Il dibattito sui vaccini, cartina di tornasole della democrazia.

Il dibattito sull’obbligo o meno del vaccino segna il punto di rottura tra le due forme di democrazia che oggi si contendono l’occidente. Finito, il secolo scorso, il confronto tra socialismo e democrazia, il vero confronto, nel nuovo millennio, è quello sulla qualità delle nostre democrazie. La cartina di tornasole di questo scontro ideologico è rappresentata proprio dall’attuale acceso dibattito tra fautori dell’obbligo di vaccinazione, in primis Macron in Francia seguito da Draghi in Italia e da chi sostiene il diritto alla libertà individuale sulla scelta di vaccinarsi o meno contro il Covid.

In vero, fino al secolo scorso, il vaccino è stato salutato sempre come una conquista scientifica e democratica che ha permesso a ricchi e poveri di liberarsi da malattie, un tempo endemiche, che avevano flagellato per secoli il pianeta, mietendo vittime ad ogni recrudescenza. In passato il tema era (valga l’esempio del colera negli anni ’70 a Napoli), la tempestività dei vaccini, nessuno immaginava di opporsi a questi.

Con l’affermarsi di forme di democrazia e di discussione sempre più dirette e sempre meno mediate da formazioni politiche che faticano in gran parte a rinnovarsi, ad essere rappresentativi della società e in crisi di credibilità, che in definitiva si traduce in  crisi di democrazia rappresentativa, si è arrivati a mettere in discussione valori già acquisiti quali la competenza, declassando assunti scientifici dalla dimensione di dato di realtà indiscutibile fino a prova contraria, a quello di un semplice assunto di “verità”, di mera opinione, che chiunque può confutare nel nome della libertà di pensiero.

Questa idea di democrazia è stata avallata da diverse neo formazioni politiche sorte nel nuovo millennio, che hanno imposto, all’attenzione dell’opinione pubblica, un’idea di democrazia diretta, con il principio, ormai arcinoto, che uno vale uno e quindi nessuno, per quanto esperto fosse, può imporre la propria volontà sugli altri, se non in ragione di una maggioranza, nemmeno parlamentare ma popolare. Con i social e le community di internet, ogni tema è diventato terreno di confronto, spesso di scontro, condizionando anche le scelte di una politica che sembra sempre più alla caccia del consenso; così perdendo il proprio ruolo direttivo e di orientamento, finendo per farsi dettare la propria linea politica da sondaggi e opinioni sparse in rete.

Arriviamo così ai vaccini e al Covid 19 che con le sue varianti appare ancora oggi indomabile. In realtà la Scienza ha più volte sostenuto che le teorie No-Vax, seguite da grandi fette di popolazione, sono all’origine della indomabilità del virus che trova nei molti non vaccinati, brodo di cultura per continue mutazioni, l’ultima è la variante Delta, che mette in crisi anche l’immunità raggiunta da chi il vaccino l’ha già fatto regolarmente.

Molti vaccinati, tra cui il sottoscritto, sono stati colpiti dalla variante Delta e costretti ad ennesimi periodi di quarantena. Come è stato spiegato anche su questo sito, purtroppo ancora vanamente, se non si vaccinano tutti o quasi tutti, l’immunità di gregge resterà una chimera con il rischio che a forza di mutare il virus possa prevalere sugli stessi vaccini, rendendo vani tutti gli sforzi e le sofferenze di questi due anni maledetti.

Ed ecco allora il confronto tra le due democrazie quella liberale e quella populista. Demagogicamente verrebbe da dire che non c’è migliore democrazia che quella dove ogni decisione è votata dal popolo, un po’ il desiderio di Casaleggio senior che sognava l’abolizione delle rappresentanze politiche e parlamentari con l’avvento di una democrazia diretta e di rete. L’idea di Casaleggio, che impone un’eguaglianza di partenza per cui  uno vale uno, mette in crisi il concetto stesso di competenza: scientifica, economica, politica, la democrazia liberale, viceversa, riconosce un fatto che non è scevro di criticità, ovvero che la democrazia è davvero tale se la partecipazione popolare è accompagnata anche da un’adeguata istruzione e competenza, da una coscienza responsabile e concreta delle scelte da fare per il bene proprio e della collettività e quindi della società.

