarlo. E chiedo anche per lui i valori «borghesi» e «liberali» di libertà di parola e di pensiero. Uno stato di diritto è tale perché sanziona i reati, non le opinioni. Una democrazia liberale non brucia i libri, né li proibisce. Si occupa, possibilmente, di far tenere a posto le mani a chi le alza, non tappa le bocche. Beniamino Placido aveva detto: se scrivo su un muro « lo stato borghese si abbatte e non si cambia », non sarò messo in carcere come terrorista, e questo è lo stato di diritto: protegge la libertà di chi lo critica e lo osteggia. A Popper (che rivendicava, nel suo celebre paradosso, il diritto all’intolleranza contro gli intolleranti) preferisco Bobbio e la sua idea di accogliere l’intollerante nel recinto della libertà (sublime, anch’esso paradossale, ossimoro, l’idea che la libertà sia essa stessa un recinto).

Flavia Perina

E poi (ragazze, ragazzi, figlie mie, figli miei), guardate la complessità delle cose. Vi siete mobilitati per un minuscolo editore e ventiquattro (ventiquattro) poveri disgraziati in piazza. Come se fossero dei mostri. Ma le cose sono sempre più complicate di come gli slogan vogliano farle apparire. Nel mondo della destra radicale (a cui voi, in nome della libertà, vorreste democraticamente tappar la bocca) certo, ci sono i fanatici e i violenti, i razzisti e i picchiatori, ci sono teste di cazzo da far paura e persone con idee pessime, ripugnanti. Ma in quello stesso mondo abitava un tempo Flavia Perina, bravissima giornalista, intelligente e acuta, una delle tante ragazze del Linus di OdB (Oreste del Buono), Flavia Perina che sarebbe stata assessore alla cultura a Roma se alle ultime municipali avesse vinto il centrosinistra (il centrosinistra). Sapete di cosa si occupa? Di integrazione, promozione delle donne, lotta alle diseguaglianze. Eppure viene proprio da quelle fogne su cui voi, in nome della libertà, vorreste richiudere il tombino. Quelle in cui abitava anche Antonio Pennacchi, bravissimo scrittore operaio, militante del MSI da cui fu espulso nel 1968 per una manifestazione contro la guerra in Vietnam. Poi militante di estrema sinistra, oggi elettore del PD e ammiratore dell’intelligenza di d’Alema (vabbé, che c’entra ? Nessuno è perfetto). Del suo libro « il fasciocomunista » hanno fatto un film, « Mio fratello è figlio unico » e lui, Pennacchi, ha detto : « quei tre teste di cazzo (sic) degli sceneggiatori hanno dovuto fare i fascisti tutti cattivi e imbecilli. Perché non gli tornava che i fascisti potessero essere persone normali, come tutti gli altri ». Leggete « Memorie di un picchiatore fascista » pubblicato molti anni fa da Einaudi (Einaudi !), di Giulio Salierno, poi militante marxista. Io non voglio (ragazze, ragazzi miei) che, in nome della libertà, impediate a me, e a voi stessi, di ascoltare anche la parola del nemico. Se non altro perché, facendolo, potreste scoprire (come è stato il caso con Flavia Perina, con Antonio Pennacchi, Giulio Salierno, tanti altri) che quel mostro è così simile a voi. Tanto simile da potersi ritrovare, forse, un giorno, sulla vostra stessa strada, nel vostro letto, appiccicato alle vostre labbra o accanto a voi.

Noi dobbiamo essere antifascisti non per schiacciare la testa a chi ci sta sulle palle, ma per difendere libertà e democrazia. Compresa la libertà di cercare di capire la complessità della storia. Céline (forse il più grande scrittore del Novecento) era abbastanza filonazista, cari miei, e orribilmente antisemita. Pound, che di quel Novecento è stato forse il più grande poeta, faceva il saluto romano, teneva fascistissimi discorsi infuocati alla radio, e dagli alleati fu trattato in modo orrendo, tenuto in una gabbia all’aperto per tre settimane, lo sapete ? Pirandello prese la tessera il giorno dopo l’assassinio di Matteotti. Sergio Tofano, quello del Signor Bonaventura, vinse il primo premio per la migliore caricatura del Duce, negli anni Trenta (e quella caricatura non è una mostruosità ma un capolavoro, uno sbaffo geniale). Paolo Borsellino, magistrato ucciso dalla mafia (di cui giustamente, ragazze, ragazzi, voi custodite la memoria di eroe civile, di eroe borghese) da giovane era stato attivista del Fuan, organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano.

La vita è ladra e se lo sai, tieniti stretto quel po’ che hai (cantava Herbert Pagani). Quel che abbiamo oggi è un po’ di sporca libertà. Io dico questo : che le idee si esprimano, liberamente. Con il solo vincolo (legale, più che morale) di non propagandare violenza, odio, falsità diffamatorie. Per il resto, ragazze mie, ragazzi miei: vi voglio bene, ma vorrei poter ascoltare la voce di chi la pensa diversamente da me.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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