Il pensiero liberale, che altrove ha trovato più spazio, in Italia fu soffocato con la fine del socialismo liberale di cui furono espressione il Partito d’Azione e il gruppo di Giustizia e Libertà, duramente repressi prima dal fascismo e poi nel dopoguerra dal predominio culturale e militante del Partito Comunista, quando questo partito non aveva aspirazioni democratiche, contrapponendo a questa, l’idea socialista, rivelatasi poi perdente. Solo dalla seconda metà degli anni settanta il PCI ha iniziato il suo percorso di revisione dal socialismo fino a conquistare e ad abbracciare negli anni novanta l’ideale democratico, recuperando anche in maniera più o meno conscia, quell’eredità di pensiero socialista liberale che fu dei Rosselli, di Gobetti e di altri animatori di quelle esperienze politiche che abbiamo ricordato che furono Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione. In realtà, il percorso avviato da Berlinguer negli anni ’70, non si è completato nemmeno con il congresso degli anni ’90 voluto da Veltroni ed ancora oggi la conquistata democrazia del PD, quale erede dei grandi partiti della DC e PCI, presenta diverse incongruenze e contraddizioni.

Il tema è rilevante: Hanno ancora valore i partiti politici, sono necessari? È giusto, ammissibile sostituire la democrazia rappresentativa voluta dal nostro costituente con una diretta, capace di decidere su qualsivoglia tema? Cos’è oggi la democrazia?

A tal proposito vale la pena ricordare che vi sono state conquiste di civiltà che non sono state frutto di democrazie dirette e populiste, ma frutto di organi a volte nemmeno rappresentativi del popolo. Faccio alcuni esempi. A stabilire la parità dei diritti per gli omosessuali, non è stato un referendum o la piattaforma Rousseau dello stesso Casaleggio, è stata la Corte Costituzionale, che per altro è una istituzione nemmeno eletta dal popolo, e che ha dei poteri capaci di abrogare leggi fatte di chi dal popolo è stato eletto; egualmente tante sentenze sulla parità di genere nei rapporti lavoro sono stati frutto di quella Corte, eppure queste decisioni sono state salutate come delle conquiste di civiltà. Cosi esistono organi nazionali e transnazionali che controllano le borse o il sistema bancario che non sono eletti dai cittadini e che pure spesso sono stati decisivi per contenere, a volte sconfiggere, pericolose speculazioni economiche ai danni della collettività. Si pensi alla Banca Mondiale, e che dire del ruolo di enti come la FAO o l’UNESCO, per citare altri due esempi, che hanno ruoli direttivi e decisivi nei loro campi pur non essendo frutto di democrazia diretta?

Ecco che allora la domanda, credo retorica, che si pone è: Possibile lasciare alla libertà individuale un tema come quello della salute pubblica? Ovvero si può accettare che una massa spesso poco scolarizzata e spesso francamente ignorante su temi scientifici, decida sulla vita di tutti, mettendo a rischio non solo la propria vita ma quella dell’intera comunità mondiale?

Il popolo di Trump all’attacco del congresso.

Su un tema come l’epidemia che valica i confini nazionali, occorre un’autorità che possa pronunciarsi secondo quelli che sono, piaccia o no, dei dati scientifici, sottoposti a controlli e al vaglio di enti sanitari nazionali e sovranazionali, e la politica attraverso le sue rappresentanze parlamentari e il suo governo ha il dovere, l’obbligo, di assumere decisioni responsabili per il bene della comunità. E in oltre, in epoca di globalizzazione, la politica deve coordinarsi in azioni comune anche attraverso i propri organismi internazionali il che rende il tutto ancora più complicato, anche per quanto riguarda la tempistica delle scelte.

Il problema è che l’antagonismo ideologico verso il potere, identificato nel novecento nel grande capitale e che aveva un fondamento razionalista, anche se poi seguito da metodologie e strategie di conquista del potere spesso opinabili se non del tutto errate, oggi ha assunto l’aspetto di un antagonismo verso ogni tentativo di amministrazione mondiale dell’umanità. Le scelte su temi ambientali o di lotta al terrorismo o anche di contrasto alle pandemie, richiedono sempre più politiche che siano legate per vincolo esterno alle scelte di tutti o gran parte dei paesi, specie di quelli guida per la produttività e l’economia. Da qui l’antagonismo populista si è diviso in due filoni, che semplificando potremmo definire uno nazionalista, avversario dei processi di unificazione internazionali, come quello europeo, e l’altro no-global, che identifica il suo “nemico” (il nuovo padrone da abbattere) nei trust bancari, nelle lobby e holding, più o meno occulte che inciderebbero sulla vita di ogni paese e di ciascuno di noi. Effettivamente, oggi la ricerca scientifica, ad esempio, non è più una questione meramente pubblica affidata ai singoli governi nazionali, spesso è finanziata ed è frutto anche di interessi di aziende private (case farmaceutiche) che naturalmente non nascondono anche le proprie aspettative di benefici economici, questo mette in crisi la fiducia di parte dei cittadini, che temono sempre speculazioni o scelte fatte sulla propria pelle per gli interessi economici di pochi.

Si riproduce così surrettiziamente lo scontro tra lavoratori (ora in genere i cittadini) e i detentori dei mezzi di produzioni (il padrone) che a priori sono considerati in contrapposizione.

Per i fautori di una democrazia (o socialismo) liberale, questa contrapposizione alla luce della realtà attuale è una forzatura e non sempre corrisponde agli effettivi interessi che sono in gioco. Proprio la crisi economica successiva alla pandemia, dimostrerebbe che gli interessi dei padroni (di non chiudere) e dei lavoratori (di non perdere il lavoro) sono coincidenti e in un certo senso diversamente che dall’ottocento padroni e lavoratori sono alleati. Questa sfiducia degli antagonisti odierni ha alimentato teorie complottiste, spesso fondate su autentiche superstizioni, un clima di anti scientificità in cui non è più reale la realtà ma ciò che ognuno percepisce, per la propria esperienza come tale. Insomma, non esisterebbe la realtà, cosi come la scienza ci insegna ma solo una realtà percepita e relativa. Poco importa che questo relativismo urti a volte anche con il buon senso.

Uno dei temi proposti dai No-Vax è che l’epidemia non esiste che sia un’invenzione delle case farmaceutiche per giustificare i soldi spesi in ricerca e che quindi il vaccino sarebbe inutile oltre che dannoso. È evidente che questa opinione si scontra in primis con un dato oggettivo, i milioni di morti causati dal Covid, e poi con il fatto che le case farmaceutiche non prediligono i vaccini, per i propri guadagni, ma semmai i farmaci e i vaccini, risolvendo l’epidemia, abbatterebbero i ricavi da venditi proprio di questi che sono molto più lucrosi.

Purtroppo questa contrapposizione, tra democrazia liberale e democrazia illiberale, inficia l’efficacia politica delle nostre democrazie. E la politica non sembra essere capace di svolgere il suo ruolo guida. Eppure, in casi eccezionali, come una guerra mondiale, oppure una pandemia, in passato la politica manteneva un suo ruolo fermo, arrivando ad assumersi tutta la responsabilità anche di decisioni gravi ed impopolari. L’entrare in guerra, l’imporre il coprifuoco, limitare il diritto di circolazione, si pensi alle leggi eccezionali durante gli anni di piombo, eppure nessuno si sentiva in diritto o in dovere di contestare queste decisioni. Oggi abbiamo a Parigi manifestazioni di massa, in cui la gente si oppone alle imposizioni del pass sanitario (il green pass) per circolare in teatri, stadi, discoteche e ristoranti liberamente, ed altri si lamentano perché vogliono lavorare anche senza essere vaccinati a rischio e pericolo di tutta la comunità. Eppure sia in Francia che in Italia, vedremo negli altri paesi, è bastato imporre il pass sanitario che di colpo aumentassero le domande di vaccinazione, questo perché se la parte più radicale, estremista ed antagonista, coglie l’occasione delle scelte presidenziali o governative per proporre un nuovo assalto al Potere, in tanti altri non chiedono altro alla politica che di essere amministrati, guidati, certamente nella speranza di evitare nuovi e pericolosissimi lockdown.

Questo perché alla fine, dopo secoli tribolati, a partire dall’Illuminismo e dalla conseguente Rivoluzione francese, che è stato il punto di non ritorno nella definizione di civitas occidentale, si è affermata una maggioranza forse troppo individualista, ma ancora sostanzialmente moderata e fiduciosa nell’utilità della guida politica di esperti del proprio paese. Insomma, se non si può essere esperti di tutto è giusto che determinate e decisive scelte politiche siano assunte da chi ha la possibilità di fondarsi su dati e consulenze scientifiche che sono ancora oggi il dato più realistico su cui ci si può fondare. È chiaro che chi si assume la responsabilità politica deve poi fare i conti del proprio operato con il corpo elettorale. Si tratta della democrazia quella che ancora oggi è in vigore nel nostro occidente.

Non è un caso che la Costituzione italiana, decantata in ogni occasione da tutti, da destra a sinistra, ha espressamente vietato il referendum abrogativo, su materie che per il loro tecnicismo, non possono essere sottoposte al voto popolare, perché il popolo non ha queste competenze. E non è un caso che a tutt’oggi, in Italia e in molte altre democrazie, con alcune eccezioni, non è ammesso nemmeno il referendum propositivo, proprio perché si rischierebbe di far franare la democrazia sotto il peso di scelte magari popolari, demagogiche e populiste che finirebbero però per creare iniquità e danni spaventosi alla comunità. In Italia, il popolo non può votare per ammettere o respingere gli immigrati, perché il solo proporre un voto su questo tema metterebbe in crisi un tratto distintivo della nostra civiltà, si avvierebbe una spirale di voti e contro voti che finirebbero per minare la stessa coesione sociale raggiunta con tante difficoltà. Insomma, esistono temi che per la loro specificità, per la loro complessità e per la loro sensibilità non possono essere tema di voto democratico diretto.

La democrazia alla Casaleggio rischia di essere oggi un’utopia al pari del socialismo nel ‘900, e ove si verificasse non assisteremmo alla vittoria della democrazia ma all’affermazione di dittature della maggioranza (democrazia illiberale) che reprimerebbero ogni dissenso ed ogni diversità. Si attuerebbe l’incubo omologativo orwelliano di 1984.

Viceversa, il vero punto, per i sinceri fautori di un socialismo liberale, di una democrazia liberale, è la consapevolezza che occorre far crescere la coscienza dei cittadini con più cultura e più istruzione, ma, probabilmente vi è chi, come sempre, predilige se non una dittatura, e si sa che le dittature, non incoraggiano l’istruzione e la cultura, una democrazia che comunque lasci i cittadini in un’eterna ignoranza anche perché le caste che gestiscono la cosa pubblica ben sanno che l’ignoranza e la paura sono le armi principe per il consolidamento del proprio potere.

Liberarsi dal complottismo, dalle superstizioni, dagli egoismi individuali è la chiave di volta per affermare lo sviluppo democratico dell’occidente, essere protagonisti politicamente consapevoli, capaci di regolamentare e a volte contrastare gli interessi di casta è anch’esso un tema su cui l’intera comunità è chiamata,  così come lo spirito compatto di coesione sono il miglior rimedio anche per combattere questa eterna guerra al Covid 19 e alle sue variabili.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